Newsletter Ayurveda nr. 71 – Giugno 2022

Newsletter n° «71»

Giugno 2022

Stress, stanchezza fisica e mentale, pandemic fatigue, cambio di stagione: PROCEDURE AYURVEDICHE E TAILA MEDICATI PER IL RECUPERO FISICO E MENTALE.

 

La newsletter

Le problematiche di affaticamento fisico e mentale, manifestazioni di ansia, disturbi del sonno, disturbi psicosomatici, disturbi del tono dell’umore, quando non dovute a cause patologiche, sono comuni. Tuttavia, durante gli scorsi due anni di pandemia ed ancora in questo periodo, tali disturbi, insieme ad altri, sono aumentati esponenzialmente e colpiscono anche fasce della popolazione che solo saltuariamente ne hanno sofferto. Ancora in questo periodo sembrano problemi di tutti.

La letteratura scientifica sull’utilità dei trattamenti ayurvedici nelle problematiche summenzionate è ampia e convincente; la newsletter riporta alcune riflessioni sui motivi vantaggiosi per i quali, oggigiorno, questi trattamenti possano essere ancora più presi in considerazione per poter gestire gli effetti negativi che lo stress produce a breve e lungo termine.

La newsletter propone le evidenze di alcune specifiche procedure ayurvediche come significative soluzioni, oltre ad offrire una panoramica dei Taila che risultano tradizionalmente specifici per questi trattamenti.

 

Lo stress

La crescita in questo periodo, e nei due anni di pandemia, di numerose sintomatologie psico-emotive e fisiche è un fenomeno da non trascurare poiché la sua reale dimensione è indicata dall’esponenziale crescita di prescrizione e autoprescrizione di farmaci e/o integratori utili per il controllo di stanchezza fisica e mentale, manifestazioni di ansia, disturbi del sonno, disturbi psicosomatici, tono dell’umore. Per la categoria di alcuni farmaci ansiolitici il fenomeno è allarmante. Analogamente sono aumentate esponenzialmente le richieste di aiuto psicologico a specialisti.

Questo contesto è spiegabile con l’esigenza di moltissime persone di trovare un aiuto per affrontare una oggettiva generale condizione di stress determinata da cause non facilmente evitabili come principalmente i disagi sociali derivanti anche da questa incerta fase di transizione della pandemia. Una generale sensazione di impotenza davanti a queste difficoltà determina un incremento di sintomatologie psico-emotive a cui si aggiungono le astenie psico-fisiche stagionali e del cambio di stagione; questo contesto genera una maggior richiesta di interventi terapeutici.

Nel linguaggio comune, allo stress ci si riferisce spesso come sintomo o disturbo, tuttavia lo stress è causa dei disturbi; in sintesi esso dipende dall’incapacità o difficoltà temporanea o duratura dell’io di rapportarsi correttamente con esperienze della vita che vengono percepite come pressanti o negative. Su psiche e organismo lo stress si comporta come in fisica, inducendo una “deformazione” sul soggetto su cui incide, mettendone a prova le capacità di resistenza. E’ quindi lo stress che provoca sintomatologie psico-emotive e fisiche (psicosomatiche) che si riflettono a livello mentale in manifestazioni ansiose (nervosismo, irritabilità, incapacità di rilassarsi), in manifestazioni mentali (stanchezza, difficoltà di concentrazione, difficoltà cognitiva, difficoltà mnemoniche, alterazioni del tono dell’umore) e in manifestazioni fisiche (spossatezza, debolezza muscolare, tensione muscolare, agitazione gastrointestinale e cardiovascolare (palpitazioni)). A queste problematiche si aggiungono i disturbi del sonno che a loro volta possono manifestarsi con profili diversi di difficoltà di addormentamento, sonno non ristoratore, risvegli notturni, risveglio precoce mattutino, etc.

Le condizioni di stress possono essere accertate attraverso scale validate di misurazione oggettiva/soggettiva e test bioanalitici che indicano l’anomalia nell’organismo di sostanze collegate ad una generale situazione di stress (es. cortisolo).

Stante la premessa della definizione di stress come causa dei disturbi è anche intuibile che lo stress non possa essere propriamente “curato” bensì eventualmente affrontato con interventi terapeutici che aiutino a gestirlo e ridurlo, comprendendo tra questi anche tutti quelli mirati alla mitigazione del sintomo o ad incrementare le capacità di resistenza psico-fisica dell’individuo.

In questo caso l’azione sui sintomi deve essere ritenuta anche di natura “curativa”, poiché nelle manifestazioni psico-somatiche la mitigazione dei sintomi interferisce, riducendolo, con il circolo vizioso della percezione degli stessi, causa di stress. La riduzione dei sintomi, quindi, riduce la percezione dello stato di stress. Tra i trattamenti per una gestione efficace del problema, quelli ayurvedici offrono una serie di vantaggi concreti che di seguito vengono analizzati.

Strategie efficaci di gestione dello stress si rendono clinicamente necessarie per evitare che esso cronicizzando, diventi causa di reali patologie psichiatriche (ansia, depressione) e fisiche a causa dell’indebolimento del sistema immunitario.

 

Stanchezza fisica e mentale

Quest’anno, ed ancora in questo periodo, diverse situazioni concorrono a generare stress cronico e affaticamento psico-fisico; tali forme di affaticamento o spossatezza si manifestano in modo persistente e si presentano anche in condizioni di riposo, come nelle forme di astenia.

Stanchezza e spossatezza fisica e mentale anche estreme sono tra i sintomi, oggi ben classificati, della “Pandemic fatigue”.

Questi due anni di pandemia di Covid-19 hanno rappresentato infatti un periodo innaturalmente prolungato di “stress” personale e sociale. È dal secondo conflitto mondiale che l’umanità non attraversava una fase così prolungata di disagi fisici e mentali dovuti a timore per la salute, a misure di limitazione della libertà nelle proprie scelte e abitudini. L’impatto della pandemia Covid-19 sulla salute fisica e mentale dell’umanità è ben dimostrata da ampi studi epidemiologici. (1)

La pandemia di Covid-19 si è comportata come una potente causa di stress che si è aggiunta ad altri fattori di stress che hanno comunque colpito l’umanità negli ultimi anni (lavoro, crisi economica, terrorismo, disastri ambientali).

L’impatto stressante sulla salute fisica e mentale della pandemia di Covid-19 è stato altamente traumatico e insidioso perché si è presentato all’umanità come un evento nuovo, incontrollabile, imprevedibile, universale.

In questi mesi pre-estivi, nonostante il progressivo ritorno alla normalità di vita, l’incertezza della fine della pandemia, emergenze sociali ed economiche legate a più motivi, si comportano ancora come fattori dal forte impatto stressante a livello personale e sociale. Il timore di dover cambiare nuovamente le proprie azioni automatiche e naturali, in favore di misure non spontanee ma necessarie per contrastare una nuova diffusione del contagio, richiede un grande dispendio di energie e favorisce una condizione mentale negativa e di demotivazione. (3)

L’insieme di queste problematiche, non facilmente risolvibili, favorisce una diffusione anomala di sintomatologie psico-emotive e fisiche come disturbi del comportamento e del sonno e disturbi fisici (psicosomatici) descritti come condizione di estrema stanchezza e spossatezza fisica e mentale (cronica), sensazione di dolenzia muscolare generalizzata, sensazione di mancanza di vitalità, disturbi gastrointestinali, (2) difficoltà a mantenere la concentrazione – demotivazione – senso di inutilità delle azioni quotidiane – pessimismo – appiattimento emozionale – difficoltà a organizzare la quotidianità – noia – rabbia – paura – difficoltà a pianificare e progettare il futuro – tendenza a rassegnarsi alla condizione pandemica. (3)

Tali sintomatologie vengono ricondotte ad un progressivo esaurimento delle energie individuali e collettive accumulate nel periodo pre-Covid per rispondere allo stress.

Questi disturbi indicano che, l’organismo e la mente reagiscono ancora faticosamente ad una generale percezione di prolungato stato di emergenza e, spesso con grande senso di smarrimento, possono andare incontro ad una vera e propria sindrome comportamentale chiamata “nebbia cognitiva” (come condizione di stanchezza mentale, rallentamento cognitivo, mnemonico, etc.). (4)

Stanchezza fisica e mentale, alterazioni del tono dell’umore, disturbi del sonno, spossatezza/ dolenzia muscolare o astenia sono anche disturbi che ciclicamente si ripresentano con il cambio di stagione; ricollegabili anche ai cambiamenti di luce e temperatura che influenzano anche i ritmi circadiani, questi sintomi generalmente si risolvono attraverso le capacità di adattamento dell’organismo e non rappresentano, se transitori, una condizione patologica e i disturbi fisici possono essere a ragione definiti come psicosomatici. Clinicamente questi disturbi, che accompagnano la storia dell’umanità, vengono definiti anche come “SAD(Disturbo affettivo stagionale). Durante questo periodo post-pandemico questi disturbi sembrano colpire ed essere più diffusi rispetto ad altri anni.

Affaticamento fisico e mentale caratterizzano anche la “Post Covid fatigue” (da non confondere con la “Pandemic fatigue”) che è la condizione di malessere, astenia, fisica e mentale che ha coinvolto i soggetti che si sono ammalati di Covid-19 e che, una volta superata la fase acuta della patologia, sono andati incontro ad una sequela di sintomatologie durature nel tempo caratterizzate da dolenzia diffusa, stanchezza cronica, disagi nervosi ed emotivi. La “Post Covid fatigue” viene descritta come una condizione di presenza duratura di circa 50 diversi sintomi; tra i principali in termini di prevalenza (95% CI) vi sono: stanchezza fisica e mentale (58%), mal di testa (44 %), disordini dell’attenzione (27%), disturbi respiratori (24%), dolore articolare e muscolare (19 %), disturbi del sonno (16%), ansia e depressione (13 e 12 %), etc. (5)

Pur nell’evidenza della diversità delle situazioni sopracitate, per cause, esse sono accomunate da ampia parte di sintomatologia psico-fisica simile e quest’anno, più che in altri anni, concorrono maggiormente, a ridurre la qualità di vita delle persone e rappresentano nel loro insieme un problema che determina una maggiore richiesta di soluzioni.

 

I possibili trattamenti

Come premessa al prendere in considerazione un qualsiasi intervento (atto) “medico” è fondamentale che, a livello personale, il problema venga identificato correttamente e cioè, nel caso di SAD e “Pandemic fatigue”, come uno stato di disagio psico-fisico provocato da una situazione di emergenza  transitoria; sarà poi fondamentale accettare il fatto che si possa essere stanchi, spossati e demotivati comprendendo che si tratta di una risposta normale dell’organismo e della mente che, come autodifesa, si settano in uno stato cronico di stress. (4) Questa prima fase di consapevolezza del disturbo è fondamentale per evitare che questa condizione cronica possa sfociare in un reale disturbo d’ansia comportando anche un abbassamento delle difese immunitarie.

Si può affermare che “Pandemic fatigue” e “SAD” si caratterizzano per sintomatologie di natura prevalentemente psico-somatica legate a specifici contesti o situazioni, mentre per quanto relativo alla “Post Covid fatigue” (che si manifesta con sintomi psico-emotivi simili ma sintomi fisici maggiori e più severi) bisogna tener conto anche di un quadro causale legato a cause fisiopatologiche dovute all’infezione virale e ai profondi fenomeni infiammatori da essa provocati e che interessano più organi o apparati dell’organismo.

Un’analisi dei sintomi di queste diverse condizioni di disagio tuttavia ne indica l’analogia in termini di stanchezza mentale, manifestazioni ansiose, alterazioni del tono dell’umore, nebbia cognitiva, spossatezza fisica, debolezza muscolare (dolenzia muscolare-tensione muscolare), disturbi del sonno. Queste sintomatologie sono prevalentemente considerate come derivanti da una “condizione di stress”, escludendo, come premesso, alcuni disturbi fisici della “Post-Covid fatigue” che sono conseguenze anche di condizioni fisiopatologiche organiche.

Per la gestione di questi disturbi fisici e mentali la “Medicina contemporanea”, dispone di un’ampia possibilità di scelta tra terapie, farmaci e integratori naturali.

Premesso che l’obiettivo rimarrebbe quello di poter rimuovere le cause stressanti che determinano le diverse sintomatologie, tutte le tecniche di gestione dello stress come tecniche di rilassamento, meditazione mindfulness, neurofeedback, psicoterapia cognitivo comportamentale, yoga, coping, etc. risultano oggi molto diffuse ed apprezzate poiché mirano a gestire le cause profonde del problema e vengono ritenute una forma di “cura” dello stress; parte di queste tecniche prendono in considerazione il quadro dei comportamenti esterni o interni da modificare per curare lo stress attraverso l’esame dei punti di forza e delle carenze del soggetto aiutandolo nell’apprendimento di positive modalità di reazione emotiva e comportamentale; l’insieme di queste terapie è validato da ampia sperimentazione che ne suggerisce l’efficacia; l’eventuale limite di questi interventi è rappresentato da effetti a medio lungo termine e dal fatto che i problemi che causano stress non sono facilmente evitabili e rimuovibili.

Più comunemente la gestione pratica di queste problematiche passa attraverso una gestione che mira ad una rapida soluzione del sintomo. I farmaci, ansiolitici, ipnoinducenti, antidepressivi, sono tra quelli più impiegati (e abusati) per la gestione di queste problematiche psico-fisiche. La loro azione nel ridurre i sintomi è indiscussa e, quando le sintomatologie impediscono significativamente la vita quotidiana, sono di fatto irrinunciabili; dovrebbero essere utilizzati solo per brevi periodi ed implicano l’accettare i possibili effetti indesiderati di abitudine all’uso. Nel caso dell’uso di farmaci ansiolitici, se da un lato il loro effetto sulle manifestazioni ansiose è assodato, dall’altro essi possono aggravare la sensazione di stanchezza fisica e atonia muscolare. Sono invece certamente preferibili tutti i preparati tonici ed adattogeni che possono supportare il generale benessere psico-fisico al riparo da effetti avversi significativi.

Vi sono poi altre possibilità di gestione di queste problematiche ricorrendo a trattamenti “integrati” sfruttando ad esempio l’ampia complementarietà tra approcci convenzionali e medicine tradizionali.

In questo contesto la Medicina tradizionale ayurvedica spicca per utilità, perché singolarmente o come intervento complementare, dimostra tradizionalmente benefici clinici rilevanti ad ampio spettro sia sulla sfera fisica che su quella mentale, mirando ad una consapevole gestione del problema e della sintomatologia, al riparo da effetti collaterali.

 

I vantaggi delle soluzioni ayurvediche

Rispetto a questi disturbi l’approccio ayurvedico innanzitutto mira, attraverso aspetti educativi salutistici, ad avere uno stile di vita che aiuta a gestire le condizioni stressanti mantenendo l’individuo in uno stato di armonia con il mondo in cui vive.

Ritenendo lo stress come causa di effetti disadattivi psicofisici, la globale visione profilattica e medicamentosa, personalizzata, della Medicina ayurvedica, orientata a conservare o ristabilire gli “equilibri della sfera fisica e mentale”, esprime in queste problematiche la sua positiva risolutività; questi aspetti educativi appartengono ad un approccio globale che integra altri strumenti unici come l’integrazione fitoterapica e specifiche tecniche di massaggio; grazie a questa multifattorialità i trattamenti ayurvedici infatti possono aiutare contemporaneamente nella riduzione delle sintomatologie dolorose, nell’alleviare la stanchezza fisica e tensione muscolare, ridurre manifestazioni ansiose, stress, disturbi del sonno.

Un esempio della multifunzionalità terapeutica dell’approccio ayurvedico è il massaggio ayurvedico, che risulta significativamente efficace nel dare sollievo in presenza di numerosi disagi nervosi e psico-emotivi e di alcuni di quelli fisici attraverso azioni defaticanti, toniche, rilassanti – nutrienti – pro immunitarie.

Tra le diverse procedure ayurvediche di massaggio e oleazione esistono alcuni trattamenti che risultano altamente specifici nella gestione di numerosi disturbi collegati allo stress.

Alcuni Taila risultano inoltre altrettanto specifici nel contrastare fenomeni infiammatori muscoloscheletrici e oltre ad esercitare effetti tonici in presenza di stanchezza fisica e muscolare, possono trovare impiego specialistico nella gestione dei sintomi della “Post Covid fatigue”.

Nelle formulazioni tradizionali dei principali Taila medicati ricorre l’uso di piante medicinali utilizzate da millenni in Ayurveda per contrastare stanchezza mentale, ansia, problemi cognitivi e di memoria, insonnia (es. Ashwagandha, Brahmi, Sida cordifolia, etc.). Queste piante medicinali, insieme ad altre sono responsabili anche di effetti pro-immunitari.

Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione come criterio di scelta delle procedure ayurvediche è che le azioni positive di queste ultime sono ben testimoniate da millenaria esperienza tradizionale e da recenti evidenze cliniche; l’insieme delle evidenze tradizionali e scientifiche suggeriscono che le procedure risultano utili e sicure; quest’aspetto è molto importante perché, per risolvere problematiche spesso funzionali, è abitudine spesso scorretta, anche in regime di automedicazione, fare ricorso o abuso di farmaci che possono non essere privi di effetti indesiderati.

Ulteriore vantaggio degli effetti del massaggio ayurvedico nelle problematiche summenzionate è che il massaggio con oleazione agisce attraverso una duplice azione medicamentosa e cioè quella del massaggio (attraverso giusta tecnica) e quella degli oli base o medicati impiegati in grandi quantità, che di fatto vengono assorbiti dall’organismo ed esercitano gli effetti farmacologici dei principi erbali in essi concentrati. Per questi motivi il massaggio ayurvedico condotto con oli medicati concentrati può esercitare effetti profondi a più livelli dell’organismo.

Il massaggio ayurvedico viene tradizionalmente condotto con oli medicati (Taila) che, a seconda della loro formulazione tradizionale, risultano altamente specifici per la gestione personalizzata dei disturbi rispetto al fenotipo costituzionale (Dosha).

 

Le procedure ayurvediche

Di seguito vengono riproposte alcune delle principali procedure ayurvediche che tradizionalmente vengono ritenute efficaci nella gestione di quadri di stanchezza fisica e mentale, debolezza e dolenzia muscoloscheletrica, ansia, disturbi del sonno, disforia; l’azione benefica di queste procedure, osservata nell’uso tradizionale, trova conferma in numerosi articoli scientifici. Specifiche procedure ayurvediche inoltre agiscono positivamente con effetto drenante e contrastano la ritenzione idrica ed il ristagno linfatico che sono condizioni (gonfiore) altamente correlate alle situazioni di stress. (6)

Abhyanga è una delle principali procedure di oleazione e massaggio del corpo; i suoi effetti sono mirati a lenire sia sintomatologie nervose/psico-emotive, sia fisiche.

Il massaggio:

-riduce la tensione muscolare poiché agisce sui muscoli del corpo così come su altri tessuti molli

-scioglie la contrattura muscolare e l’indurimento muscolare; può inoltre stimolare i muscoli flaccidi. La tensione muscolare cronica può causare una riduzione della circolazione del sangue e dell’attività linfatica

-migliora la circolazione sanguigna e la capacità di ossigeno del sangue può aumentare del 10-15%. Il massaggio stimola indirettamente o direttamente i nervi che comunicano con gli organi interni; i vasi sanguigni di questi organi si dilatano e consentono un migliore afflusso di sangue

-induce un migliore movimento linfatico; la linfa è un fluido bianco lattiginoso che aiuta a drenare impurità e rifiuti lontano dalle cellule dei tessuti. Componenti di questi rifiuti sono anche le tossine che sono i sottoprodotti del metabolismo. Il movimento linfatico è fondamentale per la nostra vita e la stimolazione muscolare del massaggio esercita un effetto pompante che muove la linfa. Il massaggio aiuta a muovere la linfa

-conferisce una maggiore mobilità quantitativa e qualitativa delle articolazioni; il massaggio fornisce una delicata azione di allungamento su muscoli e tessuti connettivi che supportano i muscoli e in molte altre parti del corpo aiutando a mantenere elastici questi tessuti

-stimola o calma il sistema nervoso; il massaggio riequilibra il sistema nervoso stimolandolo o calmandolo; a seconda di quale effetto sia necessario deve essere individuata la procedura di massaggio

-migliora la condizione della pelle migliorando la funzione delle ghiandole sebacee e sudoripare, che mantengono la pelle lubrificata e pulita

-migliora la digestione e la funzione intestinale. La procedura di massaggio aumenta le secrezioni e le escrezioni del corpo. Aumenta anche la produzione di succhi gastrici, saliva e urina. Il massaggio stimola la escrezione di azoto, fosforo inorganico e sale; il massaggio quindi stimola il tasso metabolico

-allevia il dolore acuto e cronico e favorisce il recupero dalla fatica. (7)

Nel 2013 uno studio condotto per valutare in generale gli effetti dei trattamenti panchakarma nei disordini muscoloscheletrici ed in particolare in vatavyadhi ha concluso che Abhyanga, condotto con Dashmoola Taila, Mahanarayana Taila, Ksheerabala Taila e Sahacharadi Taila trova indicazione per la gestione della dolenzia anche in pazienti con fibromialgia. (8)

Il massaggio ayurvedico e la terapia fisica sono frequentemente utilizzati per il trattamento di pazienti con sindromi dolorose croniche e disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico. Un importante studio clinico (2017) ha valutato l’efficacia del massaggio ayurvedico, confrontato con la termoterapia, nella lombalgia cronica aspecifica mediante uno studio clinico randomizzato. Dopo l’intervento di 2 settimane, seguito da una fase di follow-up di 2 settimane, il mal di schiena medio (outcome primario) alla settimana 2 è stato significativamente ridotto (p < 0,001) nel gruppo massaggi rispetto al gruppo di terapia termica standard; nello studio sono risultati evidenti anche benefici sulla fastidiosità del dolore e sul benessere psicologico. Entrambi i programmi erano sicuri e ben tollerati. Lo studio ha concluso che il massaggio ayurvedico (Sahacharadi taila) è efficace per alleviare il dolore nella lombalgia cronica a breve termine. (9)

Uno studio condotto nel mondo dello sport conclude che il massaggio ayurvedico è una procedura efficace e rapida per aumentare la resistenza fisica (muscolare) e contribuisce a ridurre l’affaticamento muscolare; l’esordio del dolore muscolare (DOMS) indotto dallo sforzo dell’attività sportiva intensiva, fa diminuire la resistenza. Lo studio ha valutato l’efficacia dell’Abhyanga con Mahanarayana Taila sulla resistenza, la potenza e la flessibilità negli sportivi (giocatori di Rugby). Per lo studio sono stati arruolati venti giovani uomini giocatori di rugby 2-3 volte a settimana. Lo studio è stato condotto con randomizzazione su due gruppi di cui uno di controllo. Le valutazioni sono state fatte prima e dopo l’esercizio. Il gruppo ‘A’ ha ricevuto Abhyanga con Mahanarayana Taila e sono state misurate la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, il salto verticale, le flessioni, gli addominali e la riduzione del dolore e dell’affaticamento corporeo dopo le attività. C’era una differenza significativa tra frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, flessioni, dolori muscolari e livelli di affaticamento del gruppo A e B dopo il trattamento. Dopo 3 mesi nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo di controllo sono migliorati in modo statisticamente significativo la frequenza cardiaca (p<0,05), la frequenza respiratoria: (p<0,05), i dolori muscolari e la fatica: (p<0,05) e il push-up: (p<0,05). Questo studio ha concluso che Abhyanga può essere utilizzato per aumentare la resistenza negli sportivi e anche per migliorare la potenza e la flessibilità. (10)

Nel 2017 uno specifico studio su Abhyanga con Ksheerabala Taila ha concluso che questa procedura con l’olio medicato contribuisce a ridurre l’infiammazione e il dolore delle articolazioni e può essere quindi un benefico coadiuvante nelle malattie degenerative come l’osteoartrite, inoltre supporta la forza dei muscoli e ne aumenta la vitalità, provvedendone alla necessaria nutrizione così come alle ossa; per questi motivi Abhyanga con Ksheerabala Taila, viene ritenuto utile come coadiuvante nel prevenire l’atrofia muscolare, la perdita di massa muscolare e nella fibromialgia. (11)

Uno studio clinico condotto nel 2014 ha valutato l’azione di Shiroabhyanga con Brahmi taila nel ridurre sintomi legati all’ansia generalizzata come quelli del sonno, l’irrequietezza, paura, depressione e variazioni della pressione sanguigna. Lo studio ha concluso che un massaggio alla testa periodico su 30 pazienti, ha migliorato le risposte allo stress e i pazienti hanno mostrato miglioramenti in tutti i sintomi presentati, con una riduzione media dell’ansia a 1,6. (53,2%) che era statisticamente e altamente significativa (<0,001). In questo studio Shiroabhyanga con Brahmi taila è risultato utile nell’alleviare l’ansia. (12)

I vizi di Vata o Pitta dosha, stress mentale, traumi mentali o fisici, emaciazione dovuta a dieta e malattie sono cause di Anidra (insonnia) di cui i classici sintomi sono: sbadigli, dolenzia del corpo, stanchezza, mal di testa, pesantezza alla testa e agli occhi, inattività, esaurimento, vertigini, indigestione e disturbi correlati con Vata. Uno studio ha valutato l’efficacia di Abhyanga (Shirobhyanga e Padabhyanga) con Brahmi taila nella gestione di Anidra confrontandone gli effetti con quelli di una potente preparazione orale sedativa/antidepressiva/ipnoinducente (Jatamansi vati). Lo studio ha concluso che Abhyanga (Shirobhyanga e Padabhyanga) con Brahmi taila e Jatamansi vati sono ugualmente utili per trattare Anidra e privi di effetti collaterali. (13)

Padabhyanga” e “Moordhataila” con Ksheerabala taila possono contrastare l’insonnia (irritabilità, instabilità, etc.); Moordhataila con Ksheerabala Taila contribuisce a conferire chiarezza agli organi di senso, e forza alla voce, alla mascella inferiore e alla testa; aiuta a mantenere giovane il corpo e a contrastare l’esaurimento mentale. (14) (15) (16)

Sarvanga Samvahan con Ksheerabala taila risulta essere un altro importante trattamento in diverse condizioni infatti Abhyanga aumenta il rilascio di endorfine e neurotrasmettitori che riducono il dolore e quando il Samvahan viene eseguito per una durata specifica, è benefico per il corpo migliorando anche la pelle e il sangue, oltre ad altri Dhatu. (18) (14)

Shiro Pichu con Ksheerabala taila, agisce a livello sistemico attraverso assorbimento e derivazione cellulare con effetti sul SNC grazie alla sua natura “Sneha”; agisce principalmente su ipofisi e l’ipotalamo, che sono associate a molte funzioni fisiche e mentali. Rivitalizza il sistema nervoso centrale migliorando l’afflusso di sangue e la nutrizione al cervello. Secondo Charaka (ma anche Sushruta e Vagbhata) è un trattamento classico per Nidranash (insonnia). (17) (18)

Shirodhara è la procedura ayurvedica tradizionale, in uso fin dall’antichità, per portare la mente, il corpo e l’anima ad un livello armonico. È un trattamento ritenuto in Ayurveda purificante e ringiovanente e mira non solo ad eliminare le tossine nocive dal corpo, ma anche ad alleviare stress ed esaurimento. Secondo i classici Ayurvedici, chinta (stress) e atichintan (eccesso di pensieri) sono le cause di Rasavaha srotodushti che portano a molte malattie. Shirodhara è un’importante tecnica di guarigione che ha effetti neuro-immuno-fisio-psicologici sul corpo umano. Shirodhara purifica la mente, allevia l’ansia, riduce il mal di testa e espande la consapevolezza. Shirodhara può essere somministrato da solo o come parte di un regime panchakarma di disintossicazione. (19)

Uno studio del 2014, disponibile in PubMed, riporta i risultati di Shirodhara con Brahmi taila (45 min. per 5 giorni) in alcuni casi clinici di insonnia da moderata a grave. Lo studio ha concluso che Shirodhara con olio di Brahmi può essere utile per l’insonnia da moderata a grave. (20)

Uno studio ha valutato l’azione di Shirodhara con Brahmi Taila per 15 giorni su 30 pazienti con disturbi collegati a lavoro in condizioni di stress e a disordini mentali (stanchezza, debolezza, nausea, anoressia, indigestione, male alla testa, irrequietezza, mancanza di memoria, mancanza di concentrazione, insonnia, ipertensione, depressione, dolenzia generalizzata). Lo studio conclude che Shirodhara con Brahmi Taila insieme a Sarvanga Snehan e Swedana può essere un rimedio coadiuvante per i disturbi da stress e mentali favorendo l’equilibrio della mente senza causare alcuna complicazione. Shirodhara, impiegando un taila a base di erbe, può essere utilizzato per lunghi periodi per il trattamento per questo tipo di disturbi poiché non dimostra tossicità e reazioni avverse ai farmaci. (21)

Nel 2018 uno studio clinico ha valutato l’azione di particolari procedure ayurvediche sull’ipertensione che, sulla base di fattori genetici ed ambientali, viene ritenuta innescata dallo stress e quindi considerata anche come un disturbo psicosomatico. In Ayurveda, lo Shirodhara è una delle terapie panchakarma pensate per il rilassamento e la di riduzione dello stress (Dharakalpa) come trattamento preventivo e curativo per molti disturbi legati allo stress. Questo studio ha concluso che tre diversi tipi di Shirodhara (con Sukhos̩n̩ajala, Tila taila e Brahmi taila) nella gestione dell’ipertensione essenziale da lieve a moderata, agiscono su parametri oggettivi SBP, DBP, PP e MAP. Shirodhara allevia lo stress mentale rilassando la mente e, poiché favorisce la dilatazione dei vasi periferici, aiuta nel normale mantenimento della pressione sanguigna. In questo studio tutti e tre i trattamenti, indipendentemente dalla sostanza impiegata, hanno svolto un ruolo importante nel portare i parametri oggettivi alla normalità ma lo Shirodhara con Brahmi taila ha mostrato un mantenimento superiore e statisticamente significativo della pressione sanguigna. (22)

Uno studio pilota del 2020 ha ulteriormente valutato l’impatto di Shirodhara con Brahmi taila su pressione sanguigna, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria in pazienti ipertesi. Lo studio ha concluso che Shirodhara con Brahmi taila ha avuto un effetto di riduzione sulla pressione sanguigna sistolica e diastolica, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria con effetto di riduzione del polso. (23)

Le procedure Dinacharya, rendono possibile la somministrazione continua dei Taila specifici in un modo sicuro e a lungo termine, e sulla base di questo principio è stata sperimentata la procedura Nasya charya con Brahmi taila e Anu taila nella gestione di pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (GAD). Lo studio ha concluso che entrambe le procedure pratimarsha nasya con Brahmi taila e Anu taila, se attuate in una fase iniziale, possono essere utili non solo per controllare la progressione della malattia, ma possono anche aprire la strada a tecniche efficaci e non invasive nel trattamento del GAD. (24)

Nasya con Ksheerabala taila possiede azione Rasayana “jeevaneeya” e indriyaprasadana” (potenzia gli organi si senso); queste proprietà si dimostrano “vyadhi” e “doshapratyanika”; (14) (25)Navana nasya” è descritto come il miglior rimedio per pacificare vata in “uttamanga” (regione sopraclavicolare); il farmaco Nasya infatti tramite “sringataka marma” può raggiungere il cervello che è il principale punto vitale in cui si trovano i centri nervosi che sovrintendono agli organi di senso. (14) (26) (27) (28) (29)

 

I Taila

Di seguito vengono elencate le azioni fisiche e mentali dei principali Taila tradizionalmente impiegati nella gestione di disturbi fisici e mentali in condizioni di stress come stanchezza fisica e mentale, dolenzia muscoloscheletrica, ansia, disturbi del sonno, disforia.

Tila taila (Olio di Sesamo):
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Vata/Tridosha. (Charaka e Sushruta samitha)
Sulla sfera mentale agisce in caso di instabilità nervosa/emotiva.
Sulla sfera fisica agisce in caso di debolezza muscolare, dolore muscolare e articolare.

Coconut Taila (Olio di Cocco):
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Pitta.
Sulla sfera mentale agisce in caso di stanchezza e tensione mentale. (Asthanga samgraha)
Sulla sfera fisica agisce in caso di sensazione di bruciore alla testa, sensazione di calore diffuso, accumulo di tossine.

Brahmi (da Bacopa Monnieri L.):
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Pitta/Vata. (Charaka)
Sulla sfera mentale agisce in caso di stanchezza e tensione mentale, difficoltà di concentrazione, ansia, instabilità nervosa, irritabilità, insonnia.
Sulla sfera fisica agisce in caso di disfunzioni del cuoio capelluto.

Dhanwantharam taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Vata/Tridosha. (Asthanga hridaya)
Sulla sfera mentale agisce in caso di stress psichico, instabilità emotiva, insonnia.
Sulla sfera fisica agisce in caso di rigidità, dolore articolare, affaticamento, stress fisico.

Ksheerabala taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Pitta/Vata. (Sahasrayogam-Asthanga hridaya)
Sulla sfera mentale agisce in caso di ansia, eccitabilità, instabilità emotiva.
Sulla sfera fisica agisce in caso di tensione muscolare, dolore muscolare (fibromialgia).

Mahachandanadi taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Pitta. (Sahasrayogam)
Sulla sfera mentale agisce in caso di irritabilità e nervosismo.
Sulla sfera fisica agisce in caso di bruciore/calore di corpo e testa, mal di testa.

Pinda taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Pitta/Vata. (Charaka)
Sulla sfera mentale agisce in caso di instabilità nervosa.
Sulla sfera fisica agisce in caso di dolori articolari e muscolari, rigidità.

Mahanarayana taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Vata. (Braishajya Ratnavali)
Sulla sfera fisica agisce in caso di rigidità, dolore articolare e muscolare, affaticamento.

Sahacharadi taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Vata/Kapha. (Asthanga hridaya)
Sulla sfera fisica agisce in caso di dolori articolari e muscolari, pesantezza arti inferiori, disturbi del microcircolo (vene varicose), ristagno linfatico.

Kottamchukkadi taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Kapha/Vata. (Sahasrayogam)
Sulla sfera fisica agisce in caso di dolori articolari e muscolari, edemi, stasi venosa e linfatica.

Dashmoola taila:
è prevalentemente indicato per procedure negli squilibri Vata/Kapha. (Asthanga samgraha)
Sulla sfera fisica agisce in caso di dolori articolari, mal di testa, pesantezza corpo /mente, ristagno linfatico.

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A cura della direzione scientifica di Benefica

 

 

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Newsletter Ayurveda nr. 70 – Marzo 2022

Newsletter n° «70»

Marzo 2022

FOCUS TAILAM: Ksheerabala taila nella pratica clinica ayurvedica, sintesi delle evidenze.

 

Nat. Volatiles & Essent. Oils, 2021; 8(5): 9629-9643. 

“SYSTEMIC REVIEW ON BENEFITS OF KSHEERABALA TAILA.”  

DR. JAYA K. GHORE, Dr.Ashwini Patil, Dr.Mrudul Chitrakar

 

Ksheerabala taila come noto, è uno tra i taila medicati più apprezzati e versatili nella pratica clinica ayurvedica. La sua composizione, apparentemente semplice, sfrutta la sinergia di tre componenti particolarmente attivi che consentono di agire sull’organismo in maniera complessa a più livelli. In Ksheerabala taila, Bala (Sida cordifolia L.), è una pianta medicinale nota per le sue proprietà toniche, anti-aging, rinforzanti e stimolanti, ma anche sedative, analgesiche e antinfiammatorie, che la rendono indicata in presenza di stress mentale e disturbi fisici correlati al perturbarsi di Vata Dosha. Bala agisce su più tessuti ma specialmente su quello nervoso (Majja Dhatu) ed è considerata un ottimo tonico nervino. Allo stesso tempo la presenza di Ksheera, il latte, rende questo olio particolarmente addolcente, morbido e adatto anche al riequilibrio di Pitta Dosha. I suoi campi di azione sono rivolti agli squilibri di natura Pitta e Vata e trova impiego per trattamenti dedicati a tutto il corpo, alla testa ed al viso. [28]

Diversi studi clinici ne hanno studiato il razionale d’impiego nella gestione di numerosi disturbi che coinvolgono il sistema nervoso e muscoloscheletrico come ad esempio l’osteoartrite e la fibromialgia.

 

La newsletter

La newsletter trae spunto da una recente revisione sistematica (2021) pubblicata su “Natural Volatiles and Essential Oils” [27] che offre una panoramica aggiornata e riassuntiva dei diversi studi condotti sull’ azione di Ksheerabala Taila, attraverso diverse modalità di somministrazione, in diverse condizioni di malattia; la newsletter offre una ulteriore conferma delle generali azioni farmacologiche, attribuite ai componenti di questo taila, impiegabile in diversi disturbi attraverso vie di somministrazione diverse, tuttavia, pur trattando la newsletter delle evidenze dell’uso tradizionale del Taila anche attraverso somministrazione orale e attraverso le mucose, è opportuno precisare che in Italia l’impiego di questo Taila è esclusivamente destinato all’uso esterno (shiropichu, shirobasti, talam, padaabhyanga, samvahana, etc.).
La revisione propone in forma tabellare i risultati di diversi clinici condotti con l’impiego di Ksheerabala taila e consente una rapida panoramica di conferme dei suoi effetti, delle sue varie possibilità di impiego nella gestione coadiuvante di disturbi oggi di ampia diffusione.

 

Ksheerabala taila in breve

Ksheerabala Taila viene ottenuto secondo la procedura “Avartita sneha kalpana” che ne rende la produzione particolarmente complessa ed anche costosa ma a vantaggio di una formulazione particolarmente concentrata in bioattivi.
Nella farmacologia ayurvedica “sneha pak kalpana” ha un ruolo di primaria importanza ed in particolare “Siddha sneha” offrono il vantaggio di poter essere somministrati attraverso vie di somministrazione diverse per ottenere risultati diversi. Ksheerabala taila è un importante sneha kalpana menzionato nelle fonti ayurvediche (Ashtanga Hridaya, Sahasrayogam) ed è preparato secondo una formula originale a base di Go-ksheera (latte di vacca), Bala (Sida cordifolia L.) e TilaTaila (olio di sesamo) e impiegato per trattare Vata Vyadhi.
Bala (Sida cordifolia L.) è una pianta medicinale a cui l’Ayurveda attribuisce un grande valore medicamentoso ed è uno dei tre farmaci erbali più utilizzati. [3]

La radice di Bala è l’ingrediente erbale principale di Ksheerabala taila che in Ayurveda viene frequentemente prescritto per il trattamento dei disturbi neurologici. In “bhaishajya kalpana” si ritrovano le varie formule per le preparazioni medicinali ed in particolare nella farmacologia ayurvedica “snehapakkalpana” ha importanza di primo piano perché i preparati “Siddha sneha” si dimostrano molto versatili poiché possono essere somministrati per diverse vie per ottenere risultati diversi. Lo “Snehakalpana” è considerato il modo migliore per estrarre i principi attivi liposolubili dalle piante medicinali e per potenziarne l’assorbimento nell’organismo. È durante il processo di ebollizione che i principi attivi delle piante medicinali si spostano nei mezzi liquidi e, per estrarre più principi attivi, per questa procedura vi è la necessità di una elevata quantità di mezzi liquidi e conseguentemente di molto tempo per l’evaporazione delle molecole d’acqua in eccesso.

“Avartita sneha kalpana” è il procedimento ayurvedico tradizionale per ottenere una ottimale disidratazione, e quindi concentrazione, del preparato attraverso passaggi ripetuti; “avartana” significa infatti ripetizione, e quindi “snehadravya” viene ottenuto sottoponendo “kalkadravya” e “dravadravya” a ripetute elaborazioni. Le continue rielaborazioni riducono progressivamente la quantità di sneha a vantaggio della sua concentrazione e potenza; i vantaggi quindi della procedura “avartana” saranno quelli di ridurre il dosaggio di somministrazione, velocizzare l’azione, potenziare l’efficacia terapeutica del taila prodotto; il preparato ottenuto potrà agire anche su più minuscoli canali del corpo e la somministrazione verrà facilitata. Queste caratteristiche del prodotto ottenuto possono spiegare la capacità dei soluti liposolubili e degli acidi grassi liberi di diffondersi anche attraverso la barriera ematoencefalica. Ksheerabala taila viene ottenuto attraverso questa complessa metodica di rielaborazioni successive (che può arrivare fino a 1000 ripetizioni) ed è uno dei preparati a base di olio più popolari in Ayurveda e molto apprezzato, (in particolare quando ottenuto dallo stadio “Madhya paka”), nel trattamento di Vata vyadhi.
Per valutare le differenze dei prodotti ottenuti da “trividha paka “(le tre fasi delle formulazioni di Snehapaka, cioè Mridu, Madhyama e Khara Paka) Ksheerabala taila è stato sottoposto a studi farmaceutici e analitici attraverso metodi organolettici, fisico-chimici e cromatografici. I risultati sono stati significativi e hanno concluso che la massima produzione di Ksheerabala taila è ottenuta da “Mrudu paka” e la produzione minima da “Khara paka”. Lo studio analitico attraverso il metodo cromatografico (HPTLC) e l’indice di rifrazione ha rivelato che la massima ed ottimale estrazione dei principi attivi in forma immodificata si ritrova in “Madhya paka”. Il valore di saponificazione ha rivelato che la migliore composizione in acidi grassi (a catena corta, media e lunga), che hanno importanza per il tasso di assorbimento nel corpo, è presente in Ksheerabala taila ottenuto da Madhya paka. [1]

In Ayurveda è noto che nel corpo umano ci sono “9” aperture (porte) che in sanscrito son chiamate “navadwara”. “Nava” significa 9 e “Dwara” significa cancello o porta. Tutte queste 9 aperture “respirano” e si aprono e si chiudono anche durante il naturale respiro. Lubrificare queste 9 aperture rende tutti gli organi sensoriali più efficienti. I nostri organi sensoriali acquisiscono “conoscenze” attraverso queste nove aperture e contribuiscono a migliorare la salute generale; Ksheerabala taila agisce attraverso la somministrazione che sfrutta le diverse “aperture” del corpo.

 

La revisione sistematica in breve

La metanalisi è stata progettata per studiare i vari effetti di Ksheerabala taila somministrato attraverso diverse vie di somministrazione. Ksheerabala taila viene utilizzato in diversi disturbi attraverso diverse vie di somministrazione come shiropichu, shirobasti, talam, nasya, matrabasti, anuvasanbasti, padaabhyanga e samvahana. Attraverso queste diverse applicazioni si possono ottenere benefici nel trattamento di disturbi come ardita, anidra, pakshaghat, maragavran, degenerazione maculare, epilessia, paralisi cerebrale, sandhigatavata, ecc.
In molti testi sono descritti diversi metodi di preparazione e sono stati condotti un certo numero di studi sull’efficacia clinica di Ksheerabala taila e uno studio farmaco-analitico di “trividha sneha paka” (Mrudu paka, Madhya paka e Khara paka) di Ksheerabala taila conclude che “madhyampaka sneha” risulta lo stadio estrattivo migliore ai fini dell’efficacia terapeutica del taila. [1]

La presenza di go-ksheera, bala e tila taila rende Ksheerabala taila utile per pacificare tutte le ottanta condizioni morbose croniche di origine vata come Ardita, katishula, katigraha, sandhigatvata, paralisi cerebrale, emiplegia, kampvata e altri disturbi neurologici. L’olio è ampiamente usato in vari trattamenti panchakarma come snehana, kavala, talam, nasya, matrabasti, shirobasti e per altre procedure moordhanitaila. Ksheerabala taila è un’importante formulazione sulla quale si stanno conducendo ulteriori studi scientifici per dimostrarne ulteriormente l’utilità nei disturbi neurologici. [2]

Lo studio è stato condotto in conformità con la Checklist PRISMA per revisioni sistematiche e meta-analisi. Le informazioni sono state raccolte da lavori pubblicati da studiosi su riviste ayurvediche e scientifiche. La ricerca degli studi è stata condotta attraverso specifici motori di ricerca (Google Scholar, Scopus, Pubmed,Web of sciences, etc.) utilizzando la parola chiave “ksheerabala taila”. In questa revisione sono stati inclusi 22 articoli di cui 12 relativi a studi clinici, 6 relativi a casi clinici di studio, 2 articoli di revisione, 1 studio farmaco analitico e 1 studio sugli animali. In questa metanalisi sono stati inclusi studi pubblicati in lingua inglese. Sono stati esaminati diversi metodi di preparazione di ksheerabala taila e il suo utilizzo in vari disturbi attraverso diverse vie di somministrazione. Le ricerche degli articoli pubblicati su PubMed, Web of Sciences, Scopus, sono state condotte utilizzando la parola chiave “Ksheerabala taila” per diversi usi (snehan, padabhyang, talam, basti ecc.). Sono stati inclusi studi clinici randomizzati, studi di casi clinici, uno studio concettuale, uno studio analitico farmaceutico e uno studio sugli animali. Dalla metanalisi sono stati esclusi gli studi con campionamento risultante inadeguato. Gli abstract degli studi sono stati analizzati e selezionati in base ai criteri di inclusione ed esclusione ed è stato estratto il set dei dati. La checklist delle informazioni per lo studio includeva, i nomi degli autori, l’anno di pubblicazione, la dimensione del campione, il metodo, lo studio gruppo, intervento e durata del trattamento. [25]

 

Le conclusioni sintetiche dagli studi

1) Nasya con Ksheerabala taila mostra benefici nella degenerazione maculare. La forma secca della degenerazione maculare (AMD) ha una lenta progressione, Ksheerabala taila (“101 avarti”) possiede azione Rasayana “jeevaneeya” e “indriyaprasadana” (potenzia gli organi si senso); queste proprietà si dimostrano “vyadhi” e “doshapratyanika” e risultano rilevanti per il trattamento dell’AMD secca. [25,4]

2) Ardita (paralisi facciale) è principalmente è un disturbo “vata” e quindi il trattamento dovrebbe essere improntato principalmente su farmaci “balya” e “brumahana” (nutrienti dei tessuti) che alleviano Vata. “Navana nasya” è descritto come il miglior rimedio per pacificare vata in “uttamanga” (regione sopraclavicolare); il farmaco Nasya infatti tramite “sringataka marma” può raggiungere il cervello che è il principale punto vitale in cui si trovano i centri nervosi che sovrintendono agli organi di senso. [25,10,16,17,18]

3) “Matra basti” con Ksheerabala taila dimostra benefici nella paralisi cerebrale, in “janu sandhigatavata” (osteoartrite), nel mal di schiena. [25,6,11,12]

4) “Anuvasana basti” con Ksheerabala taila mostra risultati positivi in “sandhigatavata” e “Trika Prishtha Graha”. [25,7,13] Ksheerabala taila fornisce “Snehana” e “brumhana” al corpo incluse le articolazioni (sandhis). Nutre kapha con l’azione snehana che aiuta a placare “ruksha e khara guna” di vata dosha morboso, inoltre agisce come “sandhi sanshleshana” (contribuisce alla formazione delle articolazioni) e “sthirata” (stabilizza le articolazioni). Attraverso l’azione “brumhana” contrasta “asthi dhatu kshaya” (caduta di capelli e fragilità delle unghie) tipiche di “janusandhigatavata”. “Bala” (Sida cordifolia L.) dimostra di avere attività analgesiche e antinfiammatorie che aiutano a ridurre “janu shoola” (dolore del ginocchio) e “shotha” (edema/infiammazione). [25,14]

5) La somministrazione orale di Ksheerabala taila mostra benefici in “margavaran janya pakshaghat” (emiplegia). “Shatpaki” con Ksheerabala taila agisce come rasayana per tutti i tipi di vata-roga. I “kalpa rasayana” vengono solitamente somministrati per un periodo di un mese per ottenere la loro migliore efficacia terapeutica. Migliorano la potenza muscolare e la forza del corpo; aiutano inoltre a migliorare la qualità della vita di pazienti. [25,5]

6) Le procedure “Padabhyanga” e “Moordhataila” con Ksheerabala taila possono contrastare l’insonnia (irritabilità, instabilità, etc.); Moordhataila con Ksheerabala Taila contribuisce a conferire chiarezza agli organi di senso, e forza alla voce, alla mascella inferiore e alla testa; aiuta a mantenere giovane il corpo e a contrastare l’esaurimento mentale. [25,8,9]

7) Ksheerabala taila, attraverso Shiro Pichu, agisce a livello sistemico attraverso assorbimento e derivazione cellulare con effetti sul SNC grazie alla sua natura “Sneha”; agisce principalmente su ipofisi e l’ipotalamo, che sono associate a molte funzioni fisiche e mentali. Rivitalizza il sistema nervoso centrale migliorando l’afflusso di sangue e la nutrizione al cervello. Secondo Charaka (ma anche Sushruta e Vagbhata) è un trattamento classico per Nidranash (insonnia). [25,23]

8) Sarvanga Samvahan con Ksheerabala taila risulta essere un altro importante trattamento in diverse condizioni infatti abhyanga (massaggio) aumenta il rilascio di endorfine e neurotrasmettitori che riducono il dolore e quando il Samvahan viene eseguito per una durata specifica, è benefico per il corpo migliorano anche la pelle e il sangue, oltre ad altri Dhatu. [23,25]

9) Ksheerabala taila preparato con Sida cordifolia Linn. e Sida retusa Linn. dimostrano effetto anticonvulsivante nei ratti Wistar. Lo stress ossidativo è ritenuto il meccanismo più importante nello sviluppo e nella progressione dell’epilessia e di altre malattie tra cui il morbo di Alzheimer, malattie croniche degenerative, ictus, AR, diabete e malattie oncologiche. La presenza di antiossidanti nei due generi di Bala previene il possibile danno dei neuroni che si verificano per ripetute crisi epilettiche. Ksheerabala taila ha dimostrato di ridurre lo stress ossidativo nel cervello di ratto. [25,22]

10) “Sarvanga samvahan” e “Shiropichu” con Ksheerabala taila possono essere utili in menopausa. L’Ayurveda postula [25,23] che la menopausa è un processo fisiologico. Con l’avanzare dell’età, si verifica “dhatukshaya” (riduzione/esaurimento dei tessuti corporei) a causa dell’aumento di vata. Matrabasti con Ksheerabala taila per tutte le donne in post menopausa (come pratica regolare) sarà utile per contrastare l’aumento di Vata. Ksheerabala taila, (insieme all’uso di fitoestrogeni, analgesici, antiossidanti, ecc.) grazie a tutte le sue proprietà, quando somministrato in forma basti, dimostra un generale effetto sistemico sull’organismo. [25,24]

 

Conclusioni ai fini pratici

I componenti di Ksheerabala Taila dimostrano di sopprime l’infiammazione dei nervi e promuoverne la rigenerazione, inoltre rinforzano i muscoli grazie alle proprietà “balya” e “brumhana”; queste azioni aiuterebbero anche a contrastare l’usura dei tessuti nervosi e muscolari.
L’azione di Ksheerabala taila può essere analizzata in base a “rasa panchaka” (principi ayurvedici di azione farmacologica) dei suoi ingredienti. Tutti e tre gli ingredienti posseggono “madhura rasa” e “vipaka”, e sono pacificatori di Vata e di Pitta”; grazie a queste caratteristiche rinforzano i tessuti, sono benefici per gli organi di senso, piacevoli per la mente e danno nutrimento al corpo.

Ksheerabala taila viene descritto come utile in tutte le ottanta condizioni croniche di origine vata e “Vata nanatmaja vikara” (le malattie si verificano solo a causa di vizio di Vata) come Akshepaka (convulsioni), vepathu (tremore anche da Parkinson), vishada (depressione), insonnia. Nel trattamento dell’epilessia, Ksheerabala taila, viene utilizzato come farmaco rasayana e la somministrazione continua di questa formulazione dimostra di prevenire il rilascio di scariche elettriche improvvise e di migliorare le condizioni fisiche e mentali del paziente. Ricerche recenti hanno dimostrato che Ksheerabala taila riduce lo stress ossidativo nel cervello di ratto e quindi possiede un effetto dimostrato sulla neuro tossicità.

Lo stress ossidativo è il meccanismo più importante nello sviluppo e progressione dell’epilessia e di altre malattie tra cui il morbo di Alzheimer, disturbi cronici degenerativi, ictus, artrite reumatoide, diabete e malattie oncologiche. In particolare la presenza di flavonoidi in Sida cordifolia L. è stata confermata dall’analisi fitochimica e questi bioattivi, così come i loro glicosidi, esercitano effetti ansiolitici, sedativi e anticonvulsivanti sul sistema nervoso centrale. La presenza di antiossidanti previene il possibile danno ai neuroni. Ksheerabala taila dimostra di ridurre l’infiammazione e il dolore alle articolazioni, per cui risulta utile nella gestione delle malattie degenerative come l’artrosi. Poiché Ksheerabala taila dimostra di fornire forza ai muscoli e aumentare la loro vitalità (poiché fornisce la nutrizione necessaria ai muscoli e alle ossa) risulta concettualmente molto utile per prevenire e trattare il deperimento muscolare, nell’atrofia muscolare e nella fibromialgia. [25,26]

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A cura della direzione scientifica di Benefica

Nat. Volatiles & Essent. Oils, 2021; 8(5): 9629-9643. 

“SYSTEMIC REVIEW ON BENEFITS OF KSHEERABALA TAILA.”  

1DR. JAYA K. GHORE, 2Dr.Ashwini Patil, 3Dr.Mrudul Chitrakar 

Author information:

1 B.A.M.S., M.D. (Kaychikitsa), Associate Prof. Panchakarma, D.Y.Patil School Of Ayurveda, Nerul, Nerul, Navi Mumbai.
2 B.A.M.S., M.D.(Shalakyatantra), Professor Shalakyatantra, D.Y.Patil School Of Ayurveda, Nerul, Navi Mumbai.
3 B.A.M.S., M.D. (Swasthvritta), Associate Prof. Swasthvritta, D.Y.Patil School Of Ayurveda, Nerul, Navi Mumbai.

 

ABSTRACT

Introduction: In Ayurvedic pharmacology snehapakkalpana has its at most importance. Siddha sneha can be administered through different route for getting varied result. Ksheerbalataila is an important snehakalpana mentioned in Ayurveda texts prepared from Go-ksheera (cow milk), Bala (Sida cordifolia L.) and TilaTaila (sesame oil) and practiced to treat vatvyadhi. The aim of this study is to investigate and offer an updated perspective with different studies on KsheerabalaTaila with different mode of administrations.

Method: The present study was conducted in accordance with the PRISMA checklist for systematic reviews and meta-analysis. The required information was collected from the pubmed and scholarly published work in Ayurvedic& other journals. The searches for this review made with the help of Google search engine by key word ksheerabalataila.

Result: This review included 22 papers out of which 12 were clinical study, 6 case study, 2 review articles, 1 pharmaceutico-analytical study & 1 animal study. Ksheerabalataila used in different systemic disorders with different route of administration like shiropichu, shirobasti, talam, nasya, matrabasti, anuvasanbasti, padaabhyanga & samvahana. With these different application we get benefits in treating disorders like ardita, anidra, pakshaghat, maragavran, macular degeneration, epilepsy, cerebral palsy, sandhigatavata, etc.

Conclusion: Different method of preparation are described in many text and numerous studies have been conducted regarding the clinical efficacy of ksheerabalataila, pharmaceutico- analytical study of trividhas nehapaka of ksheerbala tail shows madhyampakasneha useful for therapeutic efficacy. [1] The presence of go-kheera,bala and tilat aila makes Ksheerabala tail to pacify all the eighty chronic condition of vata origin such as Ardita,katishula,katigraha,sandhigatvata,cerebralpalsy,hemiplegia,kampvata and other neurological disorders. It is widely used oil in various panchakarma therapies like snehan, kavala,talam,nasya,matrabasti,shirobasti, and other methods of moordhanitaila. Ksheerabalataila is an important oil formulation and there is a need to conduct more scientific studies on ksheerbalataila in order to prove its efficacy on various nuerological disorders.

Keywords: Ksheerabala Taila; Neurological disorders; Sesame oil; Sida cordifolia

Nat. Volatiles & Essent. Oils
ISSN 2148-9637 

 

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Newsletter Fitoterapia nr. 62 – Febbraio 2022

Ashwagandha: Stanchezza fisica, Recupero, Sport.

Nuove evidenze

 

Journal of Functional Morphology and Kinesiology, 6(1), 20. (PubMed).

Effects of Ashwagandha (Withania somnifera) on physical performance: systematic review and bayesian meta-analysis. 

Bonilla, D. A., Moreno, Y., Gho, C., Petro, J. L., Odriozola-Martínez, A., & Kreider, R. B. (2021).

 

Ashwagandha (Withania somnifera Dunal) è una pianta medicinale tra quelle di maggior interesse in questo periodo; essa infatti è oggi proposta nella formulazione di numerosi integratori naturali consigliati per migliorare efficienza fisica e mentale in diverse condizione di affaticamento psico-fisico (stress, lavoro, studio, sport, etc.). L’uso tradizionale e la recente letteratura scientifica riconoscono, in particolare alla radice di Ashwagandha, una generale azione adattogena sia fisica che mentale che risulta significativa sulla sfera fisica in termini di recupero e supporto a prestazione di resistenza fisica a sforzi muscolari (sport). Le evidenze scientifiche hanno ricondotto primariamente questa azione alla capacità della pianta medicinale di influenzare la neurotrasmissione dopaminergica [44] [8] (per questo motivo negli ultimi anni Ashwagandha è stata molto studiata anche come fonte di potenziale utilità nella malattia di Parkinson) tuttavia ad alcuni e specifici metaboliti secondari di Ashwagandha vengono attribuite azioni adattogene fisiche grazie al coinvolgimento di percorsi antinfiammatori e antiossidanti. [48] [10]

La newsletter sintetizza le conclusioni di una complessa e recente metanalisi (2021) disponibile in PubMed, che valutando i risultati di studi clinici dal 2010 fino al 2020, supporta i razionali d’uso dell’integrazione con Ashwagandha (Withania somnifera Dunal) per sostenere e migliorare e recuperare le performances fisiche (la forza muscolare, VO2max, affaticamento muscolare, stanchezza e recupero fisico, dolore, stato infiammatorio e qualità del sonno) in individui sani ed in particolare nell’attività sportiva.

 

Sintesi della metanalisi

Nel sistema medico tradizionale dell’India, è considerato Rasayana tutto ciò che fornisce nutrimento e supporto, insieme a raccomandazioni di comportamento in tutte le fasi della vita, per ritardare l’inizio dei processi di invecchiamento. [19]

Tra le piante medicinali maggiormente impiegate per questo scopo vi è l’Ashwagandha (Withania somnifera) [59], che è considerata una potente pianta adattogena e antistress. [29] Brekhman e Dardymov [5] hanno proposto nel 1969 il termine adattogeno come agente sicuro per aumentare in modo aspecifico la resistenza contro fattori nocivi o “stressor” fisici, chimici, biologici e psicologici e per normalizzare l’omeostasi negli individui.
Ad Ashwagandha, comunemente nota anche come “ginseng indiano” (fam. Solanaceae), oltre a proprietà adattogene, diversi autori hanno attribuito molteplici benefici medicinali comprese azioni antitumorali, antinfiammatorie, ipoglicemizzanti e antiossidanti. [48] [28]

Queste caratteristiche hanno generato un grande interesse scientifico per lo studio della composizione chimica di questa pianta. Diversi composti bioattivi, comprendenti flavonoidi, tannini, alcaloidi, glicosidi e lattoni steroidei sono stati identificati in foglie, steli e radici. [52] Tra i lattoni steroidei vi sono i withanolidi, che vengono descritti come bioattivi molto importanti e responsabili di diverse proprietà benefiche di questa pianta.
I withanolidi sono steroidi poliossigenati costruiti sullo scheletro dell’ergostano, la loro diversità strutturale dipende generalmente dalla natura e dal numero di sostituenti ossigenati e il grado di saturazione degli anelli. Questa diversità definisce i withanolidi a scheletro non modificato (tra i quali la “withaferina A” molto importante per le potenzialità medicamentose) e a scheletro modificato (fisalin C). Nella famiglia delle Solanaceae attualmente sono noti circa 580 withanolidi con scheletri non modificati. L’ampia varietà strutturale dei withanolidi può essere correlata alle molteplici funzioni biologiche, oltre a quella adattogena, che vengono attribuite ad Ashwagandha (antimicrobica, antinfiammatoria, immunomodulatoria, neuroprotettiva, citotossica, antiossidante). La moderna tecnologia farmaceutica ha sviluppato diverse metodiche per l’estrazione e la purificazione di questi composti come ad esempio dei withanolidi e withanosidi (forme glicosilate) per i quali l’estrazione acquosa subcritica consente una maggiore resa nella solubilizzazione di questi composti (principalmente in estratti di radice), ed il mantenimento delle loro proprietà biologiche, a confronto con altri metodi come la macerazione, l’estrazione Soxhlet e l’estrazione assistita da microonde, che richiedono lunghi periodi di tempo e l’uso di solventi organici. [32] Trivedi et al. (2017) hanno identificato un totale di 43 withanolidi nell’estratto idroalcolico della radice di Ashwagandha, tra cui la withaferina A, il withanolide A, il withanoside IV e VI, il withanolide D, il diidrowithanolide D e il withanolide solfossido. [53]

Tra questi, il withaferin A e il withanolide A possiedono azioni farmacologiche molto studiate in oncologia e nelle malattie neurodegenerative, come il Parkinson e l’Alzheimer.[17,18,21] Ashwagandha è impiegata per diversi scopi terapeutici di natura adattogena tuttavia diverse recenti revisioni sistematiche e meta-analisi hanno dimostrato anche il suo potenziale per combattere l’infertilità maschile [11], migliorare la funzione del sistema riproduttivo [30], fungere da coadiuvante al trattamento del diabete [9], evitare il deterioramento della funzione cognitiva. [31]

Il crescente interesse per Ashwagandha come adattogeno è spiegato dagli effetti anche di alcuni dei metaboliti secondari di Ashwagandha che aiuterebbero nel miglioramento delle prestazioni fisiche, grazie a vari effetti a livello metabolico e fisiologico, attraverso la regolazione di alcuni percorsi antinfiammatori e antiossidanti. [48] [10] L’effetto “adattogeno fisico” di Ashwagandha è stato anche recentemente riconfermato da un’altra metanalisi che conclude che Ashwagandha potrebbe offrire benefici ergogenici per individui attivi e atleti; infatti, Pérez-Gómez et al. [35] recentemente hanno concluso che il consumo di estratto di Ashwagandha aumenta significativamente l’assorbimento massimo di ossigeno (VO2max). In precedenza alcuni altri lavori hanno dimostrato che la somministrazione di Ashwagandha, durante un programma di allenamento di resistenza, migliora la forza e potenza muscolare degli arti superiori e inferiori. [55] [57]

 

Gli studi nella metanalisi

I criteri di inclusione per questa revisione sistematica sono stati i seguenti: (1) studi clinici (randomizzati o meno) in femmine e maschi sani; (2) articoli pubblicati a partire dal 2010 in poi; (3) studi scritti in inglese, tedesco e spagnolo; (4) prove che hanno valutato l’ effetto della supplementazione di Ashwagandha rispetto a un gruppo di controllo o con misure ripetute; e (5) studi che riportavano gli effetti sulle variabili relative alla prestazione fisica (es. forza muscolare, VO2max, affaticamento muscolare, stanchezza e recupero fisico). Gli studi che non corrispondevano a ricerche originali (es. editoriali, note, recensioni, dissertazioni, ecc.) o che non includevano adulti (ad es. bambini, anziani, ecc.) sono stati esclusi. Gli studi sono stati raccolti, con algoritmi booleani, da database accademici e di ricerca gratuiti (PubMed/Medline, ScienceDirect, Google Scholar) e attraverso ricerca manuale. Dagli studi selezionati sono stati ottenuti e analizzati i seguenti dati: (I) statistiche descrittive della popolazione in studio; (II) durata dello studio; (III) caratteristiche del protocollo di integrazione di Ashwagandha; (IV) grandezza e unità dell’analizzato variabili; (V) la percentuale di variazione secondo la formula: (post-pre)/pre * 100, e differenza significativa rispetto al placebo o al gruppo di controllo (se esistente); e (VI) conclusioni dello studio. Gli esiti primari analizzati negli studi erano i cambiamenti nelle variabili delle prestazioni fisiche (forza muscolare, VO2max, affaticamento muscolare, stanchezza e recupero fisico) successivamente all’integrazione con Ashwagandha. Le pubblicazioni selezionate che soddisfacevano tutti i requisiti sono passate alla fase successiva di analisi e di sintesi dei dati. Tutti gli studi inclusi in questa meta-analisi hanno confrontato un gruppo sperimentale (che ha ricevuto la supplementazione di Ashwagandha) contro un gruppo di controllo (placebo) per quanto riguarda le variabili delle prestazioni fisiche. Dalla ricerca attraverso gli operatori booleani e parole chiave specifiche, sono stati ottenuti 1310 riferimenti. Dopo il processo di screening delle pubblicazioni trovate (filtraggio per data, tipo di articolo e disponibilità del testo completo) sono emersi 484 studi potenzialmente ammissibili. Tuttavia, dopo aver valutato gli abstract e il testo completo di questi studi per filtrare i duplicati e analizzare la stretta conformità con gli altri criteri di inclusione, sono stati esclusi 471 articoli. Un totale di 13 studi ha soddisfatto i requisiti di questa revisione sistematica. La metanalisi conclude che, su un totale di 615 adulti sani che hanno partecipato agli studi analizzati in questa revisione sistematica, ci sono prove dirette che suggeriscono che l’integrazione di Ashwagandha ha un effetto positivo su diverse variabili legate alla prestazione fisica rispetto a un gruppo placebo o di controllo. Tutti gli studi inclusi nell’analisi quantitativa erano studi randomizzati controllati con placebo; un solo studio a misure ripetute è stato escluso poiché non includeva il gruppo placebo. [38]

Gli approcci meta-analitici erano basati sui cambiamenti rispetto al basale, che secondo la letteratura attuale, potrebbero essere più efficienti e potenti rispetto a un confronto dei soli valori post-intervento. [14] Le dimensioni degli effetti molto estreme sono state escluse dalla meta-analisi poiché possono influenzare l’effetto complessivo e/o aumentare l’eterogeneità.

 

I risultati della metanalisi in breve

1) Per la valutazione d’effetto dell’integrazione di Ashwagandha sulle prestazioni di Forza e Potenza questa metanalisi ha incluso 5 studi; 3 di questi studi [55] [57] [42] hanno fornito risultati multipli, mentre uno [51] ha riportato risultati multipli in bracci di trattamento multipli. In totale, sono state stimate sette dimensioni d’effetto su diverse variabili relative alla forza e alla potenza (forza muscolare degli arti superiori e inferiori, impugnatura, velocità massima, potenza relativa e concentrazione di testosterone); gli studi sono stati condotti su un totale di 198 partecipanti, di cui 104 nel gruppo Ashwagandha e 94 nel gruppo placebo. I risultati della metanalisi concludono che, rispetto al placebo, l’effetto dell’integrazione di Ashwagandha è stato medio (dub: 0,68; IC 95%: da 0,40 a 0,95) con poca eterogeneità tra gli studi (dub = 1,11) e che risulta probabile che gli effetti dell’integrazione di Ashwagandha siano significativi sulle variabili relative alla forza/potenza. [Dimensione d’effetto aggregato di µ = 0,67 / 95% CrI compreso tra 0,28 e 1,04/ deviazione standard tra gli studi relativamente piccola (τ = 0,31 (95% CrI 0,01–0,96)) con un valore assoluto della varianza reale di τ2 = 0,09 (bassa eterogeneità) / probabilità d’effetto pooled > di 0,20 molto alta (98,3%)].

2) Per la valutazione d’effetto dell’integrazione di Ashwagandha sul fitness cardiorespiratorio questo sottogruppo della meta-analisi includeva sette studi. Uno studio [24] ha fornito risultati multipli, mentre uno studio [51] ha riportato effetti multipli in bracci multipli. Un totale di otto dimensioni d’effetto sono state dedotte dagli studi che hanno confrontato la somministrazione di Ashwagandha (totale n = 119) con i gruppi di placebo (totale n = 107) su variabili correlate al fitness cardiorespiratorio (VO2max e [Hb]). I risultati della metanalisi concludono che, rispetto al placebo, l’effetto dell’integrazione di Ashwagandha sulla performance cardiorespiratoria è stato molto ampio (dub: 1,85; 95 % CI: da 1,40 a 2,31) con un’eterogeneità di studio (da bassa a media) in termini di deviazione standard tra gli studi (τ = 0,55 (95% CrI 0,03–1,44)). Il modello baesyano ha indicato una dimensione d’effetto molto ampia per l’integrazione con Ashwagandha (µ = 1,89 (95% CrI 1.30-2.51)). La distribuzione predittiva a posteriori ha mostrato che la probabilità che la dimensione dell’effetto sia maggiore di 0,20 è assolutamente alta (100%), il che suggerisce effetti positivi dell’integrazione di Ashwagandha sulla forma cardiorespiratoria (cioè, VO2max e [Hb]).

3) Per la valutazione dell’effetto dell’integrazione di Ashwagandha su fatica e recupero è stato considerato un totale di nove dimensioni dell’effetto da otto studi. Salve et al. (2019) hanno riportato sia esiti multipli in bracci di trattamento multipli. [41] I risultati analizzati comprendevano variabili di salute fisica, affaticamento muscolare, danno/dolore muscolare, recupero del sonno e cortisolo in 403 partecipanti, di cui 203 nei gruppi Ashwagandha e 200 nei gruppi placebo; in particolare sono state analizzate le variabili di componente di salute fisica del test di qualità della vita, tempo all’esaurimento, scala dello stato di recupero, superossido dismutasi ed efficienza del sonno. I risultati della metanalisi concludono che, rispetto al placebo, l’effetto dell’integrazione di Ashwagandha su fatica e recupero è stato molto ampio (dub: 1,17; IC 95%: da 3,01 a 1,049) con un’eterogeneità media tra gli studi e la dimensione dell’effetto pooling del modello bayesiano era 1,18 (95% CrI da 1,70 a 0,63). Pertanto dalla metanalisi emerge che c’era una grande dimensione complessiva dell’effetto degli interventi di Ashwagandha a favore delle variabili correlate alla fatica/recupero. L’ECDF ha mostrato che la probabilità dell’effetto cumulativo sia maggiore di 0,20 in è molto alto (99,9%), il che suggerisce che è molto probabile che gli effetti dell’integrazione di Ashwagandha siano significativi per ridurre l’affaticamento e migliorare il recupero.

 

Il messaggio della metanalisi

Lo scopo di questa revisione sistematica e meta-analisi è stato quello di valutare l’effetto dell’integrazione di Ashwagandha sulle prestazioni fisiche ed in particolare su tre componenti della prestazione fisica (forza/potenza, fitness cardiorespiratorio e affaticamento/recupero); la metanalisi conclude che il confronto tra la somministrazione di Ashwagandha e il placebo nella stima dimensionale dell’effetto pooled, risulta sostanzialmente diversa da zero a favore dell’effetto del trattamento. Nel complesso, i risultati di questo studio hanno dimostrato che l’integrazione di Ashwagandha era più efficace del placebo per migliorare le prestazioni fisiche. Anche l’approccio baesyano impiegato nella metanalisi fornisce una fondata fiducia nei risultati che sono stati ottenuti. [20]

Per quanto riguarda il razionale della supplementazione di Ashwagandha, si può essere abbastanza fiduciosi che essa sia almeno in qualche modo benefica sulle componenti analizzate della prestazione fisica, poiché gli intervalli per la dimensione dell’effetto meta-analitico risultano credibili e sono completamente predittivi della “capacità favorente” dell’integrazione. Da alcuni studi è stato concluso che l’integrazione di Ashwagandha (tra 240 e 600 mg al giorno) potrebbe aumentare le variabili relative a forza/potenza in individui sani ma che non si sottopongono a frequenti programmi di allenamento e condizionamento fisico. [55] [42] [51] [23]

Uno studio [57] ha dimostrato che le capacità di adattamento nell’allenamento di resistenza, possono aumentare dopo dodici settimane di integrazione di Ashwagandha in individui costantemente allenati per sviluppare la forza. Analogamente lo studio di Raut et al. (2012), ha concluso che Ashwagandha non solo è sicuro a dosi crescenti da 750 a 1250 mg al giorno, ma ha anche effetti positivi sulla forza muscolare in soggetti sani fisicamente attivi e costantemente allenati. [38] I cambiamenti riportati negli studi analizzati includono variabili quali forza muscolare, dimensione muscolare, testosterone sierico, velocità massima, potenza assoluta e relativa e dalla matanalisi baesyana emerge che la probabilità che l’integrazione di Ashwagandha possa indurre un aumento clinicamente significativo di forza/potenza rispetto al placebo è molto alta.
Per quanto riguarda la performance cardiorespiratoria, un’altra recente meta-analisi ha concluso che l’integrazione di Ashwagandha aumenta significativamente il VO2max sia nei partecipanti non allenati che in quelli allenati. [35]

Anche nella metanalisi segnalata nella Newsletter è emerso un ampio effetto del trattamento combinato con Ashwagandha sulla performance cardiorespiratoria con un aumento significativo di VO2max e [Hb] con aumenti statisticamente diversi dal placebo dopo 8-24 settimane di integrazione giornaliera con 330-1000 mg di Ashwagandha. Questi risultati suggeriscono che, pur nella necessità di ulteriori conferme, l’integrazione con Ashwagandha abbia un’alta probabilità di avere un’utilità e sembra che più alto è il dosaggio, migliori siano i risultati soprattutto in atleti e individui allenati. È stato inoltre dimostrato che il consumo di 120-1000 mg di Ashwagandha al giorno riduce l’affaticamento e ottimizza il recupero negli individui sani. Gli studi selezionati che sono stati inclusi in questa revisione sistematica hanno mostrato miglioramenti nella salute fisica (una componente del test della qualità della vita), affaticamento muscolare (aumento sia dei tempi di esaurimento che di recupero percepito), danno/indolenzimento muscolare (riduzione di livelli di CK e aumento di SOD), recupero del sonno (migliore qualità complessiva del sonno) e livelli di stress (riduzioni considerevoli dei livelli di cortisolo). Il modello di meta-analisi bayesiano ha rivelato che, rispetto al placebo, l’effetto combinato della supplementazione di Ashwagandha era molto ampio (1,18 (95% CrI da da 1,70 a 0,63)) e che è molto probabile un effetto credibile sulla riduzione della fatica e sul miglioramento del recupero dall’affaticamento.

 

Probabile meccanismo di azione

Gli effetti positivi dell’estratto acquoso di radice di Ashwagandha sulla forza/potenza muscolare, sulla forma cardiorespiratoria e sull’affaticamento/recupero descritti dalla maggior parte degli studi inclusi in questa revisione sistematica potrebbero essere dovuti, in parte, alle proprietà antiossidanti di questa pianta. Per i processi di adattamento fisiologico all’esercizio fisico sono necessari adeguati livelli fisiologici di specie reattive dell’ossigeno (ROS); sovrallenamento, scarsa disponibilità di energia o scarsa igiene del sonno potrebbero aumentare la produzione di ROS, influenzando negativamente gli adattamenti in risposta all’esercizio. [36] [12] [3]

È stato dimostrato che i ROS inducono modificazioni strutturali delle proteine miofibrillari, che ne influenzano la funzione (ad esempio, bassa sensibilità al Ca2+ intracellulare). In questo senso, diversi studi hanno dimostrato che la supplementazione di antiossidanti può contrastare e ritardare l’affaticamento muscolare durante l’esercizio prolungato nell’uomo; [25][26][27] pertanto l’impiego di bioattivi antiossidanti rientra in logica comune per l’aumento di forza e potenza attraverso la possibile ottimizzazione del processo muscolare di recupero e adattamento dopo uno sforzo fisico, che ha un’implicazione pratica sulla frequenza, e quindi sul volume, dell’allenamento. Diversi studi su animali e cellule hanno identificato potenziali bersagli molecolari dei metaboliti secondari di estratti di Ashwagandha che potrebbero essere coinvolti nella regolazione dello stress ossidativo a livello cellulare. La withaferina A è un potente induttore di Nrf2, un fattore di trascrizione che regola l’espressione di enzimi antiossidanti in risposta allo stress ossidativo, in un modello murino di tossicità epatica indotta. [34]

Sempre la withaferina A in cellule mioblastiche esposte a ischemia/riperfusione simulata aumenta la sopravvivenza cellulare inducendo l’espressione di proteine con attività antiossidante. [56]

L’effetto citoprotettivo di Ashwagandha attraverso l’attivazione di Nrf2 è stato corroborato in diversi contesti cellulari e in diverse combinazioni di estratti vegetali [39] [15]54] ed in generale diverse vie di segnalazione anaboliche e cataboliche, che regolano la sintesi proteica muscolare e il metabolismo energetico, risulterebbero influenzate da Ashwagandha nella regolazione della miogenesi nel muscolo scheletrico nell’uomo e in modelli animali.
Diversi autori hanno concluso che Ashwagandha eserciterebbe una sia una funzione promiogenica sia un effetto modulatorio della miogenesi e della rigenerazione muscolare, suggerendo una complessa regolazione di queste vie di segnalazione durante la formazione muscolare. Diversi studi hanno mostrato l’effetto dei withanolidi sulla regolazione dell’attività trascrizionale di NF-κB in diversi modelli sperimentali in vivo e in vitro [18]; il withaferin A e il viscosalactone, insieme ai loro derivati acetilati, bloccano questa via di segnalazione inibendo la fosforilazione e la degradazione di IB, bloccando l’espressione dei geni correlati a NF-κB [16]; la withaferina A inibisce direttamente l’attività della chinasi IKK, che fosforila IκBα prima della sua ubiquitinazione e degradazione, attraverso un meccanismo redox sensibile all’alchilazione tiolica. [18]

Allo stesso modo, la withaferina A e withanolide D hanno bloccato l’attività angiogenica delle cellule endoteliali inibendo la degradazione di IB e inducendo l’espressione dell’enzima antiossidante HO-1. [2] Pertanto la witaferina A, tra gli altri metaboliti secondari, è stata identificata come regolatrice di diversi contesti cellulari che possono favorire la miogenesi e il metabolismo ossidativo negli umani. In termini di fitness cardiorespiratorio e prestazioni di resistenza, è stato riportato che l’integrazione con Ashwagandha contribuisce all’aumento di [Hb] e dei marcatori ematologici (concentrazione media di emoglobina corpuscolare [MCH], concentrazione media di emoglobina cellulare [MCHC] e volume corpuscolare medio [MCV]) prevenendo lo stress ossidativo. [24]

Questi effetti fisiologici rappresenterebbero i meccanismi principali per spiegare l’aumento del VO2max. Schumacher et al. [46], in ciclisti professionisti, hanno riportato MCV e MCH più elevati nei periodi delle competizioni rispetto al periodo di bassa stagione. Borges et al. [4] hanno anche mostrato un aumento sostanziale di MCV e MCH nei kayaker professinisti dopo un periodo di addestramento ad alta intensità. Rietjens et al. (2002) hanno studiato la correlazione dell’assunzione di Ashwagandha con [Hb] e VO2max negli esercizi al cicloergometro e sul tapis roulant nei triatleti [40], e alcune ricerche hanno mostrato una correlazione tra queste variabili negli atleti in allenamenti in quota [45] e tra la [Hb] e la capacità di esercizio. [33] [6] Shenoy et al. (2012) hanno riportato un aumento maggiore del tempo all’esaurimento negli uomini rispetto alle donne (rispettivamente 10,7% contro 4,3%), che ha portato a risultati più elevati di VO2max per gli uomini (rispettivamente 16,1% contro 9,0%); ciò implicherebbe che gli uomini hanno risposto di più all’integrazione rispetto alle donne, forse per una diversa mediazione dell’effetto di Ashwagandha da parte del sistema endocrino. [47]

L’integrazione con estratti di Ashwagandha (600 mg al giorno 15-20 mg di withanolidi) potrebbe non solo contrastare la produzione di ROS durante l’esercizio ma anche aumentare i livelli di testosterone nei maschi sani [22] (probabilmente attraverso le vie metaboliche della biosintesi degli steroidi che comporta la conversione di saponine o derivati sterani presenti nell’Ashwagandha [52] in testosterone e derivati come DHEA), il che giustificherebbe le differenze di effetti nelle prestazioni fisiche tra uomini e donne se si considerano gli effetti eritrogeni ben documentati del testosterone. [13]

Considerando l’importanza del riposo e del sonno nei processi di adattamento allo sforzo fisico, alcuni degli studi esaminati supportano il fatto che l’integrazione con Ashwagandha possa ottimizzare la qualità del sonno. In effetti, è stato scoperto che l’estratto di radice di Ashwagandha (300 mg due volte al giorno per 10 settimane) ha il potenziale per migliorare la qualità del sonno in pazienti con insonnia senza presentare effetti collaterali. [58]

Questo potrebbe non solo favorire i processi di adattamento all’esercizio ma anche accelerare la riabilitazione e il riadattamento fisico dopo una lesione muscolo-scheletrica. In questo senso, uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo ha mostrato che l’integrazione con 125 mg e 250 mg di Ashwagandha, entrambi assunti bis in die in pazienti con dolore alle articolazioni del ginocchio per un periodo di 12 settimane, ha avuto una significativa efficacia del trattamento nella riduzione del dolore e risultati di ottima tollerabilità rispetto al basale e al placebo (con risultati migliori quando si assumono 250 mg due volte al giorno). [37]

 

Conclusioni ai fini pratici

Su base di quanto predittivo ed emergente dagli studi disponibili [49], Ashwagandha aiuterebbe a superare il sovraccarico allostatico e ad accelerare gli adattamenti richiesti dall’esercizio mediante l’attivazione di variabili modulatrici dello stato allostatico [3], con effetti, da indagare ulteriormente, in determinate situazioni bio-psico-ambientali.
Da un punto di vista pratico questa revisione sistematica / meta-analisi bayesiana mostra che i protocolli di integrazione di Ashwagandha tra 120 mg e 1250 mg al giorno possono migliorare le prestazioni fisiche. Per quanto riguarda i tempi di somministrazione, sette studi hanno previsto l’integrazione con Ashwagandha una volta al giorno come segue: quattro studi ogni mattina, due studi ogni pomeriggio o sera e uno studio ogni sera prima di coricarsi. Sei studi hanno prescritto dosi bis in die (due volte al giorno, al mattino presto e alla sera).
Le dosi più elevate sono state prescritte per individui e atleti allenati; sembra che 300-500 mg due volte al giorno (mattina e prima di dormire) potrebbero essere un protocollo di integrazione sicuro ed efficace sia per le donne che per gli uomini che si sottopongono a un intenso allenamento di resistenza. Dosi più basse (300 mg una volta al giorno) potrebbero essere prese in considerazione per soggetti non fisicamente attivi, non soggetti a programmi di allenamento e/o impegnati in programmi di esercizio fisiche. Le concentrazioni di withanolidi degli estratti possono variare secondo la comune variabilità fitochimica che si può trovare in tutti gli estratti di erbe. Sangwan et al. [43] hanno concluso che le oscillazioni d’effetto potrebbero essere dovute a fattori quali (1) biorisorse eterogenee (selvatiche e/o raccolte); (2) variazioni fisiologiche ed ecologiche nelle piantagioni; (3) operazioni di raccolta e raccolta post-raccolta; (4) processo di lavorazione della biomassa e fabbricazione del prodotto; e (5) supplementi non regolamentati, contaminati e non descritti. I più recenti metodi analitici (cromatografia su strato sottile ad alte prestazioni, HPTLC) consentono di rilevare e quantificare rapidamente e selettivamente alcuni withanolidi e composti fenolici presenti in diversi componenti dell’Ashwagandha (radice, gambo e foglia) [50], che garantiscono la qualità e l’affidabilità dei prodotti utilizzati. Negli studi clinici presi in considerazione (valutando tassi di interruzione dei trattamenti e soddisfazione del paziente), nessuno degli studi clinici ha riportato gravi effetti avversi nel consumo di Ashwagandha nelle dosi previste e per la durata della somministrazione. In particolare, Raut et al. (2012) hanno dimostrato che l’estratto acquoso di radice di Ashwagandha sembra essere sicuro nei test di funzionalità degli organi ematologici e biochimici. Più recentemente, Salve et al. (2019) hanno concluso che 600 mg di Ashwagandha al giorno sono stati ben tollerati senza eventi avversi segnalati dai partecipanti un periodo di otto settimane.

I benefici positivi di Ashwagandha sul profilo ormonale (DHEA-S e testosterone) in uomini in sovrappeso sopra i 50 anni [22], sulla memoria immediata e generale, sulla funzione esecutiva, sull’attenzione e sulla velocità di elaborazione delle informazioni in soggetti di 50 anni con lieve deterioramento cognitivo [44], e sulla qualità della vita, prontezza mentale e qualità del sonno in uomini e donne sani di età superiore ai 70 [8], rende l’estratto di radice di Ashwagandha un’alternativa nutrizionale per ottimizzare le condizioni fisiche, la salute delle ossa e dei muscoli prevenendo perdita di massa muscolare e forza negli anziani.
Secondo i risultati ottenuti nella revisione sistematica/ metanalisi e considerando i più recenti risultati emerge che l’estratto di radice di Ashwagandha potrebbe essere utilizzato per controllare la massa corporea negli adulti sottoposti a stress cronico [7] e in protocolli nutrizionali e di intervento fisico per migliorare la composizione corporea con finalità estetiche, di salute o per le prestazioni sportive.
I risultati di questa revisione sistematica/ meta-analisi bayesiana hanno dimostrato che l’integrazione di Ashwagandha era più efficace del placebo nel migliorare le variabili relative a forza/potenza, fitness cardiorespiratorio e fatica/recupero in uomini e donne sani; infatti, la probabilità di una reale dimensione dell’effetto favorente la prestazione fisica, in soggetti che assumono Ashwagandha come integrazione, è molto alta (>95%).

 

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Journal of Functional Morphology and Kinesiology 6.1 (2021): 20.

Effects of Ashwagandha (Withania somnifera) on Physical Performance: Systematic Review and Bayesian Meta-Analysis. 

Diego A. Bonilla 1,2,3,4, Yurany Moreno 1,2, Camila Gho 1, Jorge L. Petro 1,3, Adrián Odriozola-Martínez 4,5, and Richard B. Kreider 7

Author information:

1) Research Division, Dynamical Business & Science Society—DBSS International SAS, Bogotá 110861, Colombia; luzyuranymoreno@gmail.com (Y.M.); camilagho@dbss.pro (C.G.); jlpetro@dbss.pro (J.L.P.).
2) Research Group in Biochemistry and Molecular Biology, Universidad Distrital Francisco José de Caldas, Bogotá 110311, Colombia.
3) Research Group in Physical Activity, Sports and Health Sciences (GIC AFS), Universidad de Córdoba, Montería 230002, Colombia.
4) kDNA Genomics, Joxe Mari Korta Research Center, University of the Basque Country UPV/EHU, 20018 Donostia, San Sebastián, Spain; adrianodriozola@gmail.com.
5) Sport Genomics Research Group, Department of Genetics, Physical Anthropology and Animal Physiology, Faculty of Science and Technology, University of the Basque Country (UPV/EHU), 48940 Leioa, Spain.
6) Phymo Lab, Physiology and Molecular Laboratory, 08028 Barcelona, Spain.
7) Exercise & Sport Nutrition Laboratory, Human Clinical Research Facility, Texas A&M University, College Station, TX 77843, USA; rbkreider@tamu.edu.

 

Abstract

Ashwagandha (Withania somnifera) is considered a potent adaptogen and anti-stress agent that could have some potential to improve physical performance. This preferred reporting items for systematic reviews and meta-analyses (PRISMA)-based comprehensive systematic review and Bayesian meta-analysis aimed to evaluate clinical trials up to 2020 from PubMed, ScienceDirect, and Google Scholar databases regarding the effect of Ashwagandha supplementation on physical performance in healthy individuals. Besides implementing estimation statistics analysis, we devel- oped Bayesian hierarchical models for a pre-specified subgroup meta-analysis on strength/power, cardiorespiratory fitness and fatigue/recovery variables. A total of 13 studies met the require- ments of this systematic review, although only 12 were included in the quantitative analysis. A low-to-moderate overall risk of bias of the trials included in this study was detected. All Bayesian hierarchical models converged to a target distribution (Ȓ = 1) for both meta-analytic effect size (µ) and between-study standard deviation (τ). The meta-analytic approaches of the included studies revealed that Ashwagandha supplementation was more efficacious than placebo for improving variables related to physical performance in healthy men and female. In fact, the Bayesian models showed that future interventions might be at least in some way beneficial on the analyzed outcomes considering the 95% credible intervals for the meta-analytic effect size. Several practical applications and future directions are discussed, although more comparable studies are needed in exercise training, and athletic populations are needed to derive a more stable estimate of the true underlying effect.

Keywords: herbal supplements; muscle strength; cardiorespiratory fitness; exercise tolerance; quality of life; sleep latency

PMCID: PMC8006238
PMID: 33670194

 

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Newsletter Ayurveda nr. 69 – Novembre 2021

Newsletter n° «69»

Novembre 2021

PROFILI DI PRODOTTO: Brahmi Taila


Origini, formulazioni, interazioni con l’organismo, piante medicinali.

 

La newsletter

Brahmi taila è un olio medicato di largo uso nella medicina Ayurvedica e la sua composizione originale è rintracciabile già in Charaka. In Ayurveda Brahmi taila è ritenuto un olio medicato elettivo utilizzato per trattamenti specifici utili a favorire la pacificazione mentale (es. manifestazioni ansiose generalizzate, stress, insonnia) e per favorire salute e benessere di capelli e cuoio capelluto. Attualmente vengono commercializzate nel mondo diverse formulazioni di questo taila medicato che, tuttavia, a secondo della regione d’origine e dei diversi produttori possono essere diverse per composizione. La newsletter si focalizza sulle possibili differenze di formulazione di Brahmi taila e sulla sua possibile interazione con l’organismo. La newsletter tratteggia inoltre il profilo dei componenti contenuti nella formulazione di Brahmi Taila selezionata e proposta da Benefica®, proponendone i razionali di associazione e di scelta per la formulazione del taila.

 

Brahmi Taila: il nome

Il nome Brahmi Taila viene ricondotto al termine “Brahmi” che è una parola sanscrita derivata da “Lord Brahma” o “Brahman”. Lord Brahma è la divinità responsabile di tutte le forze creative del mondo e Brahman è il nome indù dato alla coscienza universale. “Brahmi” significherebbe letteralmente l’energia (o “Shakti”) di Brahma. [16] [43] [11]

Il nome del taila può quindi riferirsi intrinsecamente alle sue generali indicazioni d’uso per le procedure volte a promuovere chiarezza, vigoria e pacificazione mentale grazie al principale farmaco erbale contenuto nella formulazione che, già dalle formulazioni più antiche, è appunto “Brahmi” (Bacopa monnieri Linn.). A Bacopa monnieri l’Ayurveda attribuisce la capacità di aprire la porta della piena coscienza. [10]

Per correlazione con le qualità della divinità da cui origina il nome, questa pianta è sempre stata considerata come di primaria importanza medicinale. Gli antichi medici e saggi ayurvedici, hanno infatti ampiamente descritto il ruolo della pianta medicinale Brahmi nel promuovere Medhya (intelletto), Ayushya (longevità), Rasayana (ringiovanimento), Prajnasaktivardhana (potere intellettuale), Hrdaya (Cuore), Majjadhaty Rasayana (ringiovanimento del sistema nervoso), Balya (forza, specialmente della mente), Jivaniya (energia vitale), Nidrajanana (sonno), Dhana (ricchezza), Svara (voce), Varna (carnagione) e Anuloma. [42]

Nella Medicina ayurvedica l’uso medicinale di Bacopa monnieri ricorre nel trattamento di Unmadahara (malattia mentale), Unmada (follia), Alaksmi (sventura), Apasmara (epilessia), Papa (azioni malvagie), Krtya (magia nera), Ruk (dolore) e Manasavikara (disturbi mentali) ed analogamente nel trattamento di Kustha (lebbra/malattie della pelle), Pandu (anemia), Meha (diabete), Asra Vikara (disturbi del sangue), Kasa (tosse), Visa (veleno), Sopha (edema), Jwara (febbre), Vatahara (disturbi di vata). [33] [37] [42] [17]

 

Brahmi taila: dalle origini alle formulazioni attuali

Riferimenti a preparazioni contenenti “Brahmi” sono citati in diverse fonti ayurvediche e possono riferirsi a formulazioni contenenti Bacopa monnieri Linn (Brahmi) [46] [40] [1] oppure Centella asiatica Urban (Mandukaparni). [2] [45]

In India infatti, in alcune zone, il nome “Brahmi” può indicare tradizionalmente non solo la pianta Bacopa monnieri L. ma anche la pianta Centella asiatica Urban (Mandukaparni) probabilmente per apparente somiglianza nelle azioni medicamentose nervine, pro-mnemoniche/cognitive, poiché non esistono analogie botaniche tra le due piante. Fin dalle origini dell’Ayurveda tuttavia gli antichi autori come Charaka, Sushruta e Vagbhata hanno fatto riferimento a Brahmi e Mandukaparni come due erbe diverse. [27]

Successivamente, nel XVI secolo si creò confusione quando Bhavaprakasha e Hemadri identificarono anche Mandukaparni come “Brahmi”. [47] [27] Da allora, Centella Asiatica (Gotu Kola o Mandukaparni) è stato conosciuto anche come Brahmi, in particolare nell’India settentrionale. [47]

In India è tutt’ora possibile sentire chiamare Centella asiatica “Brahmi del nord “e Bacopa monnieri “Brahmi del sud” tuttavia “The Ayurvedic Formulary of India” stabilisce che Bacopa monnieri L. è “Brahmi” e Centella Asiatica U. è “Mandukaparni”. [42] Uno studio critico di fitochimica comparativa, farmacologia e proprietà terapeutiche di queste due piante medicinali, ne ha dimostrato la chiara distinzione. [27] Nell’uso tradizionale Brahmi è stato utilizzato più come stabilizzatore/pacificatore ad esempio nelle malattie mentali come la follia e l’epilessia, mentre Mandukaparni è stato utilizzato più come tonico generale del cervello, anche se questa pianta medicinale possiede un’azione anche in parte ansiolitica. [54]

Un altro studio pubblicato nel 2012 ha dimostrato che queste due erbe hanno mostrato differenze significative anche nei loro valori antiossidanti che ne ipotizzano l’uso nel trattamento dei disturbi neurologici causati dai danni dei radicali liberi. [20] Brahmi promuove la fertilità e favorisce il concepimento mentre Mandukaparni può essere abortivo. Entrambi sono usati per le malattie della pelle ma i loro effetti terapeutici sono diversi. [27] Inoltre, a differenza di Brahmi, Mandukaparni è un diuretico più potente. [40]

Nelle fonti storiche si ritrovano riferimenti ad una formula originaria di Brahmi taila preparato con estratto da foglie (o pianta intera) di Bacopa monnieri L. e olio di sesamo o olio di cocco; inoltre la chiara distinzione tra Brahmi e Mandukaparni, suggerirebbe che il nome “Brahmi taila” dovrebbe indicare un taila contenente Bacopa monnieri, tuttavia, data la storicità e la diffusione ”, in certe zone dell’India, anche della formula contenente Centella asiatica, anche per essa può ritovarsi il nome “Brahmi taila” pur trattandosi di formula diversa. Come per altri Taila medicati, le formulazioni di “Brahmi taila” attualmente disponibili possono presentare diversità di formulazione a seconda delle scelte del produttore e dell’area geografica d’origine. Queste differenze possono consistere, per Brahmi taila, nella presenza di Centella asiatica al posto di Bacopa monnieri e nell’aggiunta oltre all’olio base (Sesamo o Cocco), di altre piante medicinali (spesso molto diverse a seconda dei produttori). Sulla base di queste formulazioni originarie sono state perfezionate successivamente altre varianti di formulazione con l’aggiunta di altre piante medicinali o aromatizzanti che caratterizzano il Taila medicato ottenuto. Le formulazioni di “Brahmi taila” attualmente disponibili possono essere considerate come “formulazioni avanzate” basate sulla formulazione originaria che successivamente è stata modificata dagli studiosi ayurvedici, nel corso della storia, per ottimizzarne il profilo. In Brahmi taila come olio base può essere presente sia olio di Cocco sia olio di Sesamo che, pur con diversità, sono ritenute sostanze oleose ideali anche per l’azione di pacificazione mentale e la cura di pelle e capelli; entrambi gli oli sono buoni veicolanti di altre sostanze attraverso la pelle e su di essa svolgono azioni positive. L’olio di Sesamo contiene otto aminoacidi essenziali, importanti per il cervello e quindi consigliabile per il massaggio alla testa e come olio per capelli. La sua natura pesante, astringente e riscaldante lo rende ideale nei disturbi mentali di Vata e risulta indicato per lo stress mentale. L’olio di sesamo inoltre contrasta il gonfiore, previene l’ingrigimento e dona forza ai capelli. L’olio di cocco, è relativamente leggero e rinfrescante; la sua presenza in una formulazione la rende ideale nei disturbi di Pitta; l’olio di cocco viene ritenuto molto adatto per il massaggio del cuoio capelluto e un eccellente tricotrofico. [52] [53]

La miscelazione di ulteriori e specifiche piante medicinali a Bacopa monnieri e olio di Sesamo/Cocco consente sinergie dei bioattivi che possono conferire al taila finito sfumature ideali per i diversi usi come ad esempio la cura dei capelli, della pelle o l’impiego nelle specifiche procedure ad azione sul sistema nervoso o sulla mente. Ad esempio associazione di Glycyrrhiza glabra, Vetiveria zizanioides, Coleus vettiverodies cone Bacopa monnieri consente di ottenere un taila ad azione idoneamente bilanciata sui disturbi Pitta-Vata. Glycyrrhiza glabra, Vetiveria zizanioides e Coleus vettiverodies posseggono significative qualità “rinfrescanti” che controbilanciano la natura riscaldante dell’olio di Sesamo e sinergizzano in modo ideale con Bacopa monnieri nell’azione mentale/nervina e in quella a favore di pelle e capelli. Tra le piante medicinali che in Brahmi taila possono comunemente essere associate, secondo diversi razionali, a Bacopa monnieri, si possono trovare: Glycyrrhiza glabra, Vetiveria zizanioides, Coleus vettiverodies, Eclipta alba, Emblica officinalis, Santalum album, Terminalia chebula, Cinnamomum tamala, Nardostachys jatamansi, Eclipta prostrata, Aerva lanata, Yastimadhu, Anjanam, Karpuram, Celastrus paniculata, Tinospora cordoglia.

 

Brahmi taila: interazioni con l’organismo

Come noto in Ayurveda i Taila vengono considerati sostanze principali ed importanti in diversi trattamenti i cui effetti benefici vengono tuttavia ricondotti al trattamento nel suo complesso per sinergia armonica di tecnica di procedura, sostanze impiegate e “energia” consapevole dell’operatore stesso. Nel contesto di questa visione risulterebbe pertanto riduttivo cercare di spiegare l’azione di Brahmi taila, nelle diverse procedure, attraverso una visione esclusivamente farmacologica e meccanicistica tuttavia è possibile proporre alcune osservazioni sull’azione, soprattutto analizzandone l’interazione con l’organismo a partire dalla primaria considerazione che Brahmi taila è un olio medicato generalmente applicato su diverse aree esclusivamente della testa che anatomicamente rappresentano ideali aree di assorbimento di sostanze appositamente formulate.

L’azione di Brahmi taila sull’organismo è riconducibile all’interazione con esso, grazie alle diverse procedure di applicazione, dei sui componenti erbali complessati e veicolati dall’olio di Sesamo o dall’olio di Cocco cioè da una sostanza “Sneha”. Secondo quanto tradizionalmente tramandato dall’Ayurveda e come confermato dalla letteratura scientifica, i Taila medicati possono agire beneficamente sull’organismo in modo complesso tuttavia la natura lipofila della loro componente oleosa spiega facilmente come i componenti erbali in essa miscelati possano esercitare effetti locali attraverso la pelle (es. antinfiammatori, antisettici, analgesici, nutrienti, rinfrescanti, idratanti, antiossidanti). Tuttavia le specifiche procedure ayurvediche, che prevedono l’impiego di Brahmi, e che sono mirate ad azioni toniche/nervine e alla pacificazione dell’iperattività del sistema nervoso, suggeriscono che Brahmi taila possa agire anche con un’azione più “profonda”; le singole procedure infatti consentirebbero e favorirebbero la possibile azione farmacologica, delle piante medicinali presenti nell’olio, su specifici tessuti e organi, attraverso l’assorbimento da parte del torrente circolatorio.

Questa “azione profonda” di Brahmi taila potrebbe essere spiegata attraverso alcune osservazioni, che sulla base della sua formulazione, zona di applicazione e modalità di applicazione, ne spiegherebbero una possibile azione anche in parte sistemica, pur nell’evidenza che i farmaci erbali, come qualunque farmaco, dimostrano un diverso assorbimento e azioni diverse a seconda della via di somministrazione (topica, orale, inalatoria, infusionale, etc.).

Una prima osservazione oggettiva è che Brahmi taila è innanzitutto una preparazione oleosa (Sneha) che, da un punto di vista tecnico farmaceutico, analogamente a creme, unguenti, impiastri, polveri, lozioni e spray, può veicolare un farmaco; queste preparazioni consentono un effetto locale (se il farmaco non viene assorbito) ed anche un effetto sistemico (se il farmaco viene assorbito); nel caso degli oli questo avviene grazie alla loro natura altamente lipofila. Grazie quindi alla lipofilia e alle aperture che si trovano sulla cute, per esempio i follicoli piliferi o le ghiandole sudoripare, un farmaco, in idonee condizioni, riesce a passare attraverso la cute (via di derivazione). Una volta che il medicinale passa nel derma viene immesso nel circolo sanguigno determinando una variabile biodisponibilità del farmaco stesso. È questo il caso di numerosi farmaci di sintesi che vengono somministrati, per diverse ragioni, attraverso la pelle e non per via orale.
Come noto l’interazione di un farmaco con la pelle è influenzata da numerosi fattori quali: tipo di formulazione e quantità della stessa, caratteristiche chimico-fisiche del farmaco, stato della pelle, variabilità dello spessore della pelle, permeabilità della regione cutanea (più piccolo è lo spessore maggiore sarà la permeabilità e viceversa); questi fattori possono spiegare come anche un preparato erbale, specificatamente formulato, possa esercitare probabili azioni farmacologiche anche “profonde” quando applicato attraverso la pelle, sulla base del tipo di trattamento, della quantità del preparato, del periodo di trattamento, dei tempi di trattamento, posizione del trattamento e di altri fattori (temperatura, etc.). [24]

Secondo questi principi che ne regolano le dinamiche, il possibile assorbimento profondo di alcuni taila, applicati su alcune specifiche aree del corpo è analogo a quello di molti preparati somministrati per via transdermica. Per quanto riguarda la posizione dell’applicazione cutanea, le aree con gli strati epidermici più sottili si rivelano le migliori aree ad esempio di assorbimento transdurale. Queste località includono viso (fronte), cuoio capelluto, collo e polso; [32] [39] in particolare l’area del cuoio capelluto è una eccellente area di assorbimento e l’applicazione di sostanze sul cuoio capelluto/testa è generalmente ritenuta molto attiva. Poiché Brahmi taila viene prevalentemente impiegato sulla testa con le procedure Shiro Abhyanga, Shiro Pichu, Shirodhara, Shirobasti e poiché questi trattamenti sono tecnicamente normati da specificità della posizione di applicazione, tempo di applicazione, per il periodo di trattamento, quantità del taila da impiegare, è ipotizzabile che attraverso queste procedure i bioattivi contenuti nel Taila, possano agire anche attraverso un possibile assorbimento “profondo”. Un supporto a questa ipotesi è offerto dall’ articolo di Jayantkumar e Bhatnagar: “Anatomic explanation of absorption of sneha dravya in sirobasti karma” (AYUSHDHARA.2016) che spiega questo possibile meccanismo d’azione per Shirobasti con Brahmi taila. L’articolo premette come già gli antichi studiosi ayurvedici abbiano descritto la testa come una “radice” del corpo e come abbiano ben inquadrato le malattie legate a “Shira” (testa). Infatti secondo Acharya Sushruta in questa regione ci sono 37 Marma (punti vitali) che ne indicano la sua importanza. Per le malattie di “Shira” l’Ayurveda prevede diversi trattamenti come, Shirobasti, Shirodhara, Shiroabhyanga, Pichu e Nasya; l’articolo spiega come il percorso d’assorbimento dell’olio medicato, per alcune di queste procedure, possa essere compreso attraverso la conoscenza dell’anatomia della testa ed in particolare del cuoio capelluto. [24]

Come noto infatti esistono tre meccanismi di distribuzione transdermica; la via intracellulare, la via intercellulare e il percorso di derivazione. Nella distribuzione della via intracellulare le molecole passano direttamente attraverso le cellule dello strato corneo. Nella via intercellulare le molecole passano tra gli spazi intercellulari. Nella terza via di distribuzione (derivazione) le molecole passano attraverso strutture che hanno origine nel derma e si estendono per l’intera altezza dell’epidermide, come le ghiandole sudoripare, le ghiandole sebacee e i follicoli dei capelli. L’area del cuoio capelluto e del viso sono ottime posizioni per assorbimento perché queste aree sono abbondanti di ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee e follicoli piliferi. [32] [39]

In particolare il cuoio capelluto è formato da cinque strati: pelle, fascia superficiale, aponeurosi, tessuto areolare lasso e pericranio. L’olio applicato attraverso le diverse procedure viene assorbito trasversalmente nel cuoio capelluto attraverso la pelle. Il tessuto connettivo del cuoio capelluto è ricco di vasi sanguigni e nervi. Nel tessuto areolare lasso del cuoio capelluto, sono presenti vene emissarie, queste vene sono prive di valvola e collegano le vene superficiali del cuoio capelluto con le vene diploiche delle ossa del cranio che drena nei seni intracranici. Con la conoscenza di questo sistema di drenaggio venoso del cuoio capelluto possiamo spiegare gli effetti profondi ad esempio della terapia Shirobasti. L’assorbimento transdermico è influenzato da fattori quali la superficie dell’applicazione, la posizione dell’applicazione cutanea, il tempo di esposizione, temperatura, sostanze utilizzate per l’applicazione e relativa dimensione molecolare. [30] [18] [5] [12]

Sneha Dravya (sostanze grasse/oleose) sfruttano specifiche caratteristiche chimiche di oli e grassi (acidi grassi vegetali e animali) al fine della somministrazione e dell’assorbimento di altre sostanze. Gli acidi grassi a catena corta e media sono ideali al fine dell’assorbimento attraverso la pelle e sono presenti nel burro chiarificato, nel latte e in altri oli naturali [12] per questo motivo gli Acharya ayurvedici hanno selezionato oli naturali, latte e burro chiarificato per le procedure su Sira. [24] Non tutti i bioattivi delle piante medicinali possono raggiungere una rilevabile biodisponibilità quando somministrati attraverso la pelle per cui ad alcune piante medicinali vengono attribuite specifiche azioni locali che possono essere diverse dalle azioni sistemiche.

 

Benefica®- Brahmi Taila

La formulazione “Brahmi Taila” a base di Olio di Sesamo e estratti di Bacopa monnieri L., Glycyrrhiza glabra L., Vetiveria zizanioides Linn. Nash, Coleus vettiverodies K.C. Jacob è una pregiata formulazione tradizionale perfezionata nel Kerala; essa si fonda sulla più antica formula originaria a base di estratto di Bacopa monnieri e olio di Sesamo ai quali sono stati aggiunti gli estratti di altre piante medicinali opportunamente selezionate secondo il loro uso in Ayurveda. Questa esclusiva formulazione di Brahmi taila consente ai suoi componenti specifici di agire sui dosha Pitta e Vata in modo “bilanciato” e lo rende ideale sia per trattamenti specifici, mirati ad agire sulla sfera del sistema nervoso e dei delicati organi di senso, sia per quelli condotti su pelle, cuoio capelluto e capelli.

Gli estratti erbali infatti dimostrano tradizionalmente sia azioni di pacificazione e regolazione delle attività cerebrali (eretismo mentale, ansia, tensione, stress, insonnia, disforia, etc.) sia azioni trofiche nutrienti e conservative di capelli, del cuoio capelluto e della pelle (diradamento dei capelli, ingrigimento precoce, forfora, prurito, infiammazione, etc.); la formulazione si distingue infatti per l’esclusiva miscelazione sinergica, in olio di Sesamo, di 4 estratti di piante medicinali specifiche e note, secondo uso tradizionale e letteratura scientifica, per l’azione nervina, tricotrofica e dermotrofica. Questa formulazione si connota anche per un profilo particolarmente rinfrescante ed al contatto risulta morbido e delicato, con una piacevole profumazione persistente dovuta alla presenza del pregiatissimo olio di Vetiver; l’azione particolarmente rinfrescante, dovuta alla copresenza di Vetiveria zizanioides , Coleus vettiverodies e Glycyrrhiza glabra, bilancia la natura riscaldante della base oleosa dell’olio di Sesamo; per questi motivi questa specifica formulazione risulta ben equilibrata nella sua efficienza sia nei disturbi di Vata che nei disturbi di Pitta. Questa specifica formulazione di Brahmi taila, generalmente applicata solo sulla testa, risulta adatta per Shiro Abhyanga, Shiro Pichu, Shirodhara, Shirobasti nei disturbi Pitta – Vata. [21]

Brahmi taila non deve essere ingerito. Le proprietà “Sneha” di questa formulazione di Brahmi taila derivano dalla presenza dell’olio di Sesamo; la presenza nella formulazione di elevati quantitativi di sostanze antiossidanti la rende altamente resistente ai fenomeni ossidativi. Questa formulazione di Brahmi taila appare di colorazione giallo-ambrata (a volte anche con sfumature tendenti al rossastro) che è determinata dall’elevata quantità dell’estratto di Bacopa monnieri che all’estrazione appare di colore marrone-verdastro; la profumazione risulta persistente e tipica del Vetiver (gelsominoide); la densità risulta medio-fluida al tatto. Altre variabili chimico fisiche (pH, valore di iodio, etc.) sono influenzate dalle forme estrattive degli altri ingredienti tuttavia nelle formulazioni di elevata qualità questi parametri vengono certificati come conformi agli standard ottimali per una per la stabilità e la buona conservazione dell’olio nel tempo.

 

Benefica®Brahmi Taila: i componenti per il benessere della pelle e dei capelli

L’azione di Brahmi sulla pelle è riconducibile alla sinergia dell’insieme dei suoi componenti che sono noti per diverse azioni farmacologiche e nutrienti; l’azione del taila su pelle e capelli è prevalentemente regolato dall’interazione locale della formulazione con la struttura anatomica di pelle e cuoio capelluto. Secondo l’Ayurveda, capelli e unghie sono Upadhatu del metabolismo osseo. In alcuni individui, la pelle è molto sensibile ai cambiamenti stagionali e a fattori come freddo, caldo, cosmetici e shampoo ecc., ecco perché queste persone sono ad alto rischio di disturbi come la forfora. In Ayurveda la forfora (Darunaka) fa riferimento alle malattie minori (kshudra roga-Sushrutha; kapala roga – Vagbhata) ed i sintomi principali sono: Keshachyuti (caduta dei capelli), Kandu (sensazione di prurito sul cuoio capelluto), Twaksputana (screpolature della pelle), Daruna (secchezza seguita da screpolature nel cuoio capelluto, Daha (sensazione di bruciore), Gaura (pesantezza) e Toda (sensazione di pizzicore). La forfora è causata da squilibrio dovuto ai Dosha di cui sono principalmente coinvolti Pitta e Vata. Le condizioni come la forfora possono essere gestite con un approccio globale come la dieta, Panchakarma insieme a medicinali interni. Tra le procedure Panchakarma vengono raccomandate: Snehana di testa e del cuoio capelluto con olio caldo, soprattutto se fatto con olio medicato con erbe Keshya, che nutre i capelli e il cuoio capelluto, alleviando la secchezza del cuoio capelluto e migliorando la circolazione. L’applicazione di olio per capelli medicato migliora il nutrimento al cuoio capelluto che aiuta a mantenere i capelli lunghi, lucenti, forti e folti. Olio di noce di cocco o olio di sesamo, infusi con erbe come Brahmi (Bacopa monnieri), Bhringaraj (Eclipta alba) Amalaki (Emblica officinalis), aiutano a mantenere il colore e la lucentezza dei capelli. Tra gli oli medicati raccomandati per il trattamento della forfora troviamo: Bhringaraja Taila, Triphaladya Taila e Brahmi Taila. [14]

– L’estratto di foglie o pianta intera di Bacopa monnieri (Brahmi), a livello topico, è noto, nel suo uso tradizionale, per il trattamento di problemi e inestetismi della pelle, in particolare nei casi di ulcere cutanee, eczemi e psoriasi, perché favorisce il ripristino del pH superficiale e decongestiona i tessuti aiutando il recupero dalle lesioni, grazie anche all’elevato contenuto di vitamina C; gli estratti fluidi di Bacopa monnieri sono infatti anche tradizionalmente impiegati anche per il trattamento di arrossamenti e per le scottature di origine solare o da frizione, poiché contribuiscono con un immediato sollievo, decongestionando e riducendo il senso di prurito e il dolore in generale. [22] Alcuni studi mostrano che l’uso dell’olio Brahmi rende la pelle liscia e sana e, se applicato su una ferita, può ridurre la comparsa di cicatrici. [48] L’elevato contenuto di vitamina C presente nell’estratto di Bacopa monnieri lo rende particolarmente utile anche per il trattamento topico di problemi di esfoliazione cutanea ed in particolare della forfora; aiuta infatti a riequilibrare la cute e ad eliminare le cellule morte, svolgendo anche una blanda funzione antisettica che limita gli effetti negativi degli acari della pelle e della flora batterica, che spesso si accompagna a questo problema. L’azione positiva degli estratti fluidi di Brahmi sui capelli, oltre a combattere la forfora, è quella di aiutare inoltre a prevenire l’ingrigimento prematuro dei capelli, diradamento dei capelli, la calvizie, la caduta dei capelli, l’irritazione del cuoio capelluto e il prurito. [23] [25] Gli alcaloidi presenti nell’olio Brahmi sono i composti bioattivi ritenuti responsabili dei suoi effetti sulla crescita dei capelli insieme alle vitamine e all’apporto di calcio; l’olio di Brahmi riesce a nutrire i follicoli fornendo molte sostanze energetiche utili alla ricrescita dei capelli. Per questi motivi l’olio di Brahmi è particolarmente apprezzato nel trattamento dei capelli ricci, perché a causa dei trattamenti che spesso subiscono per mantenerne il volume intatto, tendono ad indebolirsi e con l’andare degli anni a perdere elasticità e volume. [22] Gli estratti di Brahmi agendo sulla vitalità dei follicoli stimolerebbero la crescita di capelli più grandi e solidi alla base. Tra le sostanze naturali utili per i capelli gli estratti di Brahmi sono quelli che agiscono più a fondo, direttamente al livello dei follicoli, nei problemi di caduta e di debolezza dei capelli e per questo motivo hanno una maggiore azione rispetto ai prodotti che agiscono solo i fusti. Con l’olio di Brahmi i capelli risultano anche meno soggetti agli effetti dell’apertura delle squame a causa del caldo intenso del phon, che è uno dei motivi principali per i quali si riducono il volume della capigliatura e la sua elasticità. [22]

– Gli estratti di radici liquirizia Glycyrrhiza glabra Linn. (Yashti-madhuh/ Madhuka), per uso esterno, sono stati tradizionalmente impiegati per positive azioni sulla pelle come quella antibatterica, antifungina, antinfiammatoria, antiossidante, e sono tradizionalmente utilizzati per la gestione di eczemi, herpes e herpes zoster. [26] L’estratto di liquirizia è conosciuto anche come un efficace schiarente dei pigmenti della pelle. È l’agente schiarente più sicuro conosciuto con meno effetti collaterali. L’estratto etanolico di Glycyrrhiza glabra dimostra di migliorare le proprietà viscoelastiche e di idratazione della pelle. L’effetto sinergico delle proprietà protettive UV, antiossidanti e antinfiammatorie dell’estratto di liquirizia sono ritenute essere responsabili degli effetti benefici sulla pelle. [13] In uno studio l’estratto idroalcolico di liquirizia ha mostrato una buona attività di promozione della crescita dei capelli. Il confronto tra l’estratto di liquirizia e il farmaco standard utilizzato (Minoxidil 2%) ha mostrato che una concentrazione del 2% di estratto di liquirizia ha mostrato una migliore attività di stimolazione della crescita dei capelli rispetto al 2% di Minoxidil. Pertanto, dopo analisi di efficacia e sicurezza, si è concluso che la liquirizia possiede una significativa capacità di promozione della crescita dei capelli e può essere tranquillamente utilizzata come ingrediente in formulazioni a base di erbe nel trattamento di vari tipi di alopecia. [13]

– L’olio di Vetiveria zizanioides Linn Nash (Vetiver/Khas/Khas-Khas/ Ushir) è uno dei più preziosi estratti tradizionalmente impiegato nella medicina ayurvedica ed oggi in profumeria, nell’industria dei saponi e dei cosmetici, e dalle aziende farmaceutiche come antimicrobico e antimicotico naturale; è dotato di una significativa azone rinfrescante. Nell’uso tradizionale l’olio di Vetiver è stato lungamente impiegato per uso esterno per alleviare reumatismi, lombalgia, cefalea, dolori da distorsione. Studi farmacologici concludono che l’olio di Vetiver mostra anche azioni fungicide, battericide e antimicotiche antiossidanti e antinfiammatorie. [35] Uno studio condotto su fibroblasti dermici umani, sui quali è stato indotto un processo infiammatorio per imitare la biologia della malattia dell’infiammazione cronica e della fibrosi, ha concluso che alcuni estratti e l’olio essenziale di Vetiver agiscono positivamente su 17 proteine importanti coinvolte nel rimodellamento cutaneo tissutale. [19] “khus” (il distillato di Vetiveria zizanioides) è compreso tra alcuni preparati ayurvedici tradizionalmente consigliati per alleviare i sintomi delle dermatosi. [43]

– Il Coleus vettiveroides K.C. Jacob (Hrivera) è una fitomedicina importante nei sistemi di medicina tradizionale in India. Le sue radici sono incluse nell’elenco dei singoli farmaci erbali del Formulario Ayurvedico dell’India, e sono chiamate “Hrivera” (in Sanscrito) mentre nel Formulario Siddha sono chiamate “Kuruver” (in Tamil). Hrivera è comunemente presente in Taila e Lepa da applicare sulle zone doloranti. Hrivera viene solitamente aggiunto in formulazioni contenenti oli essenziali con note proprietà emollienti e analgesiche. [34] L’olio essenziale è molto noto per le sue proprietà rinfrescanti. Gli estratti della radice vengono tradizionalmente impiegati anche per promuovere la crescita dei capelli e nel trattamento coadiuvante di allergie. L’olio estratto dalle radici è usato per il trattamento di bruciore agli occhi, lebbra, malattie della pelle. L’estratto è contenuto anche in Mahanarayana thaila. [50]

 

Benefica®Brahmi Taila: i componenti ad azione “mentale e nervina”

Come noto Brahmi taila è un olio medicato ayurvedico elettivo per alcune procedure di gestione di diverse problematiche riconducibili alla sfera del sistema nervoso e mentale (eretismo mentale, ansia, tensione, stress, insonnia, etc.). La scelta di Brahmi taila per queste specifiche procedure deriva dalla sua composizione di piante medicinali note in Ayurveda per la loro azione mentale /nervina che è stata osservata in parte, nell’antichissimo uso tradizionale, anche quando applicate attraverso la pelle. Di seguito vengono riportate le azioni mentali/nervine dei principali ingredienti di Benefica® – Brahmi taila.

– Bacopa monnieri L. è uno dei più importanti fitofarmaci contenuti nella formulazione di Brahmi taila. A questa pianta medicinale, quando somministrata per via orale, la Medicina ayurvedica attribuisce una generale e significativa funzione tonica -regolatrice e pacificante dell’attività mentale che si dice sia legata alla capacità di aprire la porta della piena coscienza. Effetti simili sono stati osservati anche per specifici trattamenti esterni condotti con taila contenenti Bacopa monnieri. Gli estratti di Brahmi sono oggi attualmente molto studiati come integrazione per sostenere memoria, l’apprendimento, trattare la tensione, la depressione e altri problemi importanti come malattie cardiovascolari, gastrointestinali, epatiche, neurologiche e problemi respiratori. Vi sono anche studi che suggeriscono un potenziale integrativo di Bacopa monnieri nella malattia di Alzheimer; il tè Joyawake (una combinazione di B. monnieri e Camellia sinensis) è usato come tonico nervino. Brahmi è stato molto studiato anche per azioni pro nervine antiossidanti. Le piante di Bacopa monnieri contengono varie sostanze fitochimiche come alcaloidi, flavonoidi, glicosidi e saponine. Altri importanti costituenti presenti in questa pianta sono bacosidi e bacopasidi ritenuti tra i principali responsabili delle sue proprietà medicinali. [10] Brahmi contiene diversi composti bioattivi che possono aiutare ad alleviare il mal di testa e offrire azioni anti-ansia e anti-stress. [38] Uno studio ha dimostrato che lo shirodhara con olio di Brahmi può essere utile per il trattamento dell’insonnia da lieve a moderata. [51] L’olio di Brahmi è tradizionalmente impiegato in trattamenti coadiuvanti nella gestione di disturbi, come l’epilessia, il morbo di Alzheimer e la schizofrenia. [29] Brahmi inoltre è noto per azioni pro-nervine di natura antinfiammatoria e antiossidante. [10]

– Glycyrrhiza glabra Linn è una pianta medicinale molto nota in Ayurveda. Nelle sue forme estrattive si ritrovano saponine triterpenoidi, flavonoidi, cumarine che sono responsabili di numerose azioni farmacologiche tra le quali quella antidepressiva, spasmolitica (potente rilassante uterina), rinforzante della memoria e dell’apprendimento, antiossidante; la liquirizia è un ingrediente importante nei Taila impiegati nei trattamenti ayurvedici coadiuvanti nella gestione di epilessia, paralisi, reumatismi, malattie emorragiche. [26] [4] L’azione di estratti di Liquirizia sulla memoria e l’apprendimento sono stati studiati nel ratto in un modello di evitamento (Plus maze test); in questo studio tre diversi dosaggi di estratto acquoso di radici di Liquirizia, somministrati per via orale per 7 giorni, hanno mostrato un miglioramento significativo nell’apprendimento e nella memoria alla dose di 150 mg/kg. [13] Lo studio di Teltumbde, et al. (“Effect of Yashtimadhu (Glycyrrhiza Glabra) on intelligence and memory function in male adolescents. 2013.Scholars Journal of Applied Medical Sciences, 1(2), 90-95.) ha dedotto conclusioni simili nell’uomo valutando l’azione di un estratto di Yashtimadhu (Glycyrrhiza glabra), come integrazione orale, sull’intelligenza e la memoria in 123 studenti maschi. Lo studio, randomizzato verso placebo, ha concluso, attraverso la valutazione dei punteggi del NVIT (Non Verbal Intelligence Test), che gli studenti trattati, rispetto a quelli che avevano assunto placebo, mostravano generali miglioramenti dei punteggi NVIT e dei test di memoria a breve termine. L’azione anticonvulsivante di estratti di liquirizia, somministrati per via intraperitoneale nei ratti, è stata dimostrata attraverso test convulsivi con (MES) e pentilene tetrazolo (PTZ); analogamente è stata dimostrata l’azione anti fatica cronica da stress nel ratto in diversi modelli di affaticamento cronico. [26] L’azione antistress di estratti acquosi e alcolici di Liquirizia è stata dimostrata in un modello di stress indotto in Drosophila melanogaster con il Methotrixato. [26] L’azione antiossidante dell’estratto metanolico di Liquirizia è riferibile all’azione di scavenging e sulla capacità di riduzione del radicale 1,1-difenil-2-picrylidrazil e all’azione nei confronti di ossido nitrico e radicali superossido. [26]

– Vetiveria zizanioides L. Nash da cui si ottiene il pregiatissimo olio di Vetiver, esercita una significativa attività antiossidante scavenging dei radicali idrossilici studiata anche per la potenziale azione antitumorale. [35] I principali componenti chimici sono di natura terpenoide (sesquiterpeni prevalenti). L’olio essenziale di vetiver, come confermato anche dall’uso integrativo in occidente, possiede proprietà sedative ed è tradizionalmente impiegato per alleviare lo stress, l’ansia, la tensione nervosa e insonnia e per gestire comportamenti correlati alla demenza; aiuta la prontezza mentale e la funzione cognitiva. [7] L’azione nervina di vetiver è tradizionalmente nota per contrastare i danni provocati ai nervi da shock, paura, stress; contrasta in generale i disturbi nervosi come attacchi epilettici e isterici, nervosismo e disturbi nevrotici e la mancanza di controllo sugli arti nel morbo di Parkinson. [3]

– Il Coleus vettiveroides Jacob (sin. Plectranthus vettiveroides (Jacob) N.P. Singh & B.D. Sharma) è una pianta aromatica, amara, rinfrescante, dalle numerose azioni farmacologiche tra cui quella stimolante; è una pianta medicinale utile nelle condizioni viziate di pitta. [50] Le specie di Plectranthus sono impiegate in diversi sistemi di Medicine tradizionale nel trattamento dei disturbi nervosi, nei casi di epilessia, convulsioni e meningite; per trattare problemi psichiatrici in Tanzania nonché nel trattamento dell’insonnia e delle convulsioni in Asia, per la depressione e il trattamento del ritardo mentale; per trattare problemi psicologici inclusa la follia (Uganda); in India Plectranthus vettiveroides è molto usato come stimolante; le specie di Plectranthus sono anche usate per gestire disturbi sensoriali associati a problemi alle orecchie e agli occhi. [28]

 

Brahmi taila in alcuni studi clinici

Una serie di studi clinici sono stati condotti impiegando Brahmi taila (nella formula originaria contenente Bacopa monnieri) in procedure complementari di trattamento specifiche per disturbi di diversa natura; di seguito vengono riportate le sintesi di alcuni di essi.

Uno studio clinico condotto nel 2014 ha valutato l’azione di Shiroabhyanga con Brahmi taila nel ridurre sintomi legati all’ansia generalizzata come quelli del sonno, l’irrequietezza, paura, depressione e variazioni della pressione sanguigna. Lo studio ha concluso che un massaggio alla testa periodico su 30 pazienti, ha migliorato le risposte allo stress e i pazienti hanno mostrato miglioramenti in tutti i sintomi presentati, con una riduzione media dell’ansia a 1,6. (53,2%) che era statisticamente e altamente significativa (<0,001). In questo studio shiroabhyanga con Brahmi taila è risultato utile nell’alleviare l’ansia. [8]

Le procedure Dinacharya, rendono possibile la somministrazione continua dei Taila specifici in un modo sicuro e a lungo termine, e sulla base di questo principio è stata sperimentata la procedura Nasya charya nella gestione di pazienti con disturbo d’ansia generalizzata (GAD). Uno studio ha coinvolto 108 pazienti con sintomi di GAD, di cui 54 soggetti sono stati classificati come gruppo A e hanno ricevuto Pratimarsha Nasya con Brahmi Taila mentre 54 soggetti sono stati classificati nel gruppo B e hanno ricevuto Pratimarsha Nasya con Anu Taila. Il disegno dello studio è stato quello comparativo randomizzato condotto su due gruppi. I pazienti sono stati selezionati dall’OPD dello Sri Sri College of Ayurvedic Sciences and Research, Bengaluru quindi sono stati distribuiti casualmente in ciascun gruppo dopo aver raccolto la loro storia clinica e sociale. I pazienti sono stati valutati sulla base della scala di valutazione dell’ansia di Hamilton (HAM-A) e della scala Clinical Global impression (CGI). La differenza di CGI –S e CGI –I del gruppo A e del gruppo B è risultata altamente significativa. Lo studio ha concluso che entrambe le procedure pratimarsha nasya con Brahmi taila e Anu taila, se attuate in una fase iniziale, possono essere utili non solo per controllare la progressione della malattia, ma possono anche aprire la strada a tecniche efficaci e non invasive nel trattamento del GAD. [15]

Uno studio del 2014, disponibile in PubMed, riporta i risultati di Shirodhara con Brahmi taila in alcuni casi clinici di insonnia da moderata a grave. Shirodhara con olio di Brahmi è stato condotto per 45 minuti su ciascun partecipante per 5 giorni consecutivi raccogliendo i punteggi della Insomnia Severity Index (ISI) per valutare la gravità dell’insonnia la risposta alla terapia Shirodhara dati sono stati raccolti al basale, alla fine del trattamento (giorno 5) e 1 settimana dopo la fine del trattamento (follow-up). Nello studio sono stati arruolati due maschi e otto femmine con un’età media di 40 anni (range 23-72), DS ± 14,2. Uno ha abbandonato lo studio, ma tutti i restanti nove partecipanti hanno riscontrato un miglioramento alla fine del trattamento. La percentuale di miglioramento variava dal 3,85% al 69,57%. Al follow-up, la maggior parte dei partecipanti ha continuato a migliorare. Il confronto delle medie tra il basale e il giorno 5 ha indicato un miglioramento complessivo significativo (P <.005), ma in un confronto tra il basale e 1 settimana dopo il trattamento il miglioramento non è stato significativo (P <.089). Non sono stati segnalati eventi avversi durante lo studio. Lo studio ha concluso che Shirodhara con olio di Brahmi può essere utile per l’insonnia da moderata a grave. [51]

Il sonno (Nidra) è essenziale per una vita sana. Vizi di Vata o Pitta dosha, stress mentale, traumi mentali o fisici, emaciazione dovuta a dieta e malattie sono cause di Anidra (insonnia). I classici sintomi ayurvedici di Anidra sono descritti come sbadigli, dolenzia del corpo, stanchezza, mal di testa, pesantezza alla testa e agli occhi, inattività, esaurimento, vertigini, indigestione e disturbi correlati con Vata. L’incidenza di Anidra risulta socialmente in aumento a causa dello stile di vita stressante. Uno studio ha valutato l’efficacia della somministrazione di Jatamansi vati (Nardostachys jatamansi DC.), che è una potente pianta medicinale nota in Ayurveda per azione sedativa/atidepressiva/ipnoinducente, e Abhyanga (shirobhyanga e padabhyanga) con Brahmi taila nella gestione di Anidra. 30 pazienti sono stati selezionati casualmente e divisi in due gruppi uguali. Ai pazienti del gruppo A è stato somministrato Jatamansi vati 500 mg due volte al giorno con latte mentre nel gruppo B i pazienti hanno ricevuto Abhyanga (Shirobhyanga e Padabhyanga) con Brahmi taila per 15 giorni. L’analisi statistica ha rivelato che entrambi i gruppi hanno mostrato un buon miglioramento in vari parametri di Anidra. Lo studio ha concluso che Jatamansi e abhyanga (Shirobhyanga e Padabhyanga) con Brahmi taila sono individualmente ugualmente utili per trattare Anidra e privi di effetti collaterali. [31]

Uno studio ha valutato l’azione di Shirodhara con Brahmi Taila per 15 giorni su 30 pazienti con disturbi collegati a lavoro in condizioni di stress e a disordini mentali (stanchezza, debolezza, nausea, anoressia, indigestione, male alla testa, irrequietezza, mancanza di memoria, mancanza di concentrazione, insonnia, ipertensione, depressione, dolenzia generalizzata). Al termine dello studio è stato osservata nei pazienti trattati una riduzione significativa della sensazione di debolezza e affaticamento; analogamente il trattamento ha comportato una riduzione significativa dei disordini dell’alimentazione e del mal di testa. L’insonnia è stata significativamente ridotta ma non completamente. L’ipertensione è stata ridotta in modo significativo ma non completamente. Tutti i parametri sono stati testati con il test t accoppiato e hanno mostrato risultati significativi. Lo studio conclude che Shirodhara con Brahmi Taila con Sarvanga Snehan e Swedana potrebbe essere un rimedio coadiuvante per i disturbi da stress e mentali favorendo l’equilibrio della mente senza causare alcuna complicazione. Shirodhara, impiegando un taila a base di erbe, può essere utilizzato per lunghi periodi per il trattamento per questo tipo di disturbi poiché non dimostra tossicità e reazioni avverse ai farmaci. [9]

Nel 2018 uno studio clinico ha valutato l’azione di particolari procedure ayurvediche sull’ipertensione che, sulla base di fattori genetici ed ambientali, viene ritenuta innescata dallo stress e quindi considerata anche come un disturbo psicosomatico. Le linee guida del Joint National Committee (JNC 8) consigliano un minor uso di farmaci antipertensivi e suggeriscono che la modifica dello stile di vita e il rilassamento siano la migliore terapia iniziale. In Ayurveda, lo Shirodhara è una delle terapie panchakarma pensate per il rilassamento e la di riduzione dello stress (Dharakalpa) come trattamento preventivo e curativo per molti disturbi legati allo stress. Questo studio ha concluso che tre diversi tipi di Shirodhara (con Sukhos̩n̩ajala, Tila taila e Brahmi taila) nella gestione dell’ipertensione essenziale da lieve a moderata, agisce su parametri oggettivi SBP, DBP, PP e MAP. Nell’Ayurveda, Shirodhara è una peculiare procedura Panchakarma utilizzata alleviare lo stress mentale rilassando la mente e poiché favorisce la dilatazione dei vasi periferici aiuta nel normale mantenimento della pressione sanguigna. In questo studio tutti e tre i trattamenti, indipendentemente dalla sostanza impiegata, hanno svolto un ruolo importante nel portare i parametri oggettivi alla normalità ma lo Shirodhara con Brahmi taila ha mostrato un mantenimento superiore e statisticamente significativo della pressione sanguigna. [6]

Uno studio pilota del 2020 ha ulteriormente valutato l’impatto di Shirodhara con Brahmi taila su pressione sanguigna, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria in pazienti ipertesi. Lo studio ha concluso che Shirodhara con Brahmi taila ha avuto un effetto di riduzione sulla pressione sanguigna sistolica e diastolica, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria con effetto di riduzione del polso. [36]

Un recente articolo (2021) ha riportato l’esperienza di un caso clinico di un paziente maschio di 57 anni, affetto da Morbo di Parkinson che presentava tremori sia alle mani che al collo ed era incapace di camminare senza supporto da 12 anni. Il paziente è stato trattato per 1 mese con terapie Panchakarma come Sarvanga Abhyanga (con Maha Narayana Taila), NadiSweda, Shiro Abhyanga (con Brahmi taila), Shiro Pichu (con Brahmi taila) e Shiro Basti (con Brahmi taila e Moorchita Tila Taila) e con preparazioni erbali per via orale. Al termine del trattamento il paziente ha ottenuto un notevole sollievo dai sintomi. [49]

Il diabete mellito (DM) è una malattia metabolica cronica e progressiva con diverse complicazioni che colpiscono praticamente tutti i sistemi del corpo umano. La gestione del DM è multifattoriale, tenendo conto di altri importanti fattori di rischio modificabili, come l’obesità, l’inattività fisica, il fumo, la pressione sanguigna e la dislipidemia. In questi pazienti il consumo regolare di quantità anche moderate di alcol interferisce con il controllo della glicemia diabetica e aumenta il rischio di complicanze e, sempre in questi pazienti, i casi di alcolismo non sono rari. L’Ayurveda gestisce la malattia diabetica attraverso di Ahara (Dieta), Vihara (modifica dello stile di vita), Achara (codice di condotta) e Aushadhi (medicinali) in relazione alla forza della malattia (Roga) e dalla resistenza del paziente (Rogi). In questa problematica, insieme alle varie modifiche dietetiche e dello stile di vita, l’Ayurveda consiglia anche terapie complementari e disintossicanti, come applicazioni esterne come Abhyanga, Shirodhara, Shiro Lepa e Shiro Pichu (utilizzando Ksheerabala taila, Brahmi Taila, Himasagar Taila); queste procedure risultano tradizionalmente praticate per gestire soprattutto lo stato di astinenza dall’alcol per un periodo da 5 a 7 giorni o per periodi più prolungati, fino alla cessazione dei sintomi di astinenza (mal di testa, nausea, tremori, sonno disturbato, perdita di appetito ecc.). [44]

 

“Brahmi taila”: profilo breve delle piante medicinali

– Bacopa monnieri Linn. (Brahmi)

In Ayurveda Sushruta Samhita, Charaka Samhita e Atharva Veda descrivono le piante che hanno un Prabhava (azione specifica) sull’intelletto e sulla memoria come Medhya Rasayana e tra queste vie è Bacopa monnieri che è considerata una importante pianta medicinale del sistema medicinale india. La pianta rientra nella categoria in via di estinzione a causa del suo massivo sfruttamento per usi medicinali. La pianta possiede numerose azioni, ritenute utili ai fini medicinali, di natura antinfiammatoria, analgesica, antipiretica, sedativa, antiepilettica, antiossidante, immunomodulante, stimolante della memoria, anti- stress, ansia e anti-cancro. In un recente rapporto, Bacopa monnieri è al secondo posto tra le piante medicinali indiane in base al significato medicinale, alla stima degli affari e alla ricerca e sviluppo. [10]

Bacopa monnieri L. è una pianta perenne non aromatica della famiglia delle Scrophulariaceae; cresce in terreno umido, in acque poco profonde e paludi. Si trova principalmente in paesi come Nepal, India, Srilanka, Cina, Taiwan, Pakistan, Vietnam, Florida e nella regione meridionale degli Stati Uniti. In India, si trova principalmente nelle regioni tropicali. È distribuita nelle regioni più calde del mondo ad eccezione dell’India. I costituenti chimici principali della Bacopa monnieri sono gli alcaloidi ed in particolare il brahmin e l’herpestina. Altre sostanze fitochimiche sono saponine, terpenoidi (monnierina, hersaponina) tannini, flavonoidi glicosidi (bacoside A e bacoside B). Le saponine sono classificate come pseudojujubogenine e jujubogenine glicosidi e sono segnalate come bioattivi importanti della pianta. [10]

Bacopa monnieri è utilizzata in vari sistemi medici tradizionali in tutto il mondo mostrando diversità etnobotanica. Il popolo Thari del deserto di Nara, e gli abitanti del Sindh in Pakistan, usano questa erba medicinale (pianta intera) come purificatore del sangue. In Rajasthan questa pianta è usata per una varietà di problemi (stomaco, fratture ossee, asma, infiammazione del dotto urinario, reumatismi, bronchite, gonfiore delle gambe, miglioramento della memoria, raucedine della voce, vesciche). Gli estratti di radice di questa pianta sono usati come antiveleno. In Orissa, le foglie di questa pianta vengono utilizzate contro la tosse, il raffreddore e la congestione nasale; l’estratto di radice è usato come collirio per curare la cataratta e le foglie sono usate per trattare la stitichezza e l’asma, sotto forma di olio e di pasta, anche come antisettico. La gente dei Ghati del distretto di Virudhunagar, Tamil Nadu, usa il Brahmi contro la dissenteria e come potenziatore della memoria. La radice e la foglia di questa pianta vengono utilizzate nei villaggi di Dakshin Dinajpur, nel Bengala occidentale, per aumentare la memoria e contro i disturbi nervosi. Le foglie di B. monnieri sono utilizzate dalle tribù malesi del Kerala meridionale per problemi urinari e per stimolare la regione addominale pubica. In Bangladesh le foglie vengono somministrate per via orale da alcune popolazioni tribali per purificare il sangue. [10]

Brahmi (Bacopa monnieri Linn) è un’erba molto importante in Ayurveda. È stata descritta in Charaka Samhita, Atharva-Veda e in Sushruta Samhita. È stata utilizzata come pianta medicinale nell’Ayurveda fin dall’antichità per il trattamento di epilessia, asma, ulcere e tumori e come farmaco “Medhya Rasayan” (con proprietà terapeutiche naturali che supportano la memoria, ristabiliscono le carenze intellettuali e migliorano la capacità mentale) che viene utilizzato per potenziare la memoria. Queste piante medicinali (Medhya), sono state utilizzate dagli esperti clinici ayurvedici in India per circa 3000 anni poiché svolgono un ruolo centrale in Ayurveda per il trattamento dei problemi psicologici dell’invecchiamento. La pianta di Bacopa è una pianta nel sistema medico ayurvedico che ad esempio è contenuta in Brahmighritam, Brahmirasayanam che son formulazioni proposte per controllare le convulsioni. Brahmi è forse l’erba più comunemente usata per effetti neurocognitivi ben consolidati. L’erba è comunemente usata dall’Ayurveda per preparare medicine polierbali come Saraswatarishta (SW) e Brahmi Ghrita (BG), Saraswat Choorna, Brhami taila. [10]

Proprietà di Brahmi come da letteratura ayurvedica sono: Virya-Sheeta, Vipak/ Madhura, Guna-Laghu, Rasa-Tikta. Azione Ayurvedica di Brahmi (Bacopa monnieri) : Vatahara (calma Vata), Anuloma (reindirizza il flusso di Vata verso il basso),Unmadahara (riduce le malattie mentali),Pradnya shakti (aumenta il potere intellettuale), Hridya (tonico del cuore), Majjadhatu Rasayana (ringiovanente, particolarmente usato per trattare i disturbi del sistema nervoso), Ayushya vardhana (aumenta la longevità), Balyam (conferisce forza, soprattutto alla mente), Jeevaniya (promuove l’energia), Medhya (azione nervina), Nidrajnana (promuove il sonno), Kushtaghna (allevia i disturbi della pelle). [10] Azioni farmacologiche di Brahmi: anti asmatica, anti allergica, anticancro, anticonvulsivante, antidepressiva, antinfiammatoria, antinocicettiva, antiossidante, antispasmodica, ansiolitica, cardiovascolare, gastroprotettiva, epatoprotettiva, potenziatrice della memoria nella malattia di Alzheimer e nella schizofrenia. [10]

– Glycyrrhiza glabra L. (Yashti-madhuh/Maduka)

Glycyrrhiza glabra L. (Famiglia: Fabaceae) è una piccola pianta erbacea perenne, comunemente nota come liquirizia, legno dolce o mulaithi, che è indigena dell’Eurasia, dell’Africa settentrionale e dell’Asia occidentale. Il genere Glycyrrhiza è ampiamente distribuito in tutto il mondo e comprende più di 30 specie. Il suo nome deriva dalle parole greche glykys, che significa dolce, e rhiza, che significa radice, mentre il nome specifico glabra si riferisce alle bucce lisce e deriva dal vocabolo latino glaber che significa nudo o lucido. [4]

Glycyrrhiza glabra Linn è una delle erbe molto utilizzate in Ayurveda, sia come farmaco erbale sia come erba aromatica. Glycyrrhiza glabra Linn è comunemente nota come Yashti-madhuh, Madhuka (sanscrito), Jashtimadhu. Si trova anche nel Mediterraneo e in alcune aree dell’Asia. [26] Chimicamente contiene diversi acidi organici, liquirtina, ramnoliquirilina, liquiritigenina, prenillicoflavone A, glucoliquiritina apioside, 1-metossifaseolina, shinpterocarpina, shinflavanone, licopyranocumarina, glisoflavone, licoarylcumarina, glycyrrhizina, isoangustone A, semilicoisoflavone B, licorifenone e 1-metossificifolinolo, kanzonolo R e diversi componenti volatili. [4]

La Liquirizia usata in medicina e commerciata deriva dalla radice dolce di varie specie di Glycyrrhiza, genere che comprende circa quattordici specie, originarie dei paesi temperati più caldi sia del Nuovo che del Vecchio Mondo, dieci delle quali con radici più o meno dolci, ma la maggior parte di loro non risulta utile per scopi medicinali. La liquirizia è una delle erbe più comunemente usate anche nella fitoterapia occidentale. La liquirizia è usata in medicina da più di 4000 anni. La prima testimonianza del suo uso in medicina si trova nel “codice Hammurabi” (2100 a C). Era anche una delle piante importanti menzionate nell’erboristeria assira (2000 a C). Ippocrate (400 a C) ne menzionò l’uso come rimedio contro le ulcere e come ritemprante. La droga è stata menzionata anche da Teofrasto e Dioscoride. Nella medicina tradizionale Siddha, la liquirizia è usata come emolliente, espettorante, antitussivo, lassativo e dolcificante. [26]

Formulazioni tradizionali ayurvediche: Un decotto di madhuka o la sua polvere sono stati prescritti con miele nell’anemia; Yashti mescolato con latte di mucca è stato prescritto per favorire l’allattamento; polvere di madhuka mescolati zucchero, pestati con acqua di riso sono stati prescritti nella metrorragia; latte di riso con Yashtimadhu, è stata prescritto nella raucedine della voce; Charaka prescrisse 10 g di polvere di madhuka mescolata con miele, seguiti dall’assunzione di latte, come afrodisiaco e come tonico per stimolare l’intelletto; Charaka prescriveva anche una pasta di liquirizia e Picirrhiza kurroa con acqua zuccherata come cardio-tonico; Charaka ha prescritto Yashtimadhu e Santalum album, in polvere con latte nell’ ematemesi; Sushruta ha prescritto la pasta di Yashti madhu per l’emorragia interna; per l’edema si è utilizzata pasta di liquirizia e Sesamum indicum mescolato con burro; burro chiarificato caldo mescolato con liquirizia, è stato applicato localmente su ferite, contusioni e ustioni; un decotto di madhuka viene usato sull’erisipela; un decotto di radice è un buon lavaggio per la caduta e l’ingrigimento dei capelli; Yashti è un ingrediente importante nel collirio Narikelanjana, prescritto sia nelle congiuntivi acute che croniche. [26]

Usi medicinali tradizionali: Questa specie vegetale è stata tradizionalmente impiegata per numerose azioni medicamentose tra le quali quelle più note sono quelle antinfiammatoria, espettorante, antitussiva ma la liquirizia possiede numerose altre azioni, sia per uso orale sia per uso esterno, come quelle di regolazione ormonale e come disintossicante e protettore del fegato. È stata comunemente consigliata come coadiuvante nella gestione di morbo di Addison, asma, bronchite, ulcera peptica, artrite, disturbi allergici e come terapia steroidea. Esternamente, le liquirizie sono comunemente usate per eczema, herpes e fuoco di Sant’Antonio. La liquirizia riduce il livello di testosterone sierico nelle donne ed è una buona integrazione nell’anemia aplastica. L’estratto di liquirizia viene consigliato come integratore in condizioni autoimmuni e analogamente come integrazione in condizioni di immunodeficienza come l’AIDS. I componenti della radice di liquirizia hanno attività sia estrogenica che antiestrogenica e quindi la pianta è stata impiegata per il trattamento dei problemi femminili legati alla sfera ormonale. Altro uso tradizionale è quello come tonico energetico, in particolare per la milza e lo stomaco. Le radici di Glycyrrhiza glabra grazie alle caratteristiche emollienti, toniche e demulcenti sono utilizzate anche nelle malattie genito-urinarie, in gotta, asma, mal di gola, tonsillite, flatulenza, debolezza sessuale, epilessia, iperdipsia, febbre, tosse, malattie della pelle, gonfiori, acidità, leucorrea, sanguinamento, ittero, singhiozzo, raucedine gastralgia, cefalea, oftalmopatia e faringodinia in generale nelle condizioni viziate di vata dosha. [26]

Le radici della liquirizia sono state tradizionalmente impiegate per la loro azione antidepressiva, epatoprotettiva, spasmolitica, rinforzante della memoria. Viene usata tradizionalmente nel trattamento della diarrea, febbri, febbre con delirio e anuria. La liquirizia è un ingrediente importante anche negli oli medicinali tradizionalmente utilizzati per trattamenti coadiuvanti specifici in epilessia, paralisi, reumatismi, malattie emorragiche. [26]

Azioni farmacologiche: immunomodulatoria, antitussiva, antinfiammatoria, antiastenica (affaticamento cronico), antinocettiva, antiulcera, epatoprotettrice, potenziatrice della memoria, antistress, anticonvulsivante, inibizione enzimatica (tirosina), anti iperglicemica, antivirale, antimalarica, anticancro, ormone regolatrice, antimicobatterica, antidislipidemica, antimicrobica, espettorante, immunostimolante, antiallergica, anticonvulsivante. [26]

La liquirizia contiene il glicoside, glicirrizina che ha una struttura simile e attività come gli steroidi surrenali. La liquirizia ha un effetto antinfiammatorio, simile al cortisone, che viene ritenuto utile per l’artrite e le allergie. La liquirizia è stata usata sperimentata come integrazione fitoterapica per la sindrome di Addison lieve e in altre malattie da insufficienza surrenalica, come l’ipoglicemia. La liquirizia agisce similmente all’ormone adrenocorticotropo (ACTH), che causa ritenzione di sodio, potassio esaurimento e ritenzione idrica. Il consumo orale eccessivo di liquirizia può portare ai sintomi classici dell’ipertensione, con edema, aumento della pressione sanguigna, perdita di potassio e debolezza muscolare. La forma deglicirrizinata (DGL) è spesso usata per evitare gli effetti collaterali dell’ipertensione dell’acido glicirretico nella liquirizia intera. Liquirizia e DGL hanno un lieve effetto lassativo e possono proteggere la mucosa intestinale aumentando la produzione di muco, alleviando così il bruciore di stomaco e le ulcere. Liquirizia e DGL hanno un’azione emolliente molto utile per la tosse. [26]

– Vetiveria zizanioides Linn Nash (Khas-Khas/ Ushir)

Vetiveria zizanioides (L.) Nash anche conosciuta come Chrysopogon zizanioides (L) Roberty (Famiglia: Poaceae/Gramineae) è una pianta ampiamente coltivata nelle regioni tropicali del mondo perché molto adattabile a diversi fattori ambientali: tollera la prolungata siccità ma sopravvive anche a lunghe inondazioni stagionali; tollera temperature estreme e cresce su un’ampia gamma di pH del terreno. Cresce spontaneamente come erba aromatica perenne fino a 2 metri di altezza in tutte le pianure dell’India (fino a 1200 m di altitudine ma è coltivata sistematicamente negli stati dell’India settentrionale del Rajasthan, Uttar Pradesh e Punjab e negli Stati dell’India meridionale del Kerala, Tamil Nadu, Karnataka e Andhra Pradesh. Il vetiver è conosciuto in India fin dai tempi antichi e tra i sui nomi regionali troviamo “Khas” oppure “Khas-Khas” o “Ushir”. Tradizionalmente è stato usato come agente rinfrescante, tonico, purificatore del sangue, per trattare molti disturbi della pelle ed è noto avere un effetto calmante sul sistema nervoso. Altri usi medicinali tradizionali includono il trattamento della tigna, indigestione e perdita di appetito. È considerato anche una fonte di profumo di alta classe e antiche iscrizioni su lastra di rame citano il profumo come uno degli articoli usati dalle famiglie regnanti; nella letteratura ayurvedica è descritto come “Suganti-mulaka” (cioè dal profumo dolce) e “Sita Mulaka” (cioè dalle radici fresche). [35]

È considerato come uno stimolante, rinfrescante e antibatterico e applicato esternamente rimuove il calore in eccesso dal corpo. L’olio è noto per essere stato utilizzato come carminativo nella flatulenza colica e nel vomito ostinato. Negli studi farmacologici l’olio di vetiver dimostra una potente azione antibatterica nei confronti di patogeni farmaco resistenti, azione scavenging dei radicali idrossilici, potenziale azione antitumorale, antiepatotossica e antiossidante. [35] [3]

In Ayurveda viene considerato anche come “Rasayana” ma diverse parti della pianta di vetiver tradizionalmente sono state utilizzate dalle tribù indiane per il trattamento di malattie e disturbi tra cui foruncoli, ustioni, epilessia, febbre, puntura di scorpione, morso di serpente, piaghe in bocca, mal di testa, mal di denti, debolezza, lombalgia, distorsione, reumatismi, infezioni del tratto urinario, febbre malarica, sollievo dall’acidità e come antielmintico. Nell’uso tradizionale l’olio di vetiver è stato utilizzato anche per gestire comportamenti correlati alla demenza e per aumentare la prontezza mentale e cognitiva. L’olio essenziale di vetiver possiede proprietà sedative e è tradizionalmente utilizzato in aromaterapia per alleviare lo stress, l’ansia, la tensione nervosa e l’insonnia. [35] [3] In tutta l’India le radici vengono bruciate per l’uso come fumigatore profumato. [35]

L’olio di vetiver è una delle più preziose materie prime in profumeria e nelle aziende farmaceutiche e come antimicrobico e agente antimicotico; l’olio puro di radice di vetiver (Khus) noto in commercio come “Ruh -Khus” è noto per l’uso nei profumi fin dall’antichità, esso mostra azione fungicida, battericida, antimicotica, antiossidante e antinfiammatoria. Vetiveria zizanioides Linn Nash è stata utilizzata anche nella antica medicina tradizionale dell’Asia e dell’Africa. [35]

La maggior parte delle radici vengono impiegate per l’estrazione dell’olio. [35] I costituenti chimici presenti nella pianta sono Vetiverolo, Vetivone, Khusimone, Khusimolo, Vetivene, Khositone, Terpeni, Acido benzoico, tripene-4-olo, ß-humulene, epizizianale, ovetinyl vetivenato, iso khusimoolo, ß-vetivone, vetivazulene. Nelle radici, il componente principale è il valencene (30,36%), mentre nei germogli e nelle foglie, è la 9-ottadecenamide (33,50%), il 2,6,10,15,19,23-esametile-2,6,10,14,18,22-tetracosaesaene (27,46%) e il 1,2- acido benzendicarbossilico, diisoottil estere (18,29%). Nelle sostanze volatili è presente una elevata quantità di terpenoidi. Le proprietà ayurvediche della pianta sono: Rasa: Tikta, Madhura; Guna: Lakhu, Rooksha; Virya: Seeta; Vipaka: Katu. Karma: Pacana, Pittaghna, Stambhana, Vataghna, Dabaklantihara, Kaphapttahrt. [35]

“Khas-Khas” è ampiamente utilizzato come agente rinfrescante, tonico e purificatore del sangue e viene ritenuto utile nei trattamenti dei vizi di Vata-Pitta dosha. L’olio di vetiver non può essere prodotto sinteticamente e per questi motivi è costoso. Possiede la caratteristica di lento tasso di evaporazione che conferisce persistenza aromatica alle miscele a cui viene aggiunto. Si miscela ottimamente con gli oli di sandalo patchouli e rosa.

 

– Coleus vettiveroides K.C. Jacob (Hrivera)

Il Coleus vettiveroides K.C. Jacob (Lamiaceae), sinonimo Plectranthus vettiveroides (Jacob) N.P. Singh & B.D. Sharma, è una importante pianta medicinale, inclusa nella lista dei singoli farmaci del Formulario Ayurvedico dell’India, nota come Hrivera (in sanscrito) e nel Formulario Siddha come Kuruver (in Tamil). Il Coleus vettiveroides non è ampiamente distribuito in India, ma è endemico e coltivato nel Tamil Nadu. Il Coleus vettiveroides appartiene al sottordine Ocimoideae all’interno della famiglia delle Lamiaceae; il genere Coleus conta circa 150 specie tuttavia nelle medicine Ayurvedica e Siddha, sono considerate di valore medicinale solo 3 specie: il Coleus vettiveroides K.C. Jacob, il Coleus forskohlii Briq. sin. C. barbatus, Benth e il Coleus amboinicus Lour. sin. C. aromaticus Benth. Nelle formulazioni incluse nel Formulario Ayurvedico dell’India, si trova un ampio uso di polvere di radice di Hrivera in molte formulazioni complesse (Asava / Arista, Arkas, Avalekas, Curnas e Kvatha Curnas, Tailas, Lepas, Vati-Gutikas, Rasa e Lauha). Le formulazioni per uso interno generalmente posseggono un’azione positiva nei casi di disturbi gastrointestinali come malassorbimento, flatulenza, diarrea o dissenteria e febbre intestinale. Esternamente, le formulazioni Taila e Lepa posseggono diverse indicazioni comprese quelle di natura analgesica e carminativa. [41]

Coleus vettiveroides viene ritenuto utile nella condizione viziate di pitta (sensazione di bruciore, stranguria, lebbra, malattie della pelle, leucoderma, febbre, vomito, diarrea, ulcere). Il Coleus vettiveroides è una pianta aromatica, amara, rinfrescante, diaforetica, stimolante, diuretica, tricogena e antipiretica ed è tradizionalmente usata per la polidipsia e come stomachico ed emmenagogo. [50]

Gli estratti delle radici in particolare, sotto forma di olio, sono molto noti per promuovere la crescita dei capelli e nel trattamento di allergie, bronchiti, emorragie interne, vertigini, mal di testa, reumatismi e gonfiore intestinale, bruciore agli occhi, lebbra, malattie della pelle; questa pianta medicinale è inoltre nota per il trattamento di disturbi psichiatrici. L’olio è utilizzato anche componente nel Mahanarayana thaila. Gli estratti delle foglie vengono impiegate come rinfrescanti e carminative ed anche nell’ indigestione, dispepsia, dissenteria, ulcere, disturbi emorragici e dermatiti. [50]

L’olio essenziale di radice contiene principalmente Androstan-17-one, 3-etil-3-idrossi- (5α) – (25%) e – (-) spathulenol (9%). Gli altri composti sono α-bisabololo (7%), Z-valerenil acetato (7%), megastigma-4,6 (E), 8 (Z)-triene (6%), 1H-cicloprop (E) azulen-7-olo, decaidro-1,1, 7-trimetil-4-metilene- (5%), mirtenolo (2%), 1-naftalenolo (2%), cariofillene ossido (2%), abieta-9 (11), 8 (14), 12-trien-12-olo (2%).

 

 

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A cura della direzione scientifica di Benefica

 

 

Newsletter Fitoterapia nr. 61 – Novembre 2021

Gli oli essenziali come “immunostimolanti naturali”

 

Biomulecules.2020 Aug; 10(8): 1139. PubMed.

Immunomodulatory Activities of Selected Essential Oils. 

Georg Sandner,Mara Heckmann,and Julian Weghuber

 

Nella storia della medicina gli oli essenziali hanno da sempre rappresentato una classe di sostanze ad azione medicamentosa distinta da altre forme estrattive di origine vegetale. Gli oli essenziali infatti sono riconosciuti da sempre come preparati molto attivi che, grazie alla loro elevatissima concentrazione di chemiotipi bioattivi ed alla relativa struttura chimica, sono in grado di distribuirsi velocemente nell’organismo attraverso più vie di somministrazione. Per questi motivi sono da sempre considerati degli ottimi sintomatici e curativi in diversi disturbi sia quando comunemente somministrati localmente sia quando somministrati per via orale o inalatoria. Agli oli essenziali sono sempre state attribuite potenti azioni medicamentose al punto che in Europa, nel Medioevo, caddero in disuso poiché ad essi venivano attribuite azioni demoniache. Gli oli essenziali tornarono progressivamente in uso in epoca rinascimentale, per arrivare al loro massimo sviluppo nel XVIII secolo soprattutto in Francia, dove è nata la più importante scuola di aromaterapia Europea. Gli oli essenziali si distinguono come preparati estrattivi vegetali di elevata potenza medicamentosa che devono essere somministrati, per qualunque via, con perizia ed accortezza tecnico farmaceutica per evitare possibili effetti tossici in particolar modo se somministrati per via orale. Al contrario gli oli essenziali opportunamente diluiti, e inseriti in moderni integratori fitoterapici attraverso specifiche tecnologie farmaceutiche (es. atomizzazione spray drying), rappresentano una eccellente fonte di bioattivi naturali e si dimostrano sicuri e ben tollerati. Negli ultimi anni l’impiego degli oli essenziali, un tempo prescritti in modo “specialistico” da medici fitoterapeuti e aromaterapeuti, è diventato sempre più popolare e diffuso anche in moderni integratori naturali per la gestione di diversi disturbi, compresa la profilassi dei ricorrenti disturbi delle alte vie aeree.

La newsletter si focalizza sui razionali d’azione immunomodulatoria e immunostimolante di alcuni oli essenziali, basandosi sulle conclusioni di alcuni degli articoli scientifici attualmente disponibili sull’argomento e ne propone la lettura di uno [28] di essi, disponibile in PubMed, tra i più recenti.

 

Oli essenziali e funzionalità respiratoria

Gli oli essenziali offrono tradizionalmente numerose azioni medicamentose legate al loro potenziale antimicrobico (comune a tutti i loro costituenti), con proprietà antivirali, antibatteriche e antimicotiche generalmente significative; alla loro capacità di migliorare le funzioni digestive; alle loro azioni sedative/calmanti, analgesiche, antinfiammatorie o antipruriginose (uso locale); alla loro azione a favore della funzionalità respiratoria ben nota per “rallentare” le più comuni sintomatologie invernali. Questi effetti sono generalmente comprovati dall’esperienza tradizionale o da dati scientifici mentre sembrerebbero meno evidenti le funzioni epatoprotettive o modulatrici ormonali. [4]
Alcuni oli essenziali estratti da piante medicinali sono tradizionalmente ritenuti molto utili nella gestione sintomatica dei disturbi da raffreddamento e nel sostenere la funzionalità dell’apparato respiratorio. Questa loro indicazione specifica viene ricondotta alla loro capacità, ben dimostrata anche nella recente letteratura scientifica, di agire con valenza antivirale, antibatterica, antinfiammatoria, antitussiva, decongestionante e broncodilatatrice (Zenzero). Gli oli essenziali occupano da sempre un ruolo importante nella fitoterapia delle infezioni otorinolaringoiatriche e bronchiali, a scopo antisettico, decongestionante o espettorante. Numerosi oli essenziali sono inclusi in numerose Farmacopee Ufficiali ed alcuni di essi sono stati impiegati come uniche sostanze antibiotiche fino all’introduzione degli antibiotici di sintesi. [36]
La lunghissima tradizione d’uso e recente letteratura scientifica confermano la positiva azione prevalentemente “sintomatica” degli oli essenziali nella gestione delle comuni sintomatologie a carico delle vie aeree tuttavia negli ultimi anni si è assistito ad una riscoperta del loro uso profilattico/protettivo che è sempre maggiore anche nell’automedicazione; un certo numero di oli essenziali infatti viene oggi proposto, anche in integratori fitoterapici, per supportare la vigoria del sistema immunitario in inverno, in forma unitaria o in combinazione. Questa moderna proposta d’uso pro immunitaria di alcuni oli essenziali tuttavia non fonderebbe su nuove conoscenze su di essi bensì rappresenterebbe una riscoperta del loro uso, per secoli di pratica medica, come protettori naturali delle vie aeree. Basti pensare, al riguardo, allo storico impiego popolare, comune fino a pochi decenni or sono, di preparati contenenti oli essenziali (es. Canfora), nella gestione e prevenzione delle malattie respiratorie. Il semplice studio delle pratiche cliniche di gestione delle malattie respiratorie nel tardo 1800 [26-8-32-5-35-34] indicano chiaramente il ricorrente uso degli oli essenziali che poi sono stati impiegati come antibiotici naturali fino alla seconda Guerra Mondiale. [36]
Riferimenti storici all’azione protettiva di alcuni oli essenziali sono molto comuni tuttavia una risulta curiosamente interessante: tra il 1628 e il 1631 un’epidemia di peste decimò la città di Tolosa. Morirono tutti, tranne quattro ladri che furono colti nell’atto di derubare i cadaveri. Gli ufficiali del regno chiesero loro il segreto della loro resistenza alla malattia e i ladri confessarono di avere trovato un rimedio a base di oli essenziali di cui si spalmavano quotidianamente il corpo per proteggersi. Questa miscela conteneva principalmente un forte aceto di vino bianco e una dozzina di piante tra cui assenzio, rosmarino, salvia, menta piperita, lavanda, cannella di Ceylon, chiodi di garofano, aglio e canfora. Tutte queste piante sono tradizionalmente note come protettori poiché dotate di un forte potere antimicrobico che si aggiunge al pH sfavorevole (derivante dall’aceto) allo sviluppo di infezioni. Questa composizione è rimasta elencata nella Farmacopea francese come antisettico fino ai primi del Novecento. [17]
L’uso tradizionalmente diffuso degli oli essenziali nella prevenzione delle infezioni invernali fonda sulla loro azione come antisettici anche per inalazione o diffusione. [1] [22] Recente letteratura scientifica suggerisce tuttavia che l’azione preventiva/protettiva degli oli essenziali a favore delle alte vie aeree possa essere motivata anche da una azione sul sistema immunitario, tuttavia questo varrebbe solo per alcuni oli essenziali. [4]
Questi oli essenziali dimostrerebbero infatti una specifica azione immunomodulatoria che ne indicherebbe non solo l’impiego come coadiuvanti sintomatici ma anche come immuno-protettori utili nella profilassi dei comuni malanni di stagione.
Tra gli oli essenziali utili per la funzionalità delle vie respiratorie, a cui si attribuisce anche una azione immunomodulatoria, secondo evidenze scientifiche, vi sono: Boswellia carterii, Canfora (borneolo), Tea tree (Melaleuca alternifolia Cheel.), Ravintsara (Cinnamomum camphora – CT cineolo), Citronella, Zenzero (Zingiber officinale Rosc.), Garofano (Syzygium aromaticum), Lavanda, Timo; ne esistono tuttavia molti altri impiegati in diverse culture etnomedicinali. [4]

 

Razionali generali del meccanismo d’azione pro-immunitario degli oli essenziali

Le attività immunostimolanti ed immunomodulanti degli oli essenziali (EO) sono mediate da molteplici meccanismi: sono stati individuati EO che stimolano il sistema immunitario aumentando la quantità di linfociti circolanti e potenziando la loro attività fagocitaria, migliorando così la clearance batterica. [31] [23] È stato anche dimostrato che gli EO sono in grado di sopprimere le risposte coinvolte nell’infiammazione e diminuire la produzione di citochine interferendo con mediatori chiave delle vie infiammatorie. [12] [11] [20]
Vengono ritenuti oli essenziali “immunomodulanti” quelli che influenzano il sistema immunitario sia migliorando (immunostimolazione) o sopprimendone alcune funzioni attraverso immunosoppressione di alcune vie delle risposte immunitarie (utile quando aiuta a diminuire le risposte infiammatorie e autoimmuni). [7] Vengono ritenuti “immunostimolanti” gli oli essenziali che favoriscono l’attivazione di componenti inattivi del sistema immunitario o per aumento della loro attività. [7] Diverse piante e i loro estratti dimostrano di influenzare le cellule T e la produzione di citochine e anticorpi a livello cellulare e molecolare. [13]
In aromaterapia, in una generale ma non rigida distinzione, gli oli essenziali contenenti fenoli vengono ritenuti prevalentemente “immunostimolanti” mentre gli oli essenziali contenenti monoterpenoli vengono ritenuti prevalentemente “immunomodulanti” anche se offrono anch’essi azioni immunostimolanti; buoni esempi di questa seconda tipologia sono ad esempio quelli di Melaleuca alternifolia (ricca di terpinen-4-olo), quello di Timo satureioides (ricco di borneolo), quello di Thymus vulgaris (ricco di 4- tuianolo). [4] Oli essenziali ad azione immunostimolante sono ritenuti quelli di Ravintsara, Timo e Saro (Cinnamosma fragrans); [4] Faucon (2009) nel “Traité d’aromathérapie scientifique et médicale” ne cita otto ma indica l’esistenza di un numero di oli essenziali pro-immunitari più ampio. [4]
L’azione pro-immunitaria degli oli essenziali è stata osservata attraverso somministrazione locale ed orale ma anche la via inalatoria e di diffusione aerea non dovrebbero essere trascurate a causa delle interazioni tra il sistema immunitario e il sistema neuroendocrino che ne suggerirebbero anche un’azione psicosomatica. [4]
Un esempio dell’azione pro-immunitaria degli oli essenziali è quello dell’olio essenziale di Tea tree (Melaluca alternifolia Cheel.), concentrato in terpinen-4-olo, che ha potenti effetti immunomodulatori in vitro (proliferazione e produzione di mediatori di infiammazione dei macrofagi), ed in vivo anche per diffusione atmosferica. [4] L’olio essenziale di Tea tree in maialini svezzati ha migliorato l’immunità intestinale (mucosa) aumentando i livelli di interleuchina IL-2 e IL-10, così come l’interferone-γ (IFNγ), nel digiuno e nell’ileo. Inoltre, la lunghezza dei villi è stata migliorata da questo trattamento. I dati hanno mostrato che l’olio dell’albero del tè era più efficace degli antibiotici standard. È stato dimostrato che l’olio dell’albero del tè riduce diarrea e migliorare le prestazioni di crescita nei suinetti. [28] Analogamente l’eucaliptolo (1,8-cineolo), concentrato in alcune piante medicinali ed in particolare nell’olio essenziale di Ravintsara (Cinnamomum camphora – CT cineolo), inibisce la produzione di interleuchine pro-infiammatorie nelle popolazioni di linfociti e cellule monocitiche umane in vitro. [4] L’olio essenziale di Zenzero dimostra un’azione immunostimolante (incremento del numero di linfociti) verificata anche in uno studio clinico in pazienti oncologici. [16] Analogamente l’olio essenziale di Niaouli (Melaleuca quinquenervia) induce un aumento del numero di cellule T attivate e di linfociti B circolanti nei topi, a dosi elevate; in vitro, l’olio essenziale di citronella (Cymbopogon) e l’olio essenziale di Boswellia (Boswellia serrata) posseggono effetti immunomodulatori o immunostimolanti; un lavoro condotto su olio essenziale di chiodi di garofano (ed eugenolo) suggeriscono un’azione immunostimolante, in topi immunocompromessi; l’olio essenziale di salvia officinale sembra invece essere privo di azione pro immunitaria così come l’olio essenziale origano che non mostra alcun effetto sui marcatori dell’immunità innata o acquisita. [4] Ad esempio, è stato dimostrato che l’olio essenziale di corteccia di cannella e l’olio essenziale di germogli di chiodi di garofano aumentano l’altezza dei villi nel duodeno, digiuno e ileo dei polli da carne. Anche i titoli anticorpali contro il virus della malattia di Newcastle (pseudopeste aviaria) sono stati aumentati rispetto a quelli dei gruppi di controllo. Pertanto, gli EO sono stati identificati come alternative all’antibiotico negli allevamenti di polli da carne. [28] Inoltre, gli estratti di ginseng e il suo olio essenziale hanno dimostrato di indurre effetti immunostimolanti, ad esempio aumentando il fattore di necrosi tumorale (TNFα) e livelli di IFNγ o per aumento dell’attività fagocitaria. [28]

 

Azione pro-immunitaria degli oli essenziali contenenti 1,8 cineolo (Eucaliptolo)

L’olio essenziale di Ravintsara (Madagascar), similmente all’olio essenziale di Eucalipto concentra in sé un elevatissimo quantitativo (> 50 %) di 1, 8- cineolo (comunemente conosciuto come eucaliptolo), che ne rappresenta l’elemento distintivo dalle specie di canfora asiatiche che invece contengono quantitativi molto inferiori di eucaliptolo e altre sostanze ritenute potenzialmente tossiche. L’eucaliptolo è un monoterpene responsabile di numerose azioni terapeutiche tra cui quelle antinfiammatorie e analgesiche [38] [27] e si accompagna frequentemente al limonene e al terpineolo che sono componenti comuni negli oli essenziali.
Recentemente, sono stati molto studiati gli effetti immunomodulatori di oli essenziali contenenti eucaliptolo (EEO). Serafino et al. [29] hanno studiato l’impatto di questi oli essenziali sui macrofagi derivati da monociti umani (MDM) in vitro mediante microscopia confocale dopo la somministrazione di sfere fluorescenti. I risultati hanno mostrato un’attività fagocitaria drasticamente aumentata negli MDM umani trattati con EEO rispetto a quelli che sono stati trattati con LPS. Nei gruppi di controllo non trattati, il 13,7% delle cellule mostrava attività fagocitaria con una media di 11 sfere fagocitate per cellula. Il trattamento con LPS (per 6 h) ha leggermente aumentato la percentuale di cellule fagocitarie al 18,26% e non ha influito sul numero di sfere fagocitate, mentre il trattamento con EEO (0,008%) ha aumentato la percentuale fagocitaria al 27,1% con una media di 24 sfere fagocitate per cellula (dopo 24 h di trattamento). Analogamente il test “LPS challenge” ha dimostrato che il pre-trattamento per 24 ore di MDM umani con oli essenziali induce su di essi una maggiore attività fagocitaria rispetto a quella indotta dal trattamento con LPS solo. La motilità cellulare potrebbe contribuire all’aumentata capacità fagocitaria, poiché gli MDM trattati con EEO hanno dimostrato lamellipodi e filopodi allungati. Un effetto non specifico di questi oli essenziali sull’attività fagocitica degli MDM è stata esclusa testando altri oli essenziali, che non hanno avuto effetto sull’ attività fagocitaria MDM. Nonostante la stimolazione pro-infiammatoria indotta da LPS le citochine erano significativamente ridotte nelle cellule che erano state pretrattate con olio essenziale. Questo effetto è stato particolarmente evidente per le citochine IL-4, IL-6 e TNF. Quando è stato aggiunto nocodazolo, l’attività fagocitaria delle cellule pretrattate con EEO è stata inibita, mentre l’attività delle cellule stimolate con LPS non è stata influenzata, suggerendo che il potenziamento della fagocitosi mediato da EEO dipendesse dalla rete dei microtubuli ed è stata mediata attraverso meccanismi diversi dalla fagocitosi indotta da LPS, possibilmente coinvolgendo diversi recettori fagocitari. Inoltre, lo studio di Serafino et al. [29] ha dimostrato in vivo l’impatto degli EEO sulla capacità fagocitaria dei monociti e dei granulociti del sangue periferico nei ratti (immunocompetenti e immunodepressi). Nei ratti immunocompetenti, il trattamento con EEO ha aumentato significativamente la percentuale di monociti circolanti e contemporaneamente ha determinato un aumento dell’attività fagocitaria e l’espressione del recettore CD44, che media l’adesione all’endotelio, promuovendo così lo stravaso. [14] In ratti sperimentalmente immunosoppressi con 5-fluorouracile, la somministrazione di EEO ha determinato un recupero della percentuale di granulociti circolanti e ha ripristinato le capacità fagocitarie di granulociti e monociti. Poiché il 5-fluorouracile è comunemente usato nella chemioterapia, anche questi risultati suggeriscono un possibile ruolo dell’EEO in nuove terapie combinate per migliorare il trattamento del cancro. [29] Yadav e Chandra [37] hanno esaminato l’effetto di EEO e del suo principale costituente 1,8-cineolo sull’attività fagocitaria dei macrofagi negli alveoli polmonari. Quando le cellule sono state pretrattate con lo 0,02% di EEO 3 h prima dell’infezione batterica, è stato osservato un aumento dell’attività fagocitaria dei macrofagi alveolari ed è stata osservata la clearance intracellulare dei patogeni. Questi risultati sono coerenti con quelli di Serafino et al. [29] Inoltre, il pretrattamento con EEO ha ridotto la produzione di mediatori pro-infiammatori LPS-indotti, come TNF, IL-1, IL-1 e NO nei macrofagi alveolari polmonari. Il composto 1,8-cineolo isolato ha dimostrato un simile effetto antinfiammatorio ma solo intracellulare (IL-1, IL-1 e IL-6). Tuttavia, l’1,8-cineolo sembra esercitare un forte effetto inibitorio sulla produzione di TNF nei monociti. In uno studio precedente [15], è stato dimostrato che il pretrattamento con 1,8-cineolo riduce il TNF e la produzione di IL-1 nei monociti umani rispettivamente del 99% e dell’84%. Livelli ridotti di IL-1 potrebbero derivare dalla ridotta espressione del recettore nod-like NLRP3. [37] A differenza dei recettori toll-like, i recettori “nod-like” sono attivati all’interno della cellula e fanno parte dell’inflammasoma, un complesso multiproteico immunitario innato responsabile delle risposte infiammatorie. Gli inflammasomi attivi possono portare a attivazione di IL-1 mediata dalla caspasi 1. [2] Questo effetto suggerisce un potenziale impatto terapeutico dell’EEO sulle malattie infiammatorie che coinvolgono l’inflammasoma, come il diabete di tipo 2 [6], malattie infiammatorie intestinali [19] e aterosclerosi. [21] Nello studio di Yadav e Chandra [37], il pretrattamento con EEO ha anche ridotto l’espressione di TREM-1 (recettore di attivazione espresso sulle cellule mieloidi) [29] che induce il rilascio di citochine, come IL-1 e TNF, amplificando la risposta infiammatoria. [24] Analogamente è stato osservato che il pretrattamento con EEO riduce la fosforilazione, indotta da LPS, di p38 MAPK (proteina chinasi attivata dal mitogeno p38) e potenzia la catena leggera kappa delle cellule B attivate (NF B). [29] L’espressione di p38 MAPK è associato a varie malattie infiammatorie croniche, come l’artrite reumatoide e malattia infiammatoria intestinale. L’inibizione selettiva di p38 MAPK potrebbe portare a un importante approccio nel trattamento antinfiammatorio delle malattie croniche. [9] La diminuzione della fosforilazione di NF B e p38 MAPK e la modulazione di TREM-1 si correlano con la riduzione dei livelli di TNF, IL-1, IL-6 e NO. Inoltre, 1,8-cineolo aumenta la fosforilazione di NF B nei macrofagi alveolari polmonari, suggerendo che diversi costituenti di EEO potrebbero essere responsabili della riduzione di attività di NF B. [37] Nei monociti umani, è stato dimostrato che il pretrattamento con alfa-pinene (molto presente in numerosi oli essenziali) inibisce l’attività di NF B [40] Questi dati suggeriscono che l’EEO mostra diversi effetti specifici del tipo cellulare sulle risposte infiammatorie mediate da LPS. Hotta et al. [12] hanno analizzato l’impatto degli EEO sull’espressione della cicloossigenasi (COX-2) utilizzando cellule endoteliali arteriose bovine e hanno dimostrato che lo 0,01% di EEO sopprime del 25% la promozione di COX-2 indotta da LPS. Mentre la COX-1 è costitutivamente espressa in molte cellule e tessuti, la COX-2 è solitamente assente ma è indotta attraverso numerosi stimoli intra ed extracellulari, inclusi LPS e citochine pro-infiammatorie, risultando un obiettivo chiave nell’agire sui percorsi infiammatori. [25] Gli oli essenziali di timo e chiodi di garofano mostrano effetti simili ancora più potenti.

 

Azione pro immunitaria dell’olio essenziale di Tea tre

Melaleuca alternifolia, comunemente nota come Tea tree, appartiene alla famiglia botanica delle Myrtaceae ed è endemica in Australia. L’olio essenziale di questo albero è stato a lungo utilizzato nella medicina popolare come farmaco topico per il trattamento di lividi e lesioni infette. L’olio essenziale di melaleuca (TTO) è composto da circa 100 composti volatili, la maggior parte dei quali sono idrocarburi terpenici. Il principale attivo è il terpinen-4-olo, un monoterpene con forti proprietà antimicrobiche. [30] Hart et al. [11] hanno studiato l’effetto del TTO sulla produzione di mediatori dell’infiammazione da monociti del sangue periferico umano attivato da LPS in vitro. I risultati hanno indicato che i componenti idrosolubili terpinen-4-olo, α-terpineolo e 1,8-cineolo potrebbero sopprimere la produzione di mediatori dell’infiammazione senza effetti tossici. Dopo 40 h di incubazione con i componenti idrosolubili del TTO sono stati osservati livelli significativamente ridotti di TNFα, IL-1β, IL-8, IL-10 e prostaglandina E2. In macrofagi umani, stimolati con LPS, il TTO ha dimostrato un effetto inibitorio simile sulla produzione di IL-1β e IL-10, ma non su TNFα. [20] I dati emergenti da questi due studi suggeriscono che l’attività biologica di TTO dipenda fortemente dal tipo di cellula, nonché dalla composizione e dalla concentrazione dell’olio. Entrambi gli studi hanno identificato il terpinen-4-olo come il principale responsabile di questi effetti, molto probabilmente per interferenze con la via NFκB, p38 o ERK/MAPK. Recentemente è stato studiato l’effetto immunomodulatore di un concentrato di Melaleuca alternifolia (MAC) che è un prodotto raffinato derivato dal TTO con concentrazioni molto basse di monoterpeni idrofobici, di cui il terpinene-4-olo rimane il componente principale. Uno studio ha esaminato l’impatto del MAC sull’espressione proteica in linee cellulari simili a macrofagi. [4] MAC inibisce la fosforilazione dell’inibitore delle B chinasi (IκB), [33] con una diminuzione dei livelli di alcune citochine pro-infiammatorie indotte da LPS e riduce o sopprime totalmente l’espressione di iNOS. [4] Lee et al. [18] hanno confermato queste osservazioni dimostrando che MAC non solo ha inibito la fosforilazione di IκB ma ha anche aumentato la sua concentrazione nel citosol. Inoltre, lo studio ha rivelato che MAC regola positivamente l’espressione eme ossigenasi-1 (HO-1) inducendo l’attivazione e la traslocazione del fattore 2 correlato a NF-E2 (Nrf2). Dal momento che la via Nrf2-HO-1 è fortemente coinvolta nei processi antinfiammatori e inibisce la COX-2 e le vie di segnalazione iNOS, questi risultati suggeriscono un ruolo promettente del TTO e dei suoi estratti nel trattamento delle malattie infiammatorie. Budhiraja et al. [3] hanno inoltre riportato effetti immunostimolanti del TTO. Lo studio ha dimostrato che sia il TTO che il terpinen-4-olo inducono similmente la differenziazione dei mielociti immaturi in monociti attivi incrementando la fagocitosi e aumentando l’espressione di CD11b, un recettore parzialmente responsabile della fagocitosi di batteri e funghi opsonizzati da parte dei leucociti.

 

Azione pro immunitaria dell’olio essenziale di Zenzero

L’olio essenziale di zenzero è noto come agente immunomodulatore. L’olio essenziale di zenzero (0,001-10 ng/ml) ha mostrato positivi effetti modulatori dose dipendenti sulla proliferazione dei linfociti T (Linfociti T totali e T helper) con un aumento della percentuale dei linfociti T suppressor sul totale dei linfociti T. Nei topi è stata osservata una riduzione della secrezione di IL-1α, implicata nei suoi effetti antinfiammatori, che è stata inibita dall’olio essenziale di zenzero. In un modello animale, la somministrazione orale di di 0,125, 0,25 e 0,5 g/kg di olio essenziale di zenzero, ha determinato una riduzione di risposta ritardata di ipersensibilità al 2, 4-dinitro1-fluorobenzene. La somministrazione orale di olio essenziale di zenzero ha avuto effetti significativi sulla riduzione dell’indice di timo e milza. [39] I risultati di questo studio suggeriscono conferme degli effetti dell’olio essenziale di zenzero sulla risposta immunitaria cellulo-mediata e sulla proliferazione aspecifica dei linfociti T. [39] L’olio essenziale di Zenzero dimostra un’azione pro-immunitaria significativa e in un piccolo studio clinico (PubMed) su pazienti con cancro del colon-retto, immunocompromessi dalla chemioterapia, l’applicazione tramite massaggio di olio di zenzero diluito (50 mg, una volta al giorno, per 7 giorni) ha determinato un aumento del 10% del numero di linfociti ed il risultato è stato considerato significativo rispetto a pazienti che ricevevano solo cure standard (n = 33, p <0,05). [16]

 

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Biomulecules.2020 Aug; 10(8): 1139.

Immunomodulatory Activities of Selected Essential Oils. 

Georg Sandner,1 Mara Heckmann,1,2 and Julian Weghuber1,2,

Author information:

(1) Center of Excellence Food Technology and Nutrition, University of Applied Sciences Upper Austria, Stelzhamerstraße 23, 4600 Wels, Austria; ta.slew-hf@rendnas.groeg (G.S.); ta.slew-hf.stneduts@nnamkceH.araM (M.H.);
(2) FFoQSI GmbH-Austrian Competence Centre for Feed and Food Quality, Safety and Innovation, Technopark 1C, 3430 Tulln, Austria.

 

Abstract

Recently, the application of herbal medicine for the prevention and treatment of diseases has gained increasing attention. Essential oils (EOs) are generally known to exert various pharmacological effects, such as antiallergic, anticancer, anti-inflammatory, and immunomodulatory effects. Current literature involving in vitro and in vivo studies indicates the potential of various herbal essential oils as suitable immunomodulators for the alternative treatment of infectious or immune diseases. This review highlights the cellular effects induced by EOs, as well as the molecular impacts of EOs on cytokines, immunoglobulins, or regulatory pathways. The results reviewed in this article revealed a significant reduction in relevant proinflammatory cytokines, as well as induction of anti-inflammatory markers. Remarkably, very little clinical study data involving the immunomodulatory effects of EOs are available. Furthermore, several studies led to contradictory results, emphasizing the need for a multiapproach system to better characterize EOs. While immunomodulatory effects were reported, the toxic potential of EOs must be clearly considered in order to secure future applications.

PMCID: PMC7464830
PMID: 32756359

 

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Newsletter Ayurveda nr. 68 – Settembre 2021

Newsletter n° «68»

Settembre 2021

PROFILI DI PRODOTTO: Pinda Taila


Pinda Taila: origini, diversità, formulazione, azione.

Pinda Taila spicca tra i taila medicati per unicità di formulazione e risulta tra i più apprezzati per più azioni benefiche per la salute. Particolarità di questo versatile olio è la sua consistenza semi-solida/semi-liquida per la presenza nella sua formulazione tradizionale, insieme a piante medicinali, della cera d’api purissima che gli conferisce uno stato variabilmente denso e caratteristiche di setosità e morbidezza al contatto con tutti i tipi di pelle ai quali conferisce un aspetto particolarmente liscio; la cera d’api, che interagisce chimicamente con le sostanze oleose della formula, contribuisce a modulare l’eccellente e veloce interazione della preparazione con la pelle. Pinda Taila è un pregevole esempio di uno dei più antichi usi tecnico farmaceutici della cera d’api come ingrediente bioattivo utile a modificare le caratteristiche reologiche e a migliorare l’azione farmacologica dei preparati in cui è contenuto.

L’aggettivo “Pinda” nel nome del taila significherebbe, in questo contesto, “solido/denso/compatto” traendo origine da uno dei significati primari del termine “Pinda” cioè “bolo”, “corpo solido”, corpo denso. La formulazione tradizionale comprende, oltre alla cera purissima (Madhuchchhishta) ed alla “base” di olio di Sesamo, anche tre piante medicinali e cioè: radici di Rubia cordifolia (Manjistha), radici di Hemidesmus indicus R. Br. (Sariva o Indian Sarsaparilla), foglie di Shorea robusta (Ral/Sal). In alcune formulazioni può trovarsi anche la Vateria indica L. essudato (Sarjarasa, sempre della famiglia delle Dipterocarpaceae).

La Rubia cordifolia dona all’olio il suo caratteristico colore rosso rubino. Oltre che in Charaka Samhita, Pinda Taila è citato anche in altre fonti classiche (Ashtanga Hridaya, Chakradatta, Sharangadhara Samhita, Yogaratnakara, Bhaishajya Ratnavali, Sahasrayogam) con formulazioni di base simili anche se si contano almeno 5 metodiche di produzione che si differenziano tuttavia per sfumature di formulazione.

Grazie alla sinergia dei suoi componenti, Pinda Taila è ritenuto adatto per contrastare dolori reumatici, nevralgie e sciatalgie, artrosi e artrite, contratture, dolori muscolari, rigidità e gonfiore delle articolazioni anche grazie a azioni antinfiammatorie dei componenti. Pinda Taila dimostra anche azioni antimicotiche, antibatteriche e cicatrizzanti dimostrandosi favorevole nella cura della pelle secca (nutriente), nei casi di psoriasi e fenomeni di arrossamento della cute. L’azione dei componenti di Pinda Taila su articolazioni, tendini, legamenti e muscoli, conferisce a queste strutture elasticità e le renderebbero meno esposte a traumi e infiammazione.

Pinda Taila risulta particolarmente adatto alla pacificazione dei dosha Pitta e Vata ed è applicabile solo sul corpo per trattamenti Sarvanga Abhyanga (massaggio completo), Pichu (impacchi locali con compresse calde), Kati basti (trattenimento di olio caldo in zona sacro-lombare), Nabhi basti (trattenimento di olio caldo in zona addominale), Janu Basti (trattenimento di olio caldo sulle ginocchia), Griva Basti (trattenimento di olio caldo sulla zona cervicale), Padabhyanga (massaggio ai piedi), Pizhichilly, Ekanga Dhara (Dhara localizzato su alcune zone del corpo).

Pinda Taila viene tradizionalmente preparato secondo il processo Sneha Kalpana in cui taila e ghrita subiscono il processo chiamato Murchchhana Samskar attraverso il quale può essere migliorato il valore terapeutico delle materie prime costituenti potenziandone l’assorbimento nei sistemi biologici. Pinda Taila, dal punto di vista farmaceutico, si dimostra un preparato praticamente unico come evidente anche dalla sua consistenza semi solida e, in alcuni testi classici, si ritrovano anche alcuni riferimenti ad una sua variante di consistenza “burrosa” (Khajita Pinda Taila) e ad altre possibili formulazioni con sfumature diverse rispetto a quella tradizionalmente adottata, cioè che utilizza come ingredienti: Manjistha, Sariva, Rala, Madhuchchhishta (cera) e Tila Taila. [1]

Il metodo tradizionale di preparazione secondo Charaka Samhita (Chikitsa Sthana, Vatashonita capitolo n. 29, Shloka no. 123) prevede le seguenti procedure: reperimento e pesatura delle materie prime, essicazione delle droghe e loro trasformazione in polvere grossolana (Yavakuta), preparazione del bolo di Kalka con acqua, misurazione di Tila Taila in recipiente preriscaldato, inserimento di Kalka dravya (Manjishtha, Sariva, Rala) in Tila Taila precedentemente riscaldato (sotto i 95°C) e riscaldamento della miscela ottenuta a calore mite (sotto i 95°C), aggiunta della quantità prescritta di acqua, continuazione di Snehapaka fino a quando non è stato ottenuto Sneha Siddhi Lakshana, filtrazione della miscela calda ottenuta con un panno di cotone, aggiunta di cera d’api nell’olio con agitazione continua fino a quando non si è dissolta correttamente, successiva filtrazione attraverso un panno di cotone. Il prodotto ottenuto sarà liscio e avrà una consistenza semiliquida (o semi solida con consistenza simile al burro morbido). [1]

La valutazione organolettica della buona qualità di Pinda Taila come di consueto può essere condotta attraverso l’analisi di colore, odore, gusto e caratteristiche speciali comprese quelle al tatto (consistenza, ecc.) con l’aiuto di Gyanendriya (organi di senso); Pinda Taila dovrebbe presentarsi con le seguenti caratteristiche: Colore (Rupa): Marrone rossastro scuro; al tatto (Sparsha): Unto; Odore (Gandha): Aromatico; Consistenza: mediamente liquido; Struttura: Liscia. Le moderne esigenze produttive si basano su ulteriori parametri fisico-chimici che indicano la buona qualità di Pinda Taila: Peso specifico: 0,9627, Indice di rifrazione: 1,488, Valore di iodio: 5.88 (indicatore di potenziale di irrancidimento a causa di ossidazione atmosferica), acidità: 0.15, numero di saponificazione: 233.31, numero di perossidi: 7,55. Conta batterica totale: UFC/g <10; Conta totale di funghi: UFC/g <10. Metalli pesanti: Piombo: 0.22, Cadmio: BLQ (LOQ 0.1), Arsenico: BLQ (LOQ 0.1), Mercurio:0.44. HPTLC: UV254-15,14,16 picchi, UV366 -16,15,19 picchi, UV510-15,17,19 picchi. [1] La conoscenza di questi parametri consente una metodologia di produzione qualitativamente standardizzata.

Nelle procedure di preparazione delle formulazioni ayurvediche esistono numerose sfumature e nei preparati finiti si possono riscontrare alcune diversità nei bioattivi e nei relativi dosaggi rispetto a come sono riportati nelle originarie fonti classiche, tuttavia queste modifiche sono state spesso apportate dai medici stessi a beneficio dei pazienti per “personalizzare” nel modo più adatto il taila a seconda delle condizioni del paziente. [1]

Riferimenti a Pinda Taila sono rintracciabili in nove testi classici e in AFI. Nei testi classici si ritrova un totale di cinque metodi per la preparazione di Pinda Taila, escludendo i metodi analoghi; il metodo della preparazione risulta generalmente lo stesso ma con qualche lieve differenza osservata negli ingredienti, nella loro proporzione o nel tipo di Sneha. In tutto i metodi, il rapporto standard degli ingredienti, cioè, 1:4:16 (Kalka/Taila/Acqua). Manjishtha, Sariva, Sarjarasa e Madhuchchhhishta sono comunemente usati come Kalka Dravya, Tila Taila è usato come Sneha Dravya e l’acqua è usata come liquido. Nonostante gli ingredienti di formulazione simili, è stato osservato un cambiamento significativo nel colore di Pinda Taila con il cambio di Sneha dravya (comunemente Tila Taila). In Pinda Taila, la cera d’api, aggiunta dopo la filtrazione dell’olio aumenta principalmente la consistenza dell’olio. [1]

Uno degli obiettivi di Kalpana è il potenziamento di “sostanze medicamentose” attraverso una specifica metodica di preparazione tecnico farmaceutica e “Pinda Taila” e “Khajita Pinda Taila” ne sono un esempio rappresentativo. Queste due formulazioni hanno un’importanza speciale tra taila e lepa. A differenza della consistenza di altri taila, Pinda Taila possiede consistenza semi-solida per la presenza di Madhuchishta e la consistenza può ulteriormente variare se è presente Sarjarasa (gommoresina di Vateria indica L.). [2]

“Khajita Pinda Taila” è citato anche nei testi classici e la sua preparazione si ottiene “frullando” il Pinda Taila (la moderna zangolatura) e aggiungendo la quantità d’acqua necessaria fino a ottenere una consistenza burrosa quindi, in questo caso, la variazione dello stato fisico della consistenza viene modificato esclusivamente con l’aggiunta di acqua attraverso agitazione e incorporamento di aria nell’emulsione. [2]

Le indicazioni sia di Pinda Taila che di Khajita Pinda Taila sono la gestione sintomatica di Daha e Shoola associati a Vatarakta. Vatarakta, come spiegato nei testi classici è una malattia caratterizzata da dolore alle articolazioni minori associata a sensazione di bruciore per la quale la linea principale di trattamento prevede Bahya Alepa e Abhyanga. [2]

I trattati che riferiscono di queste due preparazioni sono: Charaka Samhita, Ashtanga Hridaya, Chakradatta, Sharangadhara Samhita, Yogaratnakara, Bhaishajya Ratnavali, Sahasrayogam.

-In Charaka, Pinda Taila e Khajita Pinda Taila sono spiegati nel contesto di Vatarakta Chikitsa nel Chikitsa Sthana, capitolo 29. Gli ingredienti (Kalka Dravya) citati sono Madhuchishta, Manjishta, Sarjarasa e Sariva; insieme a Tila Taila come Sneha Dravya e Jala come Drava Dravya. Anche se il metodo di preparazione non è stato riportato in modo elaborato dall’Acharya, è stato dedotto che seguisse il metodo generale di preparazione di Sneha Kalpana; Acharya Jatukarna spiega la preparazione di Khajita Pinda Taila nel suo commento. [2]

-In Ashtanga Hridaya, Acharya Vagbhata spiega similmente Pinda Taila nel contesto di Vatarakta Chikitsa in Chikitsa Sthana 22° capitolo. Gli ingredienti menzionati in questo testo sono simili a quelli spiegati da Acharya Charaka. Ma la differenza in questo riferimento è che Acharya spiega di preparare l’olio usando inizialmente solo Sarjarasa come Kalka e Aranala (latte fermentato) come Drava Dravya; a questa base aggiungendo Manjishta, Sariva Churna e Madhuchishta, Prakshepa, si otterrà Pinda Taila. [2]

-In Chakradatta, possiamo rintracciare il riferimento di Pinda Taila nel contesto di Vatarakta Chikitsa con formulazione simile a quella di Acharya Charaka. In Acharya Chakrapani Datta non viene citato Khajita Pinda Taila. [2]

-In Acharya Sharangadhara, viene spiegato Pinda Taila nel contesto di Sneha Kalpana Adhyaya di Madhyama Khanda aggiungendo Yashtimadhu (Glycyrrhiza glabra) come altro ingrediente insieme a Madhuchishta, Manjishta, Sarjarasa e Sariva. Il metodo di preparazione è spiegato secondo il metodo generale Sneha Paka; è stato inoltre menzionato l’uso di Eranda Taila (olio di Ricino) come Sneha Dravya al posto di Tila Taila. Acharya Sharangadhara non ha menzionato Khajita PindaTaila. [2]

-In Yogaratnakar, Pinda Taila è stato spiegato nel contesto di Vatarakta Chikitsa e l’autore di questo trattato ha seguito completamente Sharangadhara Samhita per gli ingredienti e il metodo di preparazione ma non si trova alcun riferimento in merito a Khajita Pinda Taila. [2]

-In Bhaishajya Ratnavali, troviamo riferimento di Pinda Taila in Vatarakta Chikitsa. L’autore ha seguito Charaka Samhita completamente per gli ingredienti e il metodo di preparazione; si ritrova anche un riferimento a Maha Pinda Taila con l’aggiunta di altri ingredienti. [2]

-In Sahasrayogam, la descrizione di Pinda Taila è spiegata in Taila Prakarana e il riferimento è simile a Charaka Samhita. [2]

A differenza di altri Sneha Kalpana, Pinda Taila e Khajita Pinda Taila sono unici, a modo loro, in termini di consistenza dei prodotti finali. Pinda Taila tende ad una consistenza semisolida per la presenza di Sarjarasa e Madhuchishta, mentre Khajita Pinda Taila tende a una consistenza burrosa (Navaneeta) dovuta alla procedura di zangolatura (Manthana Samskara) che è adottata nella sua preparazione. [2]

Dalle fonti storiche emerge chiaramente che Pinda Taila e Khajita Pinda Taila trovano indicazione nella gestione dei sintomi di Vatarakta.
Charaka risulta la prima fonte che descrive Pinda Taila, seguita dalla descrizione di Acharya Vagbhata; il nome “Pinda Taila” dato alla preparazione da Acharya Charaka risulta coerente con la consistenza del prodotto finale che è semisolida similmente ad un unguento; in questo contesto infatti il termine Pinda assumerebbe uno dei suoi significati e cioè (consistente, solido, massa, corposo). La caratteristica consistenza di Pinda Taila è dovuta alla presenza di Sarjarasa e Madhuchishta. Troviamo riferimento a Khajita Pinda Taila nel commento di Acharya Jatukarna a Charaka Samhita; Acharya Jatukarna annota di aggiungere abbondante acqua a Pinda Taila e procedere con la zangolatura fino a ottenere la consistenza Navaneeta. In questa nota non viene specificata la quantità esatta da impiegare affidando la determinazione del quantitativo esatto al medico per ottenere la necessaria consistenza finale. Il processo di zangolatura può contribuire ad aumentare Sheeta Virya del taila così come noto anche per Mantha Kalpana in cui si ritiene che il processo di zangolatura conferisca Sheeta Guna al prodotto finale. Anche Manthana Samskara può svolgere un ruolo nell’omogeneità di miscelazione dei due liquidi, acqua e olio, sebbene fisicamente siano immiscibili. In Charaka Samhita e Ashtanga Hridaya per la preparazione di Pinda Taila troviamo anche la descrizione dell’uso di Aranala come Drava Dravya. L’impiego di Aranala potrebbe far assorbire le proprietà di Aranala nel taila. Nel caso di Pinda Taila Kalpana, che conferisce proprietà come Sheeta Virya e Laghu Guna, potrebbe contribuire con efficienza Vata e Pitta Doshaghna. [3]

A differenza di Charaka Samhita in Chakradatta l’Acharya Chakrapani Datta sostiene di formulare Pinda Taila con Manjishta come ingrediente opzionale e se esaminiamo la differenza descritta nell’uso di Sneha Dravya e Drava Dravya, Acharya Chakrapani Datta dice di usare Eranda Taila invece di Tila Taila e Ksheera invece di Aranal o Jala. L’uso di Eranda Taila può essere giustificato perché ben conosciuto per la sua proprietà Vatashamaka che è ritenuta superiore a Tila Taila mentre l’uso di Ksheera può essere giustificato per Sheeta Virya e Snigdha Guna di Ksheera che potrebbero essere trasferite al prodotto finale. Acharya Sharangadhara nel suo trattato spiega Pinda Taila con l’aggiunta di Yashtimadhu come ingrediente in Kalka Dravya. Yashtimadhu possiede caratteristiche Madhura Rasa, Sheeta Virya e Snigdha Guna [4] che potrebbero avere un ruolo nel miglioramento il Sheeta Virya del taila fornendo così alla formulazione un migliore effetto terapeutico nell’alleviare il Daha manifestato in Vatarakta. In Sharangadhara Samhita, insieme alla descrizione di Pinda Taila, esaminando il metodo generale di preparazione di qualsiasi Sneha Dravya, si riscontra che la preparazione di Sneha non dovrebbe essere completata in un solo giorno perché non potrebbero essere estratti completamente tutti i principi attivi presenti nella droga [5] e quindi la preparazione dovrebbe essere completata in tre giorni.

Analizzando queste informazioni, si può dedurre che sia stata fatta, in origine, una approfondita ricerca per stabilire il numero esatto dei giorni di preparazione e per realizzare una formulazione clinicamente efficace aggiungendo/eliminando gli ingredienti secondo lo stato del paziente e della malattia. Queste modifiche introdotte dai diversi Acharya, nell’era attuale possono orientare nella scelta dei diversi taila in base alla condizione della malattia e, se la malattia è già in stato avanzato, Pinda Taila può essere preparato usando Aranal per ottenere Sukshma Srotogami Guna che può penetrare in profondità nei tessuti molto facilmente. Allo stesso modo se c’è una predominanza di Vata Dosha, si può preparare Pinda Taila usando Eranda Taila che è considerato migliore Vatashamaka di Tila Taila. Non si trovano molte differenze nei riferimenti di Pinda Taila in Yogaratnakar, Bhaishajya Ratnavali e Sahasrayogam che si allineano a quanto descritto da Sharangadhara Samhita e Charaka Samhita. Sebbene ci siano molti trattati con riferimenti a Pinda Taila non si trovano riferimenti ad esso in Sushrutha Samhita e Ashtanga Sangraha. Acharya Charaka e Acharya Vagbhata sono gli unici autori che hanno fatto riferimento a Khajita Pinda Taila.
Uno studio ha indagato le differenze tecnico farmaceutiche nella preparazione di Pinda Taila e Khajita Pinda Taila concludendo che Manthana Samskara aiuti nella corretta miscelazione di due sostanze e attribuisca Sheeta Guna alla formulazione. [6]

 

Pinda taila in alcune evidenze

Un piccolo studio clinico è stato condotto per valutare l’efficacia di Pinda Taila nella neuropatia diabetica. Vatarakta è una manifestazione clinica unica spiegata nei testi classici ayurvedici che si basa sul coinvolgimento sia di Vata Dosha che di Rakta Dhatu. [7] Si tratta di Vyadhi che colpisce prevalentemente le estremità e principalmente il Pada e l’Hasta. L’ostruzione nel flusso di Vata Dosha e Rakta Dhatu è la principale causa patologica. Questa patologia Vatarakta, correlata con Raktamarga Avarana (ostruzione), è causata da vari fattori eziologici tra i quali Santarpana Ahara e Vihara svolgono un ruolo cruciale. Una persona quando è coinvolta da questi fattori eziologici, dimostra un eccessivo e anormale accumulo di Kapha Dosha e Medo Dhatu nei Raktavaha Srota, che è una delle condizioni di causa di malattie che si verificano in qualsiasi parte del corpo. La stessa eziopatogenesi insieme di Vatarakta può essere osservata anche in Prameha, Sthoulya e Shonita Dushti. A causa di questa somiglianza nella patologia, molti sintomi come Daha e Shoola che si manifestano in Vatarakta si manifestano anche nella neuropatia diabetica. La neuropatia diabetica è una malattia nervosa associata al diabete mellito. Si dice che questa condizione sia il risultato di una lesione microvascolare diabetica che coinvolge piccoli vasi sanguigni. La neuropatia diabetica colpisce tutti i nervi periferici compresi i neuroni sensoriali e motori. La manifestazione clinica della neuropatia diabetica può mostrare vari sintomi come sensazione di bruciore al piede, parestesia, disestesia, intorpidimento ecc. Pinda Taila [8] è uno dei rimedi menzionati nei testi classici dell’Ayurveda per dare sollievo da Daha e Shoola che si manifestano in Vatarakta. Vatarakta, nella visione contemporanea, può essere classificato tra i disturbi vascolari del collagene che includono tutti i tipi di disturbi del tessuto connettivo. Questo confronto può essere compreso sulla base delle somiglianze nella sintomatologia delle malattie Vatarakta e dei disturbi vascolari del collagene. I due tipi di patologia sono responsabili della manifestazione di Vatarakta. Delle due patologie, quella causata dall’eccessivo accumulo di Kapha Dosha e Medo Dhatu in Rakta Marga è simile alla patologia della Neuropatia Diabetica. Le proprietà terapeutiche dei farmaci come, Sariva (Hemidismus Indicus), Manjishta (Rubia cardifolia), Sarjarasa (resina Shorea robusta) e Madhuchishta (cera d’api) agiscono potentemente come Raktaprasadaka (nutrimento del sangue), Varnya (buone per la carnagione), Twachya (buone per la pelle) che sono essenzialmente proprietà richieste nella condizione come Shonita Dushti (disturbi dovuti al sangue). Su questa base, la formulazione del taila basata sulla diagnosi di Shonita Dushti risulta molto appropriata. Poiché molti medici ayurvedici hanno praticato con successo l’applicazione di Pinda Taila nella gestione sintomatica della neuropatia diabetica, è stato intrapreso uno studio clinico per valutare l’efficacia di Pinda Taila nella gestione sintomatica di Daha e Shoola di Vatarakta nelle neuropatie diabetica. Lo studio è stato condotto in aperto su 20 pazienti con diagnosi di neuropatia diabetica, affetti da Daha e Shoola e che soddisfacevano i criteri di inclusione ed esclusione. L’applicazione esterna di Pinda Taila è stata eseguita per 7 giorni. Ogni giorno l’applicazione è stata eseguita sull’area interessata per due volte, cioè mattina e sera per un massimo di quindici minuti. [9] In questo studio Pinda Taila ha mostrato risultati statisticamente molto significativi nella gestione del sintomo Shoola mentre ha mostrato solo un miglioramento statisticamente significativo nella gestione del sintomo Daha. [10]

In uno studio, 30 pazienti di entrambi i sessi di età compresa tra 20 e 60 anni, con diagnosi basata su parametri oggettivi e soggettivi di artrite gottosa, sono stati trattati in regime di IPD (21 giorni) e successivamente OPD (21 giorni). Inizialmente i pazienti ricoverati sono stati sottoposti a Shastika-Shali-Pinda Sveda modificato per 14 giorni seguito da Abhyanga con Pinda Taila per i successivi 7 giorni e contemporaneamente con medicine interne (Varunadi Kahaya:100 ml due volte al giorno; Chandra-Prabha Gutika:1 compressa due volte al giorno; Kokilakshakam Toyam:1 litro/giorno da bere al posto dell’acqua). Successivamente sono stati trattati a livello di OPD ed è stato chiesto loro di continuare ad assumere gli stessi farmaci interni insieme all’applicazione quotidiana di Pinda Taila su tutto il corpo e Balaguluchyadi Taila sul cuoio capelluto per i successivi 21 giorni. I risultati di questo studio hanno mostrato una significativa riduzione dell’acido urico sierico e un miglioramento significativo dei parametri funzionali, valutati utilizzando il punteggio DAS-28, l’indice di disabilità, l’SF-36 (indice di qualità della vita) e la valutazione globale della scala di attività della malattia. I parametri di laboratorio utilizzati per valutare le funzioni del fegato e dei reni hanno indicato che il trattamento prescritto è sicuro. [11]

Uno studio clinico randomizzato è attualmente in atto (giugno 2021) per indagare e confrontare gli effetti di Gokshuradi Guggulu e abhyanga con Pinda Taila nel trattamento della gotta. [12]

Uno studio riporta un caso clinico di trattamento della psoriasi palmo-plantare con Pinda Taila. La psoriasi palmo-plantare è il secondo tipo più comune di psoriasi ed è caratterizzata da placche eritematose ben definite. La psoriasi palmo-plantare, come suggerisce il nome, è limitata all’area palmare e plantare. In Ayurveda tutte le malattie della pelle sono catalogate in “Kustha”. Non esiste una correlazione diretta con la malattia descritta in Ayurveda, ma per certi versi la psoriasi palmo-plantare può essere correlata con la malattia vipadika che è un kshudrakushta caratterizzato da pani pad sphutana (fessura nel palmo e nelle piante dei piedi) e Teevra vedana (dolore intenso). Scopo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia di Pinda Taila su vipadika. Una donna di 52 anni si è presentata ai sanitari lamentando grandi crepe e fessure bilaterali nel palmo e nelle piante dei piedi con grande dolore, desquamazione e prurito durante la deambulazione. Il problema sussiteva da 2 anni. Pinda Taila è stato applicato sulla zona interessata due volte al giorno, mattina e sera sui piedi asciutti dopo lavaggio con acqua tiepida per la durata di 6 settimane. Nella valutazione fatta con PASI (“Psoriasi Area Severity and Index Scale”), il punteggio è sceso da 7,6 a 0,6. Anche se Pinda Taila non viene menzionato dagli Acharya nel capitolo kushtha, come spiegato da Acharya charaka in kushtha chikitsa alcuni bioattivi di Vipadika hara Ghrita Taila sono presenti anche in Pinda Taila. Lo studio ha dimostrato che Pinda Taila può essere utilizzato esternamente come un efficace olio medicato per gestire Vipadika come alternativa a Vipadikahara Ghrita Taila. [13]

Uno studio relativo ad un ulteriore caso clinico riporta, nel protocollo ayurvedico della gestione dell’eczema, l’impiego di Pinda Taila per abhyanga (giorno 9 del trattamento). [14]
Pinda Taila così come Vranaropana Taila, Satahvadi Taila, Murivenna, Marma Taila, Bala Taila, Dhanwantara Taila, Maharajaprasarani Taila, Mahamasha Taila, Narayana Taila e Ksirabala Taila ecc. possono essere utilizzati per gli infortuni sportivi. Questi oli medicati offrono generali effetti analgesici, antinfiammatori, rilassanti e calmanti. [15]

 

Rubia cordifolia (Manjistha)

La Rubia cordifolia è una pianta medicinale appartenente alla famiglia delle Rubiaceae (famiglia della pianta del caffè) il cui nome tradizionale in Hindi è Manjistha o Indian Madder in lingua inglese. È una pianta rampicante che può crescere fino a 3 metri di lunghezza. Si trova in tutta l’India, dalle calde pianure del sud alle foreste temperate dell’Himalaya. Il nome botanico è ‘”Rubia cordifolia L.” ed è anche conosciuto come Manjith. Era una fonte economicamente importante di un pigmento rosso in molte regioni dell’Asia, Europa e Africa. Manjistha si può tradurre in “rosso vivo”. Le radici della Rubia cordifolia sono tradizionalmente utilizzate in Ayurveda.
La materia medica ayurvedica menzionava Manjistha come erba disintossicante che rimuove “ama/tossina” dal sangue. Il nome “Rubia” significa rosso perché questa pianta medicinale, per uso interno, conferisce il colore rosso al latte materno e alle urine. [16]

Le radici di questa pianta posseggono un alto valore medicinale ufficialmente riconosciuto [17] e l’etnobotanica ne riporta utilità nel trattamento dell’ittero presso le tribù del West Bengala e Uttaranchal ma anche per la cura del morso di serpente e la puntura di scorpione. È altresì efficace sull’ulcera del piede diabetico non cicatrizzante. [18]

Manjistha che ha un effetto rinfrescante sul corpo è tradizionalmente utilizzato per la piressia cronica e la febbre puerperale. È un rimedio popolare per il sollievo di calore e prurito in eczema, psoriasi, herpes, scabbia e è stato impiegato con successo nel trattamento di vitiligine quando somministrato con il miele. [19]

La letteratura descrive gli effetti benefici di Rubia cordifolia nel trattamento di numerosi disturbi inclusi alzheimer, diabete, cancro, acne, infiammazione, allergia, enterocolite, batteri e infezioni virali. Altre azioni segnalate sono quelle dell’uso come immunomodulatore, analgesico, diuretico, gastroprotettivo, epatoprotettivo e nefroprotettivo. Rubia cordifolia mostra una potente attività antiossidante contro il nitrato di piombo e le radiazioni tossicità indotta. [20,21]

Rubia cordifolia è stata studiata per la sua attività di guarigione delle ferite. [22] Le foglie di questa pianta sono state studiate anche per le proprietà antivirali e, in vitro, per l’attività di scavenging dei radicali liberi. [23]

Oltre che per il suo valore medicinale, Manjistha è stata utilizzata anche come colorante alimentare e colorante naturale per diversi usi, da qui anche il suo nome tradizionale “Rubia tinctoria”. La capacità colorante dipende dai pigmenti presenti nelle radici che sono maggiormente porpora e munjistin. L’estratto di radice di Rubia è stato in particolare studiato per alcune sue caratteristiche di degradazione dei pigmenti che consentono bellissime sfumature dal rosso arancio a scarlatto quando applicate sui fili di lana. [24]

Manjistha è un’erba ayurvedica menzionata in Charaka e Sushruta. Charaka la ha classificata come varnya, jvarahara, vishaghna. Sushruta ha ne ha parlato come pittasamsamana.
Gli usi tradizionali di manjistha menzionati nella materia medica ayurvedica sono i seguenti: la Farmacopea ayurvedica dell’India lo indica come rimedio terapeutico per per Yoni roga (disturbo mestruale), Kustha (malattia della pelle), Sarpavisa (morso di serpente), Visarpa (virus dell’herpes), Aksiroga (malattia degli occhi), Arsa (emorroidi), Bhagna (Fratture). [25]

Secondo l’antico testo ayurvedico, Bhava Prakash, Manjistha è in grado di legarsi con amavisha (radicali liberi) e garavisha (xenobiotici) ritenute tossine che causano infiammazioni, malattie della pelle, ulcere, oltre ad altri problemi. Manjistha nel significato sanscrito è definita anche come Jingi (energia vibrazionale) che aiuta a ristabilire l’intelligenza dei tessuti. A Manjistha viene attribuito un equilibrato profilo rappresentato da una combinazione di proprietà soma (raffreddamento) e agni (calore). Agni permette a Manjistha di penetrare minutamente a livello cellulare dei tessuti e Soma aiuta ad assorbire le tossine e neutralizzarle.
Manjistha è un ingrediente importante di molte formulazioni e preparati ayurvedici; Pinda Taila, Mahamanjisthadi kvatha, Manjisthadi Taila, Manjistha arka, Manjistha malahara, Manjistha phanta, sciroppo di Septilin ecc.
Rubia cordifolia (Manjistha) è nota per la sua composizione in antrachinoni e naftoidrochinoni come principali costituenti fitochimici. [26] [27]

I cromofori primari presenti in Rubia cordifolia sono alizarina, purpurina, pseudopurpurina, xantopurpurina, munjistin, rubiadina. [28]

Azione antibatterica. L’estratto etanolico di Rubia cordifolia è stata valutato contro la produzione di ESBL (Beta-lattamasi a spettro esteso) nell’infezione urinaria da E. coli. Un totale di 7 diversi E. coli produttori di ESBL sono stati trattati con estratto etanolico di Rubia cordifolia e risultano essere inibiti nella produzione di ESBL in modo variabile dall’estratto. La pianta può essere un potenziale candidato come agente antibatterico alternativo per combattere gli organismi resistenti ai farmaci. [29]

Azione chemioterapica. L’estratto metanolico di Rubia cordifolia mostra azione migliorativa nel carcinoma epatocellulare indotto da N-nitrosodietilammina nei ratti. Gli enzimi mitocondriali e la catena respiratoria, che sono diminuiti nei ratti trattati con Nnitrosodietilammina, sono aumentati significativamente nei ratti trattati con Rubia cordifolia con riduzione dei livelli di radicali idrossilici e di perossidazione lipidica. L’analisi istologica del fegato ha confermato la prevenzione di alterazioni patologiche causate da N-nitrosodietilammina, che suggeriscono che Rubia cordifolia può essere un potenziale agente chemioterapico. [30]

Azione contro la psoriasi. La psoriasi è una malattia della pelle caratterizzata da iperproliferazione e differenziazione aberrante dei cheratinociti epidermici. La frazione di Acetato di etile (EA) di Radix Rubiae inibisce la crescita cellulare e promuove la differenziazione terminale in coltura di cheratinociti umani; queste due azioni suggeriscono fortemente la sua attività antipsoriasica che risulta dose e tempo dipendente. [31]

Azione antitumorale. L’estratto metanolico di Rubia cordifolia induce apoptosi in linee di cellule tumorali HEp-2 (Human laringea carcinoma) attraverso incremento di generazione di specie reattive dell’ossigeno. L’inibizione di proliferazione cellulare e del rilascio di lattato deidrogenasi risulta tempo e dose-dipendente. L’effetto apoptotico di Rubia cordifolia su cellule HEp-2 è confermato da metodiche di fluorescenza e microscopiche che evidenziano cambiamenti cellulari morfologici e ultrastrutturali. [32]

Azione osteotropica. L’Alizarina, un idrossiantrachinone naturale derivato da radice di Rubia cordifolia è stata valutata come farmaco osteotropico per il trattamento di tumori delle ossa a causa della sua elevata affinità con l’osso. L’azione antitumorale dell’alizarina è stata indagata su linee cellulari umane da metastasi dell’osso da cancro alla prostata, cancro al seno e per tre linee cellulari di osteosarcoma umano. L’alizarina ha indotto un’inibizione dose e tempo dipendente della crescita cellulare nell’ osteosarcoma e in linee cellulari di cancro al seno, mentre su linee cellulari del cancro alla prostata, sembrava essere solo citotossico a maggiore concentrazione. Gli studi hanno concluso che l’alizarina ha agito attraverso l’inibizione dell’ERK fosforilazione e arresto del ciclo cellulare. [33]

Azione cardioprotettiva. Il ruolo di Rubia cordifolia nel sostenere la salute del cuore è evidenziato da usi tradizionali come un potente purificatore del sangue, antiossidante, diuretico, calcioantagonista, antiaggregante, antidiabetico, antinfiammatorio, antistress, immunomodulatore ecc. Rubia cordifolia è nota per le sue proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e per le potenti attività di purificazione del sangue che possono svolgere un ruolo importante per disintossicare contro l’ischemia indotta dai radicali liberi. L’attività diuretica della Rubia cordifolia potrebbe essere una terapia alternativa nella gestione dell’insufficienza cardiaca congestizia (CHF) per mobilizzazione rapida di liquido edematoso. L’azione antistress, diuretica e vasodilatatoria di Manjistha possono svolgere un ruolo importante in la gestione dell’ipertensione. Rubia cordifolia inibisce l’aggregazione piastrinica indotta da PAF (Platelet Fattore Attivante) assumendo un ruolo terapeutico potenziale nella coronaropatia. L’azione anti iperglicemizzante e gli effetti anti iperlipidemici di Manjistha suggeriscono il suo ruolo medicinale nella cardiomiopatia diabetica e nella malattia macrovascolare diabetica. Rubia cordifolia mostra un’attività spasmolitica simile a quella di verapamil suggerendo la presenza nella pianta di bloccanti del canale del calcio [34] e quindi indica la sua possibilità di trattare le aritmie derivanti da sovraccarico di calcio in condizione di riperfusione ischemica.

 

Hemidesmus indicus R. Br. (Sariva o Anantamula)

Hemidesmus indicus Linn. r. fr. è un arbusto prostrato o semi-eretto che si trova in tutta l’India dalle pianure del Gange superiore verso est fino ad Assam, in tutto l’India centrale, occidentale e meridionale fino a un’altitudine di 600 mt. Hemidesmus indicus Linn tradizionalmente ritenuto appartenente alla famiglia delle Asclepidacee è stato classificato recentemente come appartenente alla famiglia delle Periplocaceae e si trova comunemente in tutte le parti di India. È conosciuto come Ananta e Sariva in sanscrito, Upalsari in Gujarati, Anantamula in hindi e Salsapariglia indiana in Inglese. È ampiamente usato come tonico, demulcente, diaforetico, diuretico e purificatore del sangue. La pianta viene usata contro sifilide, leucorrea, bronchite, reumatismi cronici, malattie urinarie, lebbra, leucoderma e malattie della pelle, e come purgante, diaforetico, diuretico, antipiretico e antidiarroico nelle medicine popolari. La pianta è usata contro malattie del sangue, infiammazione, diarrea, malattie respiratorie e della pelle, sifilide, febbre, bronchite, asma, malattie degli occhi, attacchi epilettici nei bambini, disturbi renali e urinari, perdita di appetito, sensazione di bruciore e reumatismi ecc. [35] È stato utilizzato anche in combinazione con altri farmaci per il morso di serpente. [36]

Gli usi terapeutici menzionati nella farmacopea ayurvedica sono: in Aruci (avversione dal cibo), Agnimandya (perdita di appetito) e Atisara (diarrea), Kasa (tosse), Svasa (asma), Kandu (prurito), Kustha (lebbra), Jvara (piressia) e Rakta-Vikara (disturbi del sangue). [37]
La pianta è utilizzata, secondo gli studi etnobotanci, per i disturbi legati a disordini biliari, malattie del sangue, diarrea, disturbi respiratori, malattie della pelle, sifilide, febbre, bronchite, asma, malattie degli occhi, attacchi epilettici nei bambini, disturbi renali e urinari, perdita di appetito, sensazione di bruciore e reumatismi [38] [39].

Le radici di Hemidesmus indicus R.Br. sono localmente chiamate Nannari nel Kouthalai del Tamil Nadu. La polvere di radice insieme al frutto di poche altre piante (Calophyllum inophyllum, Diospyros ebenum, Terminalia chebula, Terminalia bellerica e Phyllanthus emblica) insieme a miele viene consigliata per aumentare la produzione di sperma. Il sindaco costituenti chimici sono cumarina, emidesmina, emidina, emidesina e rutina ecc. [40]. H. indicus è usato per curare 34 tipi di malattie. [41]

La pianta contiene una quantità significativa di rutina nelle foglie [42] e di steroidi nei tessuti della pianta matura [43]. La pianta, che è impiegata nella medicina tradizionale per i disturbi gastrici [39] contiene principalmente: oli essenziali e fitosteroli come emidesmolo, emidesterolo e saponine [44]; Cumarine, e saponine triterpeniche nell’olio essenziale; amido, acido tannico [45]. L’emindicusina, un nuovo glicoside pregnanico, è stata isolata recentemente isolata in H. indicus R.Br. utilizzando moderne tecniche spettroscopiche e trasformazioni chimiche. La struttura di questo composto è calogenina-3-o-3-o-metil-Y-Lrhamnopyranoside. [46]

Azione antitumorale. H. indicus ha notevoli potenziali antitumorali contro la linea di cellule tumorali MCF7 del cancro al seno ed effetti citotossici verso la linea cellulare HT29 del cancro al colon; l’estratto di radice ha mostrato una significativa attività citotossica anche contro il tumore dell’ascite di Ehrlich. [47] H. indicus si ritiene che moduli molti componenti delle vie di segnalazione intracellulari coinvolte nella vitalità cellulare e proliferazione e nell’alterata espressione proteica, portando infine alla morte delle cellule tumorali; la pianta medicinale induce depolarizzazione mitocondriale e induce un significativo aumento di Ca2+ attraverso la mobilizzazione di depositi intracellulari di Ca2+. Inoltre, Hemidesmus ha aumentato significativamente l’attività antitumorale di 3 farmaci chemioterapici comunemente usati: metotrexato, 6-tioguanina, citarabina, anantamula dimostra potenziali antileucemici. [48]

Azione chemiopreventiva. H. indicus dimostra una significativa azione chemiopreventiva efficace sulla pelle ed è in grado di migliorare lo stress ossidativo cutaneo indotto dal cumene idroperossido e quindi di contrastare la crescita tumorale. [49] Shetty e altri [50] hanno concluso che Hemidesmus, in un modello di preossidazione lipidica indotta sui microsomi del fegato del ratto, protegge la membrana microsomiale riducendo al minimo la perossidazione lipidica, che alla fine protegge il DNA dagli effetti delle radiazioni.

Azione immunomodulatoria. L’estratto metanolico, in alcool isopropilico e acetone di H. indicus mostra un’attività immunomodulatoria correlata alla secrezione di IgG e all’attività dell’adenosina deaminasi (ADA). L’estratto favorisce il rilascio di IgG da parte dei linfociti in vitro e anche l’attività di ADA dopo 72 h di coltura. [51]

Azione di guarigione delle ferite. Le foglie di H. indicus possiedono una marcata attività di guarigione delle ferite e svolgono un ruolo importante e promettente nel trattamento delle ferite, in particolare delle ferite croniche, e nei pazienti diabetici e oncologici. L’estratto alcolico di H. indicus formulato come unguento al 5% e al 10% aumenta il tasso di chiusura della ferita e migliora il periodo di epitelizzazione. [52]

Azione antiulcera. Austin [53] ha studiato l’attività antiulcera di H. indicus. Agisce da mucoprotettivo con potenza superiore ai farmaci di confronti omeperazolo e ranitidina.

Azione nootropica. La frazione estratta in n-butanolo della radice di H. indicus e l’estratto etanolico migliorano significativamente il potere di apprendimento e la memoria nei topi. H. indicus ha dimostrato di essere un utile agente di restauro della memoria nel trattamento della demenza osservata nella malattia di Alzheimer e in altri disturbi neurodegenerativi. [54]

Azione antiossidante e di scavenging dei radicali liberi. L’estratto di radice di H. indicus grazie alle sue proprietà antiossidanti ha ridotto significativamente lo stress ossidativo e quindi la tossicità indotta dalla doxorubicina. [55] Una valutazione dell’attività antiossidante dell’estratto metanolico della corteccia della radice di H. indicus è stata condotta in vitro ed in modelli ex vivo per accertare l’attività di scavenging dei radicali mediante riduzione del DPPH, attività scavenging dei radicali superossido nel sistema riboflavina/luce/NBT, attività di scavenging dei radicali dell’ossido nitrico nel sodio nel sistema di reagenti nitroprussiato/greiss, inibizione della perossidazione lipidica indotta da ferro-ADP-ascorbato, azione sull’ emolisi indotta da omogenato di fegato e fenilidrazina attraverso stabilizzazione della membrana eritrocitaria. L’estratto metanolico al 70% di radice di H. indicus, che contiene grandi quantità di flavonoidi ecomposti fenolici, dimostra un’elevata attività antiossidante e di scavenging dei radicali liberi. Chela anche il ferro e ha potere riducente. Questi saggi in vitro indicano che l’estratto contiene costituenti che possono essere importante fonte di antiossidanti naturali. [56]

Azione epatoprotettiva. La somministrazione orale di estratto etanolico al 50% di H. indicus ha significativamente prevenuto l’epatotossicità indotta da rifampicina e isoniazide. [57] H. indicus dimostra di curare parzialmente il danno epatico indotto da CCl4 e paracetamolo. Parametri biochimici, come- Alcalino fosfatasi (ALP), glutammato ossalacetato transaminasi (SGOT), glutammato piruvato sierico, le transaminasi (SGPT) sono risultate nel range di normalità solo dopo somministrazione orale. [58] Molti fitocostituenti presenti in H. indicus come composti fenolici, glicosidi, cumarine e saponine dimostrano di possedere proprietà epatoprotettive.

Azione antinfiammatoria. Si è riscontrato che l’estratto di acetato di etile della radice di H. indicus mostra una potente azione antinfiammatoria nell’infiammazione acuta e subacuta. La somministrazione orale di estratti di radice di H. indicus ha mostrato un’attività antinocicettiva dose-dipendente in tutti i modelli e ha contrastato sia il doloroso neurogeno che infiammatorio. Studi comparativi sull’attività antinfiammatoria di H. indicus sono stati inoltre condotti nell’edema della zampa di ratto indotto dalla carragenina. Gli estratti etanolici delle radici hanno mostrato un significativo effetto antinfiammatorio alla dose di 350 mg/kg p.o. rispetto al controllo. [59]

Azione diuretica. L’estratto acquoso della radice di H. indicus ha indotto un aumento del flusso urinario nei ratti. H. indicus durante la terapia con aminoglicosidi, come la Gentamicina è in grado di ridurre la nefrotossicità a un livello significativo. [60]
Azione ipoglicemizzante. Dopo trattamento con estratto di radice di H. indicus su ratti diabetici, il contenuto di glicogeno nei tessuti muscolari è stato significativamente migliorato. Il trattamento con l’estratto di radice di H. indicus ha mostrato una diminuzione significativa del livello di emoglobina glicosilata, che potrebbe essere dovuta al miglioramento della glicemia in ratti diabetici. [61]

Attività antidiarroica. l’estratto metanolico di H. indicus dimostra una significativa attività antidiarroica rispetto farmaci standard. È stato scoperto che l’estratto acquoso della radice di H. indicus aumenta l’assorbimento di acqua e Na+- K+ ed è stato anche suggerito che l’estratto può essere inserito in soluzioni saline disidratanti orali (ORS) per potenziarne l’efficacia. [62]
Azione antiveleno. Estratti di radice di H. indicus hanno efficacemente neutralizzato il veleno di vipera che induce effetti letali, emorragici, attività coagulante, anticoagulante e infiammatoria. Il lupeolo acetato isolato dall’estratto di radice di H. indicus potrebbe neutralizzare significativamente letalità, emorragia, defibrinogenazione, edema, attività della PLA2 indotta dal veleno di Daboia russellii. Così come dimostra di neutralizzare il veleno di Naja kaouthia che induce letalità, cardiotossicità, neurotossicità e alterazioni respiratorie negli animali da esperimento. Il metossi acido benzoico isolato dalla radice di H. indicus ha in particolare un potenziale antiveleno. [63]

Azione antileprotica. L’estratto acquoso di H. indicus è stato somministrato per via orale a una concentrazione del 2% nei topi. I topi sono stati infettati da Mycobacterium leprae da pazienti affetti da lebbra ed è stato osservato che la stimolazione dell’ipersensibilità cutanea è stata ritardata. Possedeva anche azioni immunomodulatorie e attività immunosoppressiva ed anche la fagocitosi risultava diminuita. [64]

Azione antimicrobica. H. indicus è tradizionalmente utilizzato nella medicina popolare indiana per il trattamento di varie infezioni batteriche e fungine. H.indicus ha mostrato l’azione di inibizione contro Staphylococcus aureus, Pseudomonas aeruginosa ed Escherichia coli. L’estratto cloroformico di H. indicus ha mostrato un’attività promettente contro Helicobacter pylori. H. indicus ha uno spettro di attività antimicrobica forte e ampio contro i microrganismi patogeni e gli estratti possono essere utilizzati per formulare prodotti naturali bioattivi che servirebbero come fonte di base per lo sviluppo di nuovi composti antimicrobici per superare l’aumento della resistenza agli antibiotici. Sia l’estratto etanolico al 95% che l’estratto acquoso hanno dimostrato di essere efficaci contro Corynebacterium diptheriae, Diplococcus pneumoniae, Streptococcus viridans e Streptococcus pyogenes. È stato riscontrato che H. indicus ha dimostrato un’elevata attività contro ESBL (Extended spettro -lattamasi) in batteri enterici multiresistenti. Gli estratti in cloroformio ed etanolo (95%) di H. indicus hanno mostrato proprietà antimicotiche attività contro Aspergillus niger. [65]

Azione antiartritica. La radice di Hemidesmus indicus mostra azione protettiva contro l’artrite attribuibile alla presenza di terpeni, steroli e composti fenolici nell’estratto idroalcolico della radice. [66]

 

Shorea robusta Gaertn.f. (Shala,Sal,Ral)

Shala (Shorea robusta) appartenente alla famiglia delle Dipterocarpaceae è un’importante pianta medicinale utilizzata in vari sistemi medici in India. Una descrizione dettagliata di questa pianta è rintracciabile già dal periodo vedico fino a tempi recenti in vari testi ayurvedici. [Charaka Samhita: Vedanasthapana,Kashayaskandha.Sushruta Samhita: Salasaradi, Lodhradi. Astanga Hridaya: Asanadi gana, Eladigana (Rala).Bhava prakash Nighantu: Vatadi Varga. Raj Nighantu: Chandanadi Varga.Kaiyadev Nighantu: Aushadi Varga.Dhanwantari Nighantu: Amradi Varga (Sarja Sala), Chandanadi Varga (Rala)] Shala è una grande pianta decidua il cui durame e gli essudati sono usati principalmente per vari scopi medicinali. Può crescere nelle zone tropicali dell’Himalaya, nell’India nord-orientale e centrale e sulle colline del Bengala occidentale fino a 1.700 m. Shorea robusta possiede numerosi effetti terapeutici e si caratterizza per Kashaya rasa, Ruksha guna, Ushna veerya e Katu vipaka con proprietà Kapha-Pittahara; Essa possiede anche un’azione farmacologica come attività antidiarroica, antibatterica, analgesica, antinfiammatoria, antidiabetica ecc. (Medohara, Vranashodhana-Ropana, Grahi, Vishaghna, Vedanasthapana ecc.) e per questo motivo così è stato indicato per la gestione di Visphota, Kustha, Prameha, Raktavikara, Visavikara, Sweta Pradara ecc.
I principali componenti chimici sono: Bergenina, Shoreafenolo, Acido Oleanolico, Calcone, Dipterocarpolo, Acido Dammarenolico, Acido Asiatico, Acido Shorbico che sono responsabili di diverse potenti effetti medicamentosi stimolanti, espettoranti, diuretici ed emostatici e di altre azioni farmacologiche come quelle antidiarroica antibatterica/antimicrobica, analgesica, iperlipidimica, antinfiammatoria, antidiabetica, immunomodulante, cicatrizzante, anti-nocicettiva, antiulcera, antipiretica, antiobesità. [67]

Le foglie e la corteccia sono usate per curare ferite, ulcere, lebbra, tosse, gonorrea, mal d’orecchi e mal di testa. La corteccia è anche usata per trattare la diarrea, la dissenteria e le perdite vaginali. I frutti sono utili nelle ulcere tubercolari, debolezza seminale, sensazione di bruciore e dermopatia. L’oleoresina essudata dalla pianta ha proprietà astringenti, carminative e stomachiche. È utile nelle condizioni viziate di pitta, ferite, ulcere, nevralgie, ustioni, fratture, febbre, diarrea, dissenteria, splenomegalia, obesità e bruciore agli occhi. Nella medicina Unani, la resina viene utilizzata per il trattamento della menorragia, dell’ingrossamento della milza e per alleviare l’irritazione degli occhi. In Ayurveda, è usato con miele o zucchero nel trattamento della dissenteria e delle emorroidi. Viene anche somministrato nella gonorrea e per la digestione debole. È suggerito per ulcere, ferite e disturbi della menopausa dai praticanti Siddha. [68-72]

Azione analgesica. Un estratto etanolico al 70% della polvere essiccata della resina di Shorea robusta è stato studiato per l’attività analgesica. L’estratto ha prodotto un significativo effetto analgesico centrale e periferico, come evidenziato dall’aumento del tempo di reazione in specifici test sul ratto. Questi risultati hanno dimostrato che gli estratti di S. robusta possiedono proprietà analgesiche significative. [69] L’estratto metanolico e acquoso delle foglie di S. robusta mostra attività analgesica nel dolore indotto da acido acetico nel ratto. Entrambi gli estratti hanno causato una significativa riduzione del dolore indotto nel ratto in modi diversi. [73]

Azione antinocicettiva. Un estratto metanolico delle foglie essiccate di Shorea robusta è stato studiato per l’azione antinocicettiva a diversi dosaggi rivelando un effetto antinocicettivo dose-dipendente in diversi modelli di dolore indotto negli animali suggerendo un’azione simile a quelle di farmaci analgesici che modulano la risposta al dolore di origine spinale. [74]

Azione antinfiammatoria. L’estratto acquoso di foglie di Shorea robusta (100, 200 e 500 μg/ml) è stato studiato per l’attività antinfiammatoria e confrontato con le dosi standard di Diclofenac (20 e 40 μg/ml) nel modello di stabilizzazione della membrana HRBC e confrontato con l’aspirina (200 μg/ml) nel modello di emolisi indotta dal calore. L’estratto a 500 μg/ml ha mostrato buoni risultati in entrambi i modelli. [75] L’estratto metanolico e acquoso di foglie di S. robusta mostra attività antinfiammatoria nel modello di dolore indotto da carragenina e destrano e nel modello di granuloma indotto. Entrambi gli estratti (metanolico e estratto acquoso a 200 e 400 mg/kg i.p. e p.o.) hanno dimostrato un effetto antinfiammatorio significativo nei ratti e nei topi in modi diversi. [76] [74] [77]

Azione antibatterica. L’estratto acquoso delle parti floreali di Shorea robusta è stato preparato con macerazione in acqua fredda. È stato impiegato il metodo della buona diffusione per determinare l’effetto del potenziale antibatterico contro i batteri Gram-positivi, vale a dire: Staphylococcus aureus e Bacillus subtilis e batteri Gram negativi vale a dire: Klebsiella pneumoniae e Serratia marcescens. L’estratto acquoso della pianta ha mostrato una significativa attività inibitoria su diverse specie batteriche quando confrontato con la penicillina come agente antibatterico standard. Inoltre, l’analisi fitochimica preliminare ha rivelato che l’estratto acquoso possiede tannini, flavonoidi, glicosidi cardiaci e steroidi, che sono coinvolti nell’attività antibatterica. [78]

Azione antimicrobica. Gli estratti acquoso, metanolico, in petrolio e benzene dell’oleoresina di Shorea robusta hanno inibito la crescita dei microrganismi utilizzati in vari studi. Gli estratti acquosi di Shorea robusta mostrano un’attività significativa contro Bacillus coagulans, Escherichia coli, Bacillus cereus e una moderata inibizione su Salmonella typhi e Bacillus subtilis e minore attività contro la fluorescenza di Proteus vulgaris e Pseudomonas. Tuttavia, gli estratti etanolici hanno anche mostrato un’attività significativa contro Staphylococcus aureus, S. epidermidis ed Escherichia coli, una moderata inibizione su Candida albicans e Bacillus coagulans. I risultati hanno rivelato che l’estratto in metanolo ha mostrato un’attività più significativa. Gli estratti in etere di petrolio e benzene hanno mostrato una minore attività inibitoria rispetto ai due estratti precedenti. L’etere di petrolio ha mostrato attività contro Escherichia coli, Aspergillus flavus e Candida albicans e mentre gli estratti di benzene hanno agito contro Bacillus licheniformis, Bacillus cereus e Aspergillus flavus. Si può concludere che la resina Shorea robusta ha uno spettro potente e ampio di attività antimicrobica contro un certo numero di microrganismi patogeni. [79]

Azione immunomodulante. L’estratto etanolico di corteccia di Shorea robusta è stato somministrato p.o. (per via orale) ai topi alla dose di 100 mg e 300 mg/kg di peso corporeo al giorno per 14 giorni. In questo studio, l’estratto di corteccia di Shorea robusta somministrato nel ratto a 300 mg/kg al giorno, i.p. ha mostrato un effetto significativo nella stimolazione della risposta immunomodulante, quindi la corteccia di Shorea robusta è un prodotto naturale efficace per la salute per la modulazione del sistema immunitario. [80]

Azione contro i radicali liberi e antiossidante. Gli antiossidanti svolgono un ruolo chiave nella tumorigenesi, e diversi antiossidanti naturali e sintetici hanno dimostrato di avere effetti antitumorali. Uno studio ha indagato la natura preventiva dell’estratto di corteccia di Shorea robusta (SRBE) nel cancro al fegato indotto da dietilnitrosamina (DEN) in ratti albini Wistar maschi. La somministrazione di DEN ai ratti ha determinato un aumento degli enzimi marcatori sierici aspartato transaminasi (AST), alanina transaminasi (ALT), lattato deidrogenasi (LDH) e gamma glutamil transpeptidasi (GGT). I livelli di perossidi lipidici sono aumentati con conseguente diminuzione degli antiossidanti tissutali come superossido dismutasi (SOD), catalasi (CAT), glutatione ridotto (GSH), glutatione perossidasi (GPx) e glutatione reduttasi (GR). L’integrazione di SRBE (500 mg/kg di peso corporeo) ha attenuato significativamente queste alterazioni, mostrando così un potente effetto antitumorale nel cancro del fegato. Questi risultati suggeriscono che l’SRBE previene la perossidazione lipidica, il danno delle cellule epatiche e protegge il sistema antiossidante nella carcinogenesi epatocellulare indotta da DEN. [81]

Azione di guarigione delle ferite. L’estratto etanolico di S. robusta (10 e 30% p/p) applicato localmente su ferite ha prodotto un’accelerazione dose-dipendente nella contrazione della ferita e un aumento del contenuto di idrossipirolina e della resistenza alla trazione della ferita nei ratti. Il risultato dimostra l’attività di guarigione delle ferite dell’estratto etanolico della resina di S. robusta. [82]

 

Cera d’api (Madhuchchhishta)

La cera d’api (INCI: Cera Alba, sin. Cera Alba Beeswax) è una sostanza naturale prodotta dalle api (Apis mellifera) per costruire i loro nidi (favi) che hanno anche la funzione di immagazzinare il polline e il miele. La cera viene prodotta a partire da una trasformazione degli zuccheri contenuti nel miele. [83]

Si presenta, nel momento della secrezione, di un colore bianco traslucido. Può poi assumere una vasta gamma di colorazioni, dal giallo chiaro all’arancio scuro, a seconda dei colori delle sostanze oleose contenute nei pollini di diversi fiori bottinati dalle api, che in essa si sciolgono. [83]

La cera è una complessa miscela, chimicamente stabile, di sostanze organiche (circa 300) di carattere grasso: idrocarburi, acidi, alcoli e in maggior proporzione esteri. La cera d’ape è una sostanza insolubile in acqua, e per questo è ottimale per ospitare e conservare il miele che è una sostanza che ha una base acquosa come il miele senza che ci sia compenetrazione o perdita. Anche se può fondersi in presenza di solventi chimici (cloroformio, solfuro di carbonio, essenza di trementina, benzolo) è una sostanza sostanzialmente inerte, per questo si presta bene a essere utilizzata come protettivo o come isolante. In fusione, può essere mescolata a sostanze grasse. È resistente alla maggior parte agli acidi e agli enzimi digestivi della maggior parte degli animali. È più leggera dell’acqua sia allo stato solido che liquido. [83]

Le sue caratteristiche hanno permesso che venisse utilizzata in una grande varietà di ambiti: dalla fabbricazione di candele alla scultura, al trattamento del legno e diversi tipi delle superfici, come sostanza portante in cosmesi e farmaceutica.
La cera bianca si presenta come una massa plastica, insolubile in acqua, che fonde a fonde a 63-65° C dando un liquido incolore e limpido. Dal punto di vista chimico, le cere sono dei lipidi derivanti dall’esterificazione di un alcool a lunga catena con un acido grasso. In particolare, la cera d’api è formata da una miscela di esteri di alcoli lineari (a 24-36 atomi di carbonio) con acidi grassi lineari a 18 – 36 atomi di carbonio (es. miricil palmitato e esteri dell’acido cerotico), oltre a diversi idrocarburi lineari C20-C33. [83]

Le proprietà caratteristiche della cera d’api sono la plasticità, il basso punto di fusione, la sicurezza d’uso, la facilità a formare emulsioni.
La cera ottenuta dagli opercoli, che sono di produzione fresca e quasi del tutto privi di impurità, è la materia migliore per preparati cosmetici e farmaceutici. La cera ottenibile dai favi vecchi, che può essere contaminata da altre sostanze dell’alveare (propoli, polline, residui dei bozzoli delle larve) è quella destinata alla fabbricazione di candele, protettivi per mobili, stampi, ecc. [83]

L’estrazione della cera da opercoli (per separare la cera dal miele) può essere ottenuta per scolatura, torchiatura, centrifugazione, fusione “a calore secco” tramite sceratrice solare, o “a calore umido” in appositi apparecchi a vapore. [83] Nell’antichità la cera veniva ottenuta per bollitura in abbondante acqua, permettendo alla cera di risolidificarsi in superficie e alle impurità di formare uno strato tra cera e acqua che poi veniva asportato. [83]

Usi medicamentosi. L’uso medicamentoso della cera risale a tempi antichissimi. Poiché la cera d’api è costituita da una miscela di lipidi idrorepellenti, esercita un’azione protettiva sullo strato corneo sul quale forma un film che impedisce un’eccessiva perdita di acqua da parte della pelle. [83] La cera d’api è conosciuta in Ayurveda come significativo rimedio in caso di infiammazioni della pelle, contusioni, ustioni e screpolature dei talloni [84]; per queste sue indicazioni è tradizionalmente inserita in alcuni rimedi come Pinda Taila. Un papiro compilato in Egitto nel 1550 avanti Cristo (il Papiro Ebers) nomina la cera in 32 ricette, tutte per uso esterno, dove la cera fa da sostanza portante insieme a una varietà di altri ingredienti, quali resina, mirra, grasso di bue. Le indicazioni vanno dall’estrazione di spine alle bruciature, ferite, o come lenitivo per le articolazioni e l’irrigidimento. [85,86] Il greco Ippocrate (460-470 a. C.), considerato il “padre della Medicina” ne consigliava applicazioni sulla nuca nel caso di amigdalite purulenta. [85,86] Il romano Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua “Naturalis Historia” parla della cera sia per uso esterno che interno definendola “emolliente, riscaldante, e rigenerativa della carne”; la migliore sarebbe la più fresca. È data a chi patisce di dissenteria in un impasto di farina e acqua o in un porridge di semola tostata. Plinio cita anche balsami e impiastri. [85,86] Il medico greco Galeno (129-216 d.C,) mise a punto una ricetta che è a tutt’oggi la base delle “cold creams”: olio d’oliva, cera d’api e acqua di rosa: il “Ceratum Galeni”. [85,86] Il medico persiano Avicenna (780-1037) la prescrisse come stimolante della lattazione nelle donne e per la cura di tossi persistenti. [85,86] L’uso terapeutico della cera è riportato anche in antichi testi di medicina tradizionale cinese, come il “Shen Nong Book of Herbs” (circa 2100–2200 a.C.) [85,86] Nel “ricettario dei segreti” del principe fiorentino Antonio De Medici (1576-1521) la cera ha una parte notevole nella composizione sia di unguenti sia dei cosiddetti “cerotti”, applicazioni emollienti o medicamentose in cui veniva inserita una varietà di ingredienti (quali nepetella, olio laurino, resine, olio rosato) a seconda dell’indicazione curativa: bruciature, contusioni, piaghe e ferite, fratture, calli, sciatica. [86]

Uso farmaceutico e cosmetico moderno. Grazie alle sue caratteristiche, la cera d’api rappresenta un ingrediente impiegato in molte preparazioni per modificarne le caratteristiche reologiche, come agente per aumentare la viscosità della fase grassa, per dare consistenza a unguenti ed emulsioni. [83] Oggi la cera viene usata per le sue proprietà cicatrizzanti, antiinfiammatorie, per ascessi, e bruciature, screpolature, in impiastri caldi per artrosi e affezioni reumatiche e alcuni tipi di nevralgie, per facilitare il transito intestinale, per rinforzare le medicazioni periodontali. Inoltre viene utilizzata per prendere lo stampo dei denti nella realizzazione di protesi dentarie, entra nella composizione di supposte e dà alle pastiglie il loro aspetto liscio e in cosmesi ha un’azione soprattutto sulla pelle delicata, specialmente se deidratata e devitalizzata; pulisce l’epidermide e nutre la pelle. Entra a far parte di creme struccanti, creme emollienti e protettive, creme da massaggio, ombretti, mascara, matite per labbra, lucidalabbra. Fin dai tempi di Galeno è ingrediente fondamentale delle “cold cream” che, pur essendo a base grassa, hanno una notevole azione rinfrescante dovuta all’evaporazione dell’acqua-(da cui il nome cold cream). La ricetta originaria prevedeva la fusione della cera d’api, nella quale, dopo aver aggiunto 3 parti di olio d’oliva nel quale erano stati messi in infusione petali di rosa, veniva incorporata la maggior quantità d’acqua possibile. Questa preparazione fu inclusa nella Farmacopea Londinese (1618). [83]

Benefici per la pelle. Grazie alla presenza di vitamina A, la cera d’api sostiene la rigenerazione delle cellule ed è di stimolo per la guarigione delle ferite e per combattere prurito, dermatiti e altre malattie della pelle. La cera sulla cute è: antibatterica; lenitiva; antirughe rughe; anti acne; idratante. I lipidi presenti nella cera d’api la rendono utile nella formulazione di prodotti per le pelli molto secche e screpolate, dato che permettono di trattenere la perdita d’acqua dalla pelle e di proteggerla. La cera ha infatti una struttura chimica che è particolarmente affine a quella della pelle, inoltre ha la capacità di formare in film protettivo che resiste anche a qualche lavaggio con i detergenti e detersivi. Un vero agente di protezione, ideale, ad esempio, per le mani, una parte del nostro corpo frequentemente esposta ad agenti aggressivi. [83] Un piccolo studio ha scoperto che l’applicazione quotidiana di una miscela di miele, cera d’api e olio di oliva (rapporto 1:1:1) sulla pelle di persone con dermatite o psoriasi ha portato a un miglioramento significativo in entrambe le condizioni nell’arco di 2 settimane. [88] La stessa miscela di miele, olio d’oliva e cera d’api si è dimostrata sicura e clinicamente efficace nel trattamento delle emorroidi e delle ragadi anali. [89] Uno studio del 2018 ha anche scoperto che i prodotti cosmetici detergenti a base di ingredienti naturali, come la cera d’api e l’estratto di amamelide, erano di gran lunga superiori nella gestione della pelle sensibile rispetto ai prodotti per la cura della pelle a base di ingredienti sintetici. [90]

Proprietà Antimicrobiche. La cera d’api è stata utilizzata fin dall’antichità per le sue proprietà antimicrobiche nelle medicine tradizionali europee e asiatiche. Gli effetti conservativi sono forse alla base del suo uso nelle pratiche di imbalsamazione e mummificazione degli antichi egizi e persiani o per modellare le maschere della morte degli antichi romani. Un estratto grezzo di cera d’api ha mostrato effetti inibitori contro Staphylococcus aureus, Salmonella enterica, Candida albicans e Aspergillus niger. [87] Questi effetti inibitori sono potenziati sinergicamente con altri prodotti naturali come il miele o l’olio d’oliva.

 

 

 

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A cura della direzione scientifica di Benefica

 

Newsletter Fitoterapia nr. 60 – Settembre 2021

Withania somnifera: un versatile tonico immunitario nel periodo invernale.

 

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Immunomodulatory Effect of Withania somnifera (Ashwagandha) Extract—A Randomized, Double-Blind, Placebo Controlled Trial with an Open Label Extension on Healthy Participants. 

Ajit Tharakan, Himanshu Shukla, Irin Rosanna Benny, Matthan Tharakan, Lekha George and Santhosh Koshy

 

Contesto e premesse

L’imminente cambio di stagione ripropone nella pratica clinica e ormai nelle abitudini della popolazione la preparazione al rinforzamento del sistema immunitario per affrontare al meglio le aggressioni stagionali di freddo, virus e batteri. Questo approccio clinico, che viene ritenuto molto opportuno in pazienti “delicati” o a maggior rischio per costituzione cagionevole oppure perché affetti da patologie croniche respiratorie (Asma – BPCO), oggi viene sempre più spesso gestito, insieme alle strategie vaccinali, anche nei comuni periodi di epidemia influenzale, con il ricorso all’impiego e alla prescrizione di integratori naturali a base di bioattivi ad azione comunemente definita “immunostimolante” spesso derivanti da estratti di piante medicinali, funghi, vitaminici, etc.

Durante la pandemia da Covid-19 questa necessità di “protezione immunitaria“ è stata percepita in modo amplificato tanto che il ricorso a prodotti integratori vitaminici o “immunostimolanti” naturali è aumentato esponenzialmente seguendo anche una crescente necessità, a livello mondiale, di combattere infezioni di origine virale e batterica. La pandemia di COVID-19 ha quindi portato nuove sfide alle scienze biomediche, in particolare per lo sviluppo di terapie efficaci per la prevenzione e il trattamento delle malattie virali acute e indotte dallo stress. Il contesto epidemico da Covid-19 ha inoltre offerto un contesto rilevante per disponibilità di dati relativi ad epidemiologia e patogenesi che hanno consentito, più che in altri periodi, di ottenere prove rilevanti, anche su preparati erboristici dando impulso a studi preclinici e clinici. [1]

Tradizionalmente le piante medicinali più sfruttate per finalità immunostimolanti sono quelle a cui si riconosce una generale capacità di stimolare la risposta immunitaria aspecifica, prevalentemente per attivazione macrofagica, e tra queste si possono ricordare l’Echinacea, l’Uncaria tomentosa, l’Aloe vera, l’Allium sativum etc. oppure alcuni funghi ampiamente sfruttati nella medicina popolare asiatica; molti di questi bioattivi medicinali ricorrono anche nella classica fitoterapia occidentale.

Più recentemente la ricerca scientifica si è particolarmente concentrata con nuovi studi su un gruppo di piante medicinali, tradizionalmente considerate adattogene, che offrono un’azione farmacologica anche molto utile per favorire la generale efficienza immunitaria ed agire come significativi protettori naturali nei confronti di diverse patologie ed in particolare di quelle respiratorie. Queste piante medicinali si distinguono per la loro azione sul sistema immunitario in modo complesso e profondo. Le prove da studi preclinici e clinici su Andrographis paniculata, Eleutherococcus senticosus, Glycyrrhiza spp., Panax spp., Rhodiola rosea, Schisandra chinensis, Withania somnifera, e sulle loro combinazioni (anche con melatonina), suggeriscono che gli adattogeni possono essere utili nella profilassi e nel trattamento delle infezioni virali in tutte le fasi del progressione dell’infiammazione nonché nell’aiutare il recupero dell’organismo (a) modulando l’immunità innata e adattativa, (b) per attività antinfiammatoria, (c) per disintossicazione e riparazione del danno dell’ossidazione indotto dallo stress nelle cellule compromesse, (d) per effetti antivirali diretti di inibizione del docking virale o di replicazione, (e) per miglioramento della qualità della vita durante la convalescenza. [1]

Come noto la patogenesi e la progressione di un’infezione virale è un processo a più fasi [1], che richiede una strategia terapeutica appropriata a partire dall’iniziale risposta di difesa globale dell’organismo all’agente patogeno. [1] In questo processo sono implicate numerose interazioni extra e intracellulari tra i componenti di difesa dell’ospite e i sistemi di regolazione del ciclo di vita cellulare a tutti i livelli: genomico, trascrittomico, proteomico, metabolomico e macrobiotico. [1] Di conseguenza, una prevenzione o un trattamento efficace rispetto ad una infezione virale e ad altre infezioni virali rispondono in modo ottimale ad un intervento farmacologico che agisca a livello della risposta innata e adattiva, degli enzimi metabolizzanti di fase I-III dei sistemi disintossicanti e riparatori, del ciclo di vita e della proliferazione del virus. Questa complessa azione può essere ottenuta con specifici preparati a base di piante medicinali perché queste esercitano azioni polivalenti e pleiotropiche sui sistemi di difesa dell’ospite. È stato ad esempio osservato che più della metà dei soggetti con infezione da SARS-CoV-2 era asintomatica al momento del test [1], il che indica la capacità del sistema immunitario innato di frenare precocemente la progressione dello stadio di invasione del patogeno del COVID-19. Molte pubblicazioni documentano la capacità di numerosi composti naturali del regno vegetale sia di attivare sia di inibire vari componenti del sistema immunitario innato. [1] Nello specifico, miscele complesse di composti naturali (o estratti di piante medicinali) che sinergicamente prendono di mira più elementi delle reti molecolari coinvolte nella risposta di difesa infiammatoria, vengono ritenuti più attivi dei mono-componenti che prendono di mira un solo recettore. [1]

Gli adattogeni sono composti naturali o estratti vegetali antistress che aumentano l’adattabilità, resilienza e sopravvivenza degli organismi. [1] Gli adattogeni aumentano “lo stato di resistenza aspecifica” di organismi [1] rispetto a agenti dannosi [1], inclusi patogeni batterici e virali. Risposte di difesa non specifiche agli agenti patogeni dipendono dalla capacità dell’organismo di riconoscere le caratteristiche degli agenti patogeni conservate dall’evoluzionismo dell’antico sistema immunitario innato, attraverso l’attivazione di un gruppo di proteine e cellule fagocitarie, che si attivano durante le prime ore nei giorni critici dell’infezione per distruggere gli invasori. [1] I meccanismi di base delle risposte immunitarie innate che regolano la difesa innata, ad esempio il riconoscimento di pattern da parte di recettori toll-like (TLR), le defensine, ecc., sono conservate e apparentemente coinvolte nell’immunità innata in tutti gli organismi multicellulari. La loro conservazione durante l’evoluzione mostra l’importanza delle risposte innate nella difesa contro patogeni microbici e virali. [1] Queste piante medicinali offrono meccanismi d’azione multipli [1] in grado di agire a più livelli della risposta immunitaria stimolandola in modo profondo. Withania somnifera Dunal è una pianta medicinale appartenente alla famiglia delle Solanaceae molto nota in India per i suoi effetti adattogeni e tonici nei confronti della stanchezza fisica ed anche mentale poiché offre una generale azione rivitalizzante su più sistemi dell’organismo. Di questa pianta medicinale si impiegano prevalentemente e le radici e le foglie. Gli estratti medicinali delle radici presentano un profilo fitochimico qualitativamente simile a quelli delle foglie ma quantitativamente diverso. Il fitocomplesso di Withania somnifera Dunal si caratterizza per alcune famiglie molecolari rappresentate da lattoni steroidali (withanolidi) e dalle loro forme glicosilate (withanolidi glicosilati) oltre che da alcuni alcaloidi. Withania somnifera è una tra le piante medicinali adattogene più studiate negli ultimi anni non solo per il suo largo impiego per contrastare stanchezza fisica e mentale ma anche per promettenti azioni antitumorali, anti infiammatorie, pro tiroidee.

Alla base dello studio di queste piante medicinali come preventive dei malanni di stagione vi è il postulato che la salute immunitaria sia influenzata da stress, sonno, fattori ambientali. I fattori di stress ambientale possono portare a fluttuazioni della funzione immunitaria tra gli individui. [2][3][4] La percezione dei fattori di stress stagionali ha il potenziale di compromettere la funzione del sistema immunitario, se non contrastata. Il pattern nell’attività corticosurrenale suggerisce un ritmo circannuale dell’immunità cellulare, caratterizzato da depressione invernale e picco estivo nella funzione dei linfociti T. Prove recenti suggeriscono che la funzione immunitaria varia sostanzialmente su base stagionale [2][5] e questa variazione avviene indipendentemente dalle fluttuazioni in prevalenza del patogeno. La fisiologica depressione invernale della funzione immunitaria cellulare porta ipoteticamente a una corrispondente risposta fisiologica dell’organismo che tende ad adattarsi con potenziamento della funzione dei linfociti B. Il sonno è senza dubbio uno stato comportamentale prominente degli esseri viventi e un probabile modulatore della funzione immunitaria. Sia la deprivazione acuta che quella cronica del sonno sono associate a cambiamenti immunitari. [6] Uno studio condotto da MacMurray et al. [7] mostra: (1) una relazione inversa tra temperatura ambiente e livelli sierici di IgG; (2) un livello elevato di IgG sieriche in inverno rispetto all’estate; (3) livelli generalmente più elevati di IgA e IgM sieriche in inverno; (4) una relazione inversa tra l’attività delle cellule B e delle cellule T; e (5) una depressa attività delle cellule T in inverno che è accompagnata da un’attività delle cellule B significativamente elevata. Secondo quanto concluso da diversi studi, le cellule T risultano più basse durante i mesi invernali. [8] In effetti, il deficit energetico diminuirà la conta delle cellule immunitarie e quindi aumenterà la suscettibilità alle infezioni. La bassa concentrazione di DHEA circolante è stata postulata come concomitante di malattie croniche, infezioni e stress. [9] [10] Molte variabili sono in grado di modulare gli effetti dei fattori di stress sul sistema immunitario dell’essere umano e né una predisposizione genetica, né l’esposizione a un agente patogeno, né la l’esperienza di un evento stressante sono in grado, di per sé, di innescare una prevedibile progressione della malattia. Ognuno di questi fattori, invece, contribuisce alle risposte psicologiche e fisiologiche dell’organismo determinando infine il punto di equilibrio tra buona salute e malattia. Diversi linfociti T helper (Th) producono due gruppi di citochine che favoriscono l’immunità cellulo-mediata e infiammatoria (Th1) o l’immunità umorale anticorpo-mediata (Th2). Le citochine Th2, che includono IL-4, generalmente promuovono la funzione dei linfociti B. Questi due gruppi di citochine sono anche antagonisti in quanto l’IFN-γ inibisce la produzione di citochine Th2, mentre IL-4 inibisce la produzione di citochine Th1. In generale, l’equilibrio tra le citochine Th1 e Th2 dipende da molti fattori [11], tra cui la natura dell’antigene, il background genetico dell’ospite e le citochine coinvolte nella interazione primaria delle cellule T con le cellule presentanti l’antigene.

 

Azione immunomodulatoria di Withania somnifera Dunal

Per migliaia di anni, i principali sistemi di medicina tradizionale hanno fatto affidamento su un gruppo di piante medicinali ritenute “ringiovanenti” o “ferma tempo” (Rasayana in Ayurveda) sulla base di una loro primaria conoscenza come piante medicinali adattogene e antistress. In questo gruppo di piante una delle più studiate è la Withania somnifera Dunal (Ashwagandha) e la moderna ricerca scientifica ha concluso che i generali effetti tonici di Withania somnifera dipendono anche da una sua potente capacità di agire in modo complesso sul sistema immunitario potenziandone la fisiologica capacità protettiva nei confronti di agenti esterni ed i fisiologici processi dell’invecchiamento. Questo effetto dipenderebbe tra l’altro da azioni antiossidanti, antinfiammatorie, da modulazione neuro trasmettitoriale, per riduzione dei livelli di cortisolo dipendente da regolazione dell’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, e da altri complessi meccanismi. Evidenze emergenti suggeriscono che queste proprietà di Withania somnifera possano essere correlate ai suoi effetti immunomodulatori grazie all’azione dei withanolidi che sono particolarmente concentrati nelle radici e nelle foglie. Ad esempio nello studio segnalato nella newsletter è stato osservato, nel gruppo di trattamento, un aumento significativo dei linfociti e del conteggio delle immunoglobuline. Withania somnifera è nota per stimolare l’immunità cellulo-mediata, IgM e IgG e per promuovere un notevole miglioramento nella proliferazione e differenziazione dei linfociti come indicato dai marcatori di superficie dei linfociti T (CD3+, CD4+ e CD8+) e linfociti B (CD19+). [12] [13] Sempre nello studio segnalato, si osserva un aumento significativo delle cellule T, delle cellule B e delle cellule NK nel gruppo di trattamento ed analogamente nel gruppo placebo quando è passato al trattamento. È stato clinicamente dimostrato che Withania somnifera migliora la qualità generale e l’efficienza del sonno in soggetti con insonnia e sonno non ristoratore. [6] I risultati dello studio segnalato risultano rilevanti in questo contesto poiché l’estratto di Ashwagandha standardizzato in withanolidi glicosilati è associabile ad aumenti di DHEA-S e abbassamento dei livelli di cortisolo (ormone dello stress). [14] Tandon e Yadav [15] hanno esaminato 30 studi clinici sull’uomo condotti con Withania somnifera, stabilendo una ragionevole sicurezza e efficacia nell’ipotiroidismo subclinico, nello stress cronico, nell’insonnia e ansia, nel miglioramento cognitivo, nell’infertilità e come coadiuvante della chemioterapia. Gli effetti adattogeni fisici sono stati studiati in tre studi clinici, uno dei quali [16] ha riportato un consumo di ossigeno significativamente aumentato, V-max e potenza media assoluta e relativa in condizioni di esercizio con integrazione di Withania somnifera, un esito che può essere rilevante nella convalescenza da malattie respiratorie. Diversi studi in vivo su Withania somnifera suggeriscono la sua capacità di influenzare più livelli della funzione immunitaria che comprendono sia l’immunità innata che adattativa. Diversi studi sugli animali hanno dimostrato che gli estratti alcolici di Withania somnifera aumentano la produzione di globuli bianchi. [17] [18] Molti studi sono stati condotti sulla radice e sulle foglie di Ashwagandha in cui si trova in abbondanza la withaferina A che è un composto associato a una potente attività immunomodulante e antinfiammatoria ed anche estratti di pianta intera dimostrano di favorire l’aumento dell’attività delle cellule immunitarie (macrofagi), di enzimi lisosomiali che agiscono come “disintossicanti” eliminando anche sottoprodotti delle cellule immunitarie. È stato dimostrato che anche gli estratti alcolici della pianta intera di Withania somnifera aumentano l’attività fagocitaria dei macrofagi, riducono le reazioni di ipersensibilità immunitaria, e stimolano la generazione di cellule immunitarie (linfociti T). [19] L’impatto di Withania somnifera sull’immunità adattativa può essere particolarmente utile dopo l’esposizione a patogeni, inclusi batteri e virus. Nei topi a cui è stato somministrato un estratto di foglie di Withania somnifera standardizzato, per 2 settimane è stata osservata una promozione della risposta Th1 attraverso coinvolgimento dell’espressione di interferone-gamma e di linfociti B e miglioramento dell’espressione dei linfociti T (CD3+, CD4+ e CD8+), insieme alla co-stimolazione di CD80 e integrine. [12] Malik et al. nel 2007 hanno dimostrato che l’estratto di radice di Withania somnifera migliora l’immunità cellulo-mediata prevalentemente attraverso il potenziamento dell’immunità Th1. [20] Diversi studi condotti con Withania somnifera hanno mostrato un aumento significativo dei livelli di espressione di cellule CD3+, CD4+, CD8+, CD19+, CD45+ e NK in 30 giorni di trattamento. Nello studio segnalato è stato osservato un ulteriore aumento significativo (rimanendo nel range della normalità) del livello di queste cellule anche nel periodo di estensione di ulteriori di 30 giorni, indicando una immunomodulazione positiva con l’uso continuato di Withania somnifera (60 gg). [44]

Razionali di attività immunomodulatoria. Una prima evidenza è relativa alla capacità degli estratti di Ashwagandha di incrementare la proliferazione cellulare LPS indotta e quella del withanolide A isolato di incrementare la risposta dei linfociti e la proliferazione cellulare nella milza. [35] [21] La proliferazione dei linfociti esercitata da Ashwagandha può verificarsi in situazioni normali, ed anche in casi di elevato livello di infiammazione come dimostrato in un modello di artrite indotta nei ratti nel quale 1.000 mg/kg di estratto al giorno, per una settimana, hanno ridotto la sintomatologia artritica. [23]

Razionali di attività sull’immunosoppressione. È stato inoltre dimostrato che la soppressione dell’attività delle cellule Th1 indotta da desametasone viene contrastata in vitro dai withanolidi mentre solo il withanolide A si dimostra in grado di sopprimere l’espressione di IL-4. [25] In ratti con elevati livelli di corticosteroidi nel siero, l’estratto acquoso della radice di Ashwagandha, è stato in grado di contrastare significativamente la riduzione della conta delle cellule T associandosi ad una riduzione del cortisolo circolante. [26] Il withanolide A isolato è stato in grado di ridurre le concentrazioni di corticosterone (a dosaggi di 0.25-1 mg/kg per via orale), in ratti sottoposti a stress; questo effetto si è associato alla conservazione della funzione dei linfociti T. [21] La witaferina A dimostra di sopprimere la secrezione di IL-10 da parte di cellule mieloidi e di ridurre la formazione di ROS, correlandosi con un meccanismo STAT3 [27], dipendente (Signal transducer and activator of transcription 3); in relazione al coinvolgimento delle MDSCs (Myeloid-derived suppressor cell) la witaferina A ha conservato positivamente l’equilibrio di CD4 +, CD8 + e linfociti T e ridotto peso del tumore nei topi. [27] La secrezione di IL-10 da MDSCs (myeloid derived suppressor cells) è STAT3 dipendente [28] e l’assunzione orale di 100-400 mg/kg di estratto etanolico al 50 %, ha dimostrato di sopprimere l’attività in vivo di STAT3 in nove giorni. [28] La witaferina A e il withanolide A sembrano ridurre la soppressione, indotta da corticosteroidi, dell’attività delle cellule Th1. Questo effetto è in parte dovuto alle capacità antistress di Ashwagandha (per riduzione del cortisolo) ma può anche essere correlato alla inibizione STAT3 che comporta una riduzione della soppressione (non cortisolo dipendente) dei linfociti T. L’espressione di recettori CD4 + e CD8 + recettori su linfociti T, dopo immunosoppressione indotta con ciclosporina, viene in parte preservata da Ashwagandha che tuttavia dimostra (per assunzione orale di 100-200 mg/kg di estratto metanolico al 50%, per 14 giorni) di incrementare intrinsecamente i livelli di questi recettori. [30] L’assunzione orale di 200 mg / kg di estratto di Ashwagandha al giorno, per quattro giorni prima di un’iniezione paclitaxel dimostra di ridurre significativamente la neutropenia indotta dal paclitaxel (Taxolo), sembra essere significativamente ridotta dall’assunzione orale di 200 mg/kg di estratto di Ashwagandha al giorno, per quattro giorni prima dell’iniezione paclitaxel e negli otto giorni successivi [31] è stata osservata una riduzione degli effetti soppressivi sui neutrofili con un aumento della conta degli stessi rispetto al controllo. Nel gruppo trattato con Ashwagandha, nonostante le iniezioni di paclitaxel, gli effetti su granulociti e monociti sono stati paragonabili a iniezioni di 25μg/kg di Colony Stimulating Factor (GM, CSF). [31] Ashwagandha dimostra azioni a supporto del sistema immunitario nei confronti degli effetti immunosoppressori della ciclosporina o del paclitaxel, e gli effetti di contrasto della neutropenia sembrano essere molto efficaci.

Razionali di attività su interferoni e immunoglobuline. In un modello sperimentale, 30 mg/kg di un estratto etanolico al 50% di Ashwagandha somministrati per 15 giorni, dopo la somministrazione dell’antigene specifico SRBC il nono giorno, hanno determinato un titolo anticorpale di immunoglobuline M (IgM) del 128%, mentre il profilo globale dell’immunoglobulina G (IgG) ha evidenziato un miglioramento correlato con un forte aumento, di circa quattro volte, di IgG2a. Ashwagandha dimostra la capacità di incrementare le IgM e IFNy associato anche con la stimolazione di linfociti T. [25]

Razionali di attività sui macrofagi. Nel modello sperimentale nel ratto sottoposto a stress da freddo, Ashwagandha al dosaggio di 512.5 mcg/die, è stato in grado di incrementare la fagocitosi da parte dei macrofagi rispetto al controllo. [33] L’assunzione orale di Ashwagandha, a dosi relativamente basse, sembra contrastare significativamente la riduzione dell’attività dei macrofagi in situazioni di stress. L’ aumento dell’attività di fagocitosi, fino al 142%, è stato osservato in vivo anche in altri studi, somministrando l’estratto metanolico al 70% di Ashwagandha a 20mg/kg, tramite iniezioni intraperitoneali. [34] Un estratto etanolico al 50% di Ashwagandha (30 mg / kg a topi per 15 giorni) ha determinato un aumento della produzione delle IL,12 e del TNF, α ma non della IL-10, in un modello di riduzione dell’attività dei macrofagi indotta con desametasone. [25] Ashwagandha può stimolare l’attività dei macrofagi (produzione nitriti) quando inibita da corticosteroidi esogeni, ma anche in situazioni di normalità.

Razionali di attività sulle Cellule Natural Killer. Ashwagandha da solo o associato ad altre piante medicinali è in grado di stimolare le cellule NK in ratti portatori di tumori. [35] Ciò si verifica in topi portatori di tumore anche con la sola somministrazione orale di 100-400 mg/kg di un estratto etanolico al 50% di radice di Ashwagandha con un aumento della popolazione di cellule NK del 20-40% in nove giorni. [29] Nel modello sperimentale, Ashwagandha si è dimostrato in grado di in grado di aumentare l’attività delle cellule NK e la loro popolazione sia in animali sani sia in quelli portatori di tumori. Nell’uomo, un infuso medicinale contenente Ashwagandha (0,5%), con altre erbe medicinali (per un totale del 4,0%), somministrato a pazienti adulti, che dimostravano una bassa attività delle cellule NK, al dosaggio di 2.06 g per due mesi, ha aumentato l’attività delle cellule NK del 60% in più rispetto all’infuso placebo; [24] questo effetto è stato confermato anche in uno studio più ampio in cui, in due mesi, si è osservato l’aumento dell’attività delle cellule NK che è cessato, in tutti i soggetti della sperimentazione, alla sospensione della somministrazione dell’infuso. [24] In un altro studio, un estratto di radice di Ashwagandha, somministrato due volte al giorno, per quattro giorni insieme a latte intero, ha determinato un aumento delle cellule NK (CD56) e della relativa attività recettoriale anche se con differenze interindividuali. [45] Gli studi sulla matrice umana suggeriscono per Ashwagandha che l’attivazione delle cellule NK osservata nel modello sperimentale sembra valere anche sull’uomo.

Razionali di attività sui linfociti B. Un estratto etanolico al 50% di Ashwagandha, somministrato oralmente nel ratto per 15 giorni (somministrando l’antigene specifico SRBC al giorno 9), a dosaggi di 30 mg/kg, è stato in grado di promuovere la proliferazione di cellule B più di un dosaggio di 10 mg/kg e più del dosaggio maggiore di 100 mg/kg dello stesso estratto, accompagnandosi ad un aumento delle cellule CD19 +. [25] In un modello sperimentale in cui i ratti sono stai esposti all’antigene specifico SRBC, sia in uno stato di normalità sia in uno stato di immunosoppressione indotta con ciclofosfamide, la somministrazione orale di 100-200 mg/kg di estratto metanolico di radice al 50%, sembra aumentare il titolo anticorpale complessivo del 11,16% in condizioni normali e del 14, 30% in condizioni di immunosoppressione, tuttavia con potenza inferiore rispetto al levamisolo utilizzato come farmaco di riferimento di (2,5 mg/kg). [30] Analogamente un aumento del titolo anticorpale è stato osservato in ratti trattati con 20 mg/kg di estratto metanolico al 70% attraverso iniezioni intraperitoneali, tuttavia si è ipotizzato che questo effetto sia stato dovuto al proliferare di cellule che producono anticorpi nella milza. Ashwagandha sembra avere un effetto stimolante indiretto sui linfociti B. [34]

Razionali di attività sui linfociti T. Un estratto etanolico al 50% di Ashwagandha, somministrato oralmente a ratti, per 15 giorni (con somministrazione di antigene specifico SRBC al giorno 9), ha determinato, a dosaggi medi di 30 mg/kg, la promozione della proliferazione delle cellule T, dei CD3 + e del rapporto CD4 + / CD8 + [25]; si è ipotizzato che questo effetto sia dovuto al withanolide A che è in grado di sopprimere l’IL-4 e che è in grado di aumentare l’IFNy e l’IL-1. [25] Questi effetti sono stati osservati in ratti portatori di tumori dove il dosaggio orale di maggior potenza dell’estratto etanolico al 50% è stato di 200 mg/kg. [29] In un altro studio 25-200mg / kg di un estratto metanolico al 50% di Ashwagandha, sono stati in grado di aumentare la secrezione cellulare di IFN-gamma (interferone gamma) con minor potenza di 400 mg/kg dello stesso estratto, e la potenza dell’estratto di Ashwagandha ha superato quella di 2,5 mg/kg di Levamisolo usato come riferimento [30]; l’effetto stimolante su iL-2 a 100-200 mg/kg dell’estratto di Ashwagandha era paragonabile a quello del Levamisolo, ed in entrambi i casi si è osservato un aumento dei recettori CD4 + e CD8 + correlati [30]; questi effetti sono stati anche osservati, con potenza simile, con la sperimentazione di un estratto base acquoso di radice a 100-200 mg/kg [26] ed in vitro, questi effetti, sono risultati significativi con a bassi dosaggi di estratto etanolico al 50%. [29] Ashwagandha sembra avere un effetto stimolante dose-dipendente sulle cellule Th1, e sia in grado di aumentarne il numero di recettori e le citochine che secernono (IFNy e IL-2). Questi effetti si evidenziano dose-dipendenti fino a dosaggi di 200 mg / kg (equivalenti nell’uomo a 32 mg/kg) dell’estratto di radice, e sembrano riferibili anche alla somministrazione orale di dosaggi standard di Ashwagandha. Sempre con l’estratto etanolico al 50% è stata osservata una diminuzione costante, nel range del 15,30% dell’IL-4 così come avviene per dosaggi di 0.1-100 ng ml di withanolide A isolato. [25] [30]29] Viene inoltre osservato, per gli estratti di Ashwagandha, un lieve effetto soppressivo sulle cellule Th2 tuttavia senza alcuna influenza significativa sulla loro funzione, solitamente valutata attraverso la citochina IL-4.

Razionali di attività antibatterica. Ashwagandha sembra essere moderatamente attivo nell’inibire Trichophyton mentagrophytes (valore MIC di 3.125 mg/ml), Staphylococcus aureus (valore MIC di 6,25 mg/ml) e il suo ceppo resistente alla Meticillina noto come MRSA (valore MIC di 12.5 mg/ml). [38] Nella tubercolosi polmonare, si sono ottenute risposte positive somministrando 500 mg di Ashwagandha due volte al giorno per 28 giorni insieme ai farmaci anti-tubercolosi standard (rifampicina, pirazinamide, ethambutol, isoniazide) [39]; nello studio si è notato un aumento significativo delle IgG e delle IgM nonché della conta totale dei globuli bianchi (monociti e eosinofili) senza influenzare neutrofili e linfociti, con una significativa riduzione della carica batterica rispetto al gruppo di controllo. [40]

 

Lo studio in breve 

Un recentissimo (agosto 2021) studio clinico disponibile in PubMed ha valutato gli effetti immunomodulatori di Withania somnifera Dunal sull’uomo. In questo studio randomizzato in doppio cieco, crossover, controllato con placebo, i soggetti sono stati assegnati a ricevere 60 mg di estratto di Withania somnifera o placebo per un periodo di 30 giorni in cieco e per altri 30 giorni successivi in aperto. Lo studio ha concluso che, dopo il periodo di trattamento di 30 giorni in cieco il gruppo di soggetti trattati ha riportato un aumento significativo (p < 0,05) delle Ig (IgA, IgM, IgG, IgG2, IgG3 e IgG4), delle citochine (IFN-γ, IL-4), di TBNK (cellule CD45+, CD3+, CD4+, CD8+, CD19+, NK) mentre le cellule TBNK del gruppo placebo hanno mostrato una diminuzione significativa (p <0,05) mentre le Ig e le citochine non hanno mostrato nessuna variazione (p > 0,05). Nel periodo di estensione dal giorno 30 al giorno 60, i soggetti che erano stati trattati con placebo hanno mostrato un aumento significativo (p <0,05) di Ig, citochine e cellule TBNK e i soggetti che erano stati trattati con Withania somnifera nei primi 30 giorni, hanno mostrato un ulteriore significativo miglioramento (p <0.05) nelle Ig, nelle citochine e nelle cellule TBNK. Non sono stati riportati eventi avversi nello studio. Lo studio ha concluso che l’estratto di Withania somnifera ha migliorato significativamente il profilo immunitario dei soggetti sani modulando le risposte immunitarie innata e adattativa sistemi immunitari. I risultati dello studio suggeriscono che gli estratti di Withania somnifera possono aiutare a rafforzare il sistema immunitario in soggetti a rischio di infezione e durante la diffusione le infezioni.

Premessa dello studio è la conoscenza che il sistema immunitario dei mammiferi (che agisce a tre livelli di difesa attraverso la barriera fisica, il sistema immunitario innato e il sistema immunitario adattativo) [41] risponda agli immunomodulatori che possono essere macroscopicamente classificati in immunostimolanti e immunosoppressori. Gli immunostimolanti migliorano i meccanismi di difesa dell’organismo e sono usati per prevenire infezioni comuni e oggi anche del cancro, mentre gli immunosoppressori sopprimono l’attività del sistema immunitario e prevengono ad esempio la risposta autoimmune e i rigetti nel trapianto d’organo. Gli immunomodulatori di origine vegetale, che sono numericamente rilevanti, rappresentano un promettente campo di ricerca. Tra questi, Ashwagandha (Withania somnifera o WS) è menzionato, sin dall’antichità, nel gruppo di farmaci Rasayana nella medicina tradizione dell’India ed è stato ampiamente studiato come agente immunomodulatore. Withania somnifera Dunal contiene principalmente withanolidi glicosilati che esercitano la loro azione immunomodulante mobilizzando e attivando i macrofagi e inducendo ad esempio la proliferazione negli splenociti murini. [42] È stato ipotizzato che quest’azione immuno-regolatoria cellulare fosse alla base dell’utilizzo come Rasayana in Ayurveda, e che WS potrebbe essere un promettente candidato tra i fito-farmaci per affrontare infezioni virali o microbiche agendo sull’immunità indotta per prevenire o controllare le infezioni. Il coinvolgimento delle cellule immuno-regolatrici da parte di estratti di WS potrebbe avere diverse funzioni, come la regolazione della presentazione dell’antigene e il controllo del microambiente immunosoppressivo insieme a un miglioramento del fisiologico ambiente delle citochine per una fisiologica funzione delle cellule T effettrici. [43]

Questo studio nello specifico è stato condotto per valutare gli effetti immunomodulatori di un estratto di WS, a confronto con placebo, in una popolazione sana di mezza età esposta a influenze ambientali e nel cambiamento stagionale. Questo studio che risulta essere uno dei pochissimi disponibili sugli effetti di WS sull’immunità nell’uomo ha una rilevanza significativa considerando la recente prevalenza di infezioni virali e microbiche in tutto il mondo. [44] Lo studio pilota monocentrico a braccio parallelo, controllato con placebo, in doppio cieco è stato condotto al PGH Hospital di Delhi. Lo studio è stato condotto con un periodo di trattamento di 30 giorni in cieco e con un periodo di estensione in aperto di altri 30 giorni. Nel periodo di estensione è avvenuto il cross-over tra i gruppi trattamento e placebo; in questa fase, nel gruppo originariamente trattato con WS non è stato somministrato placebo ipotizzando effetti di trascinamento degli effetti di WS. L’obiettivo primario dello studio è stato quello di determinare l’effetto immunomodulatore di WS alla fine del periodo di studio dei primi 30 giorni. [44] Per lo studio sono stati arruolati 24 soggetti sani, adulti, di sesso maschile e femminile, e di età compresa tra 45 e 72 anni secondo criteri di inclusione ed esclusione previsti dallo studio. I partecipanti non dovevano aver assunto integratori vitaminici/minerali/dietetici o erboristici 1 mese prima di essere arruolati nello studio e si sono impegnati a non utilizzare altri prodotti come vitamine, minerali, dietetici o erboristici fino al termine dello studio. Nel gruppo di intervento è stato somministrato un estratto etanolico in polvere di radici e foglie essiccate di Withania somnifera. I soggetti sono stati randomizzati a ricevere una dose giornaliera con una capsula da 180 mg che rendeva disponibile 60 mg di WS titolati per 21 mg di withanolidi glicosilati (trattamento) o un placebo (polvere di riso tostato) per 30 giorni in doppio cieco. Dopo la fine del periodo di studio dei primi 30 giorni in doppio cieco, lo studio è stato esteso per altri 30 giorni di trattamento (in aperto) in cui i pazienti trattati con placebo nei primi 30 giorni sono passati al gruppo di trattamento ed i pazienti del gruppo di trattamento hanno continuato l’assunzione del prodotto fino al termine dello studio. [44] Per la valutazione dei risultati sono stati raccolti i campioni di sangue per TBNK, citochine e immunoglobuline (campioni mattutini a digiuno) il giorno della randomizzazione, il 30° giorno (±2 giorni) di studio e al giorno 30 del periodo di estensione dello studio. I campioni di sangue per analisi biochimiche e di sicurezza sono stati raccolti allo screening, il 30° giorno (±2 giorni) di completamento dello studio e il 30° giorno di completamento dell’estensione. [44] Nello studio, tutti i 24 partecipanti selezionati sono stati randomizzati e arruolati nello studio. I partecipanti sono stati iscritti da metà agosto a metà dicembre con variazioni della temperatura nella regione da 34-27 °C a 22-9 °C.

L’analisi intragruppo delle immunoglobuline (Ig) indica che solo il gruppo che ha ricevuto l’estratto di Withania somnifera al posto del placebo ha mostrato un aumento significativo del livello di IgA, IgG2, IgG3, IgG4, IgG e IgM al giorno 30 dello studio. I livelli di tutte le Ig di tutti i partecipanti del gruppo placebo quando sono passati al gruppo di trattamento nel periodo di estensione hanno analogamente mostrato un aumento significativo. I partecipanti che hanno continuato a assumere Withania somnifera per il periodo totale di 60 giorni hanno avuto ulteriormente miglioramenti significativi di tutte le immunoglobuline. L’analisi di Bland-Altman ha indicato una differenza media (bias) tra i due periodi di trattamento (giorno 0-30 e giorno 30-60) in entrambi i gruppi; il dato è risultato statisticamente significativo (p <0.05) e clinicamente rilevante per l’aumento del livello di immunoglobuline nel gruppo trattato per entrambi i periodi. Il gruppo placebo non ha avuto un aumento statisticamente significativo alla fine dei primi 30 giorni, ma quando il gruppo placebo è passato al gruppo di intervento ha dimostrato variazioni statisticamente significative (p <0.05) e clinicamente rilevanti. [44]

L’analisi intragruppo delle citochine indica che il gruppo di trattamento ha mostrato un aumento significativo del livello di IFN (p < 0,001) e IL-4 (p = 0,047) alla fine dei primi 30 giorni di trattamento. I livelli di IFN e i livelli di IL-4 nei partecipanti che sono passati dal gruppo placebo al gruppo di trattamento nel periodo di estensione dello studio hanno mostrato un aumento significativo solo per IFN. I partecipanti che hanno continuato ad assumere il prodotto di trattamento per gli ulteriori 30 giorni non hanno dimostrato ulteriori aumenti significativi dei livelli di IL-4 e nessun ulteriore cambiamento significativo nei livelli di IFN. IFN e IL-4 erano simili tra i gruppi al basale e significativamente aumentati nel gruppo di trattamento solo alla fine dei primi 30 giorni. L’analisi di Bland Altman ha indicato una differenza media (bias) tra i due periodi di tempo (giorno 0-30 e giorno 30-60) in entrambi i gruppi. Questo dato era statisticamente significativo (p < 0,05) e clinicamente rilevante per l’aumento di IL-4 e IFN nel gruppo di trattamento per il primo periodo e non significativo per il secondo periodo. Il placebo non ha avuto un aumento statisticamente significativo per IL-4 e IFN nei primi 30 giorni ma quando il gruppo placebo è passato al gruppo di intervento ha mostrato un aumento statisticamente significativo (p < 0,05) e clinicamente rilevante per IFN ma non per IL-4. [44]

L’analisi intragruppo dei conteggi assoluti dei linfociti nel gruppo di trattamento indicava un aumento significativo del numero di CD45+, CD3+, CD4+, CD8+, CD19+ e cellule CD16+/CD56+ alla fine dei primi 30 giorni dello studio. Il gruppo placebo ha mostrato una significativa diminuzione di CD45+, CD3+, CD4+ e CD8+ e nessun cambiamento significativo di CD19+ e cellule CD16+/CD56+. I livelli di CD45+, CD3+, CD4+, CD8+, CD19+ e CD16+/CD56+ dei partecipanti passati dal gruppo placebo al gruppo di intervento nel periodo di estensione dello studio hanno mostrato un aumento significativo. I partecipanti che hanno continuato il trattamento per il totale periodo di 60 giorni hanno avuto un ulteriore aumento significativo dei loro valori di CD45+, CD3+, CD4+, CD8+, CD19+ e conta CD16+/CD56+. Il rapporto CD4+:CD8+ si è conservato durante lo studio nel gruppo di trattamento nel gruppo placebo alla fine del periodo di proroga. Un’analisi tra i gruppi ha rivelato che CD45+, CD3+, CD4+ e CD8+, CD19+ e CD16+/CD56+ erano simili tra i gruppi al basale e significativamente aumentati nel gruppo di trattamento alla fine dei primi 30 giorni dello studio. L’analisi di Bland-Altman ha indicato una differenza media (bias) tra i due periodi (giorno 0-30 e giorno 30-60) in entrambi i gruppi. Questo dato era statisticamente significativo (p < 0,05) e clinicamente rilevante per l’aumento del livello dei linfociti nel gruppo di trattamento in entrambi i periodi. Il placebo ha mostrato un effetto di diminuzione statisticamente significativo e clinicamente rilevante ad eccezione delle cellule CD19+ e NK, ma il gruppo placebo quando è passato al gruppo di trattamento ha avuto un aumento statisticamente significativo (p <0,05) ed è stato clinicamente rilevante. [44]

Le analisi biochimiche e di sicurezza indicano che nel gruppo di trattamento, c’è stato un aumento statisticamente significativo della conta piastrinica (p = 0,017), della conta assoluta dei neutrofili (p = 0,001), dei linfociti (p < 0,001) e dei leucociti (p < 0,001) alla fine del periodo dei primi 30 giorni dello studio mentre emoglobina, globuli rossi, ematocrito, eosinofili, basofili e monociti non presentavano differenze significative. Nel gruppo placebo le piastrine erano significativamente aumentate (p = 0,006) ma i linfociti significativamente diminuiti (p <0,001) e altri parametri CBC non hanno avuto alcun cambiamento significativo. Nei partecipanti che dal gruppo placebo sono passati al gruppo di trattamento c’è stato un significativo aumento medio di linfociti (p = 0.008) al termine del periodo di estensione di 30 giorni. Nei soggetti che hanno continuato con il trattamento si è verificato un aumento significativo dell’ematocrito (p= 0,021), dei conteggi di piastrine (p = 0,009), neutrofili (p < 0,001), monociti (p = 0,033), linfociti (p = 0,002), e leucociti (p <0,001) mentre il resto dei parametri CBC non ha avuto alcun significativo cambiamento. La creatinina sierica nel gruppo di trattamento è diminuita significativamente dopo 30 giorni (p = 0,020) e 60 giorni (0,007). Nessun evento avverso è stato riportato in entrambi i gruppi durante i periodi di studio. [44]

 

Considerazioni conclusive

Questo studio clinico pilota, randomizzato e controllato dimostra per la prima volta che un estratto di Withania somnifera standardizzato per withanolidi glicosilati possiede potenti proprietà immunostimolanti. Lo studio dimostra per l’estratto in questione l’attività di up-regolazione di Th2 come evidenziato dalla maggiore secrezione di IL-4 insieme all’espressione potenziata di Th1 (IFN-γ) suggerendo fortemente il ruolo positivo di WS in condizioni in cui è richiesta la modulazione Th1/Th2. Withania somnifera ha potenziato la proliferazione di CD4+/CD8+ senza alterarne il rapporto e le cellule NK insieme ad un’aumentata espressione di CD3+/CD19+/CD45+ e ad un aumento della circolazione di anticorpi e cellule che formano anticorpi. I risultati di questo studio dimostrano che WS grazie alla sua attività immunostimolante è una preziosa aggiunta in integratori a base di piante medicinali per il potenziamento dell’immunità. Questi effetti coinvolgono sia l’immunità innata che adattiva. Questo studio clinico è uno dei pochi disponibili che ha mostrato che un estratto di WS standardizzato per withanolidi glicosilati può aumentare entrambe le immunoglobuline, come risposta dell’immunità innata, ed aumenta IFN-gamma e linfociti T CD3+ e CD4+ nell’uomo. I risultati del presente studio sono coerenti con quanto dimostrato in precedenza in vivo, incluso un aumento dei livelli di espressione delle citochine T-helper 1 (Th1), così come della conta delle cellule T CD4+ e CD8+. Allo stesso modo, è emerso con evidenza nello studio un aumento significativo delle cellule CD3+, CD4+, CD8+, CD19+ e NK con 30 giorni di trattamento. Nello studio il livello di IFN-γ risulta aumentato nel gruppo WS rispetto al basale al giorno 30 e dal giorno 30 al giorno 60, l’aumento non è stato elevato nei livelli di IL-4 (intervallo normale IFN-γ (70–200 pg/ml), IL-4 (4–10 pg/ml). Ciò indica che nel gruppo trattato con WS, c’era una polarizzazione iniziale della risposta di tipo Th2 (IL-4) seguita da risposta di tipo Th1 (IFN-γ). Questi risultati suggeriscono che il gruppo di trattamento con Withania somnifera aveva dimostrato un’efficace risposta immunitaria di tipo Th2 (IL-4). L’aumento dei livelli di citochine è stato concomitante anche con un aumento dei linfociti B (CD19+). [44]

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Journal of clinical medicine, 10(16), 3644. PubMed.

Immunomodulatory Effect of Withania somnifera (Ashwagandha) Extract—A Randomized, Double-Blind, Placebo Controlled Trial with an Open Label Extension on Healthy Participants. 

Ajit Tharakan 1, Himanshu Shukla 2, Irin Rosanna Benny 3, Matthan Tharakan 4, Lekha George 5 and Santhosh Koshy 5

Author information:

(1) Department of Cardiothoracic Surgery, Oklahoma Heart Institute, University of Oklahoma College of Medicine, Tulsa, OK 73104, USA;
(2) Department of General Medicine, PGH Hospital, Uttam Nagar, New Delhi 110059, India;
(3) Department of Pathology, Christian Medical College, Vellore 632004, India;
(4) College of Engineering and Natural Sciences, Tulsa University, Tulsa, OK 74107, USA;
(5) Department of Medicine, Texas Tech Health Science University, Lubbock, TX 79430, USA.

 

Abstract

The immunomodulatory effect of Withania somnifera (WS) extract was tested in healthy adults. In this randomized placebo-controlled double-blinded study, subjects were allocated either 60 mg WS extract or placebo. It consists of a blinded 30-day period and an open-label extension study of another 30 days with crossover of only placebo to test. After the 30-day blinded study period, the WS test group reported significant increase (p < 0.05) in Ig’s (IgA, IgM, IgG, IgG2, IgG3 and IgG4), Cytokines (IFN-gamma, IL4), TBNK (CD45+, CD3+, CD4+, CD8+, CD19+, NK cells) whereas in the placebo group TBNK cells showed significant decrease (p < 0.05) and Ig’s and cytokines showed no change (p > 0.05). In the extension period on day 60, the subjects on placebo who were crossed over to the WS test group showed significant increase (p < 0.05) in Ig’s, cytokines and TBNK cells and the subjects who continued on the WS group showed a further significant improvement (p < 0.05) in Ig’s, cytokines and TBNK cells. There were no adverse events reported in the study. WS extract significantly improved the immune profile of healthy subjects by modulating the innate and adaptive immune systems. Boosting the immune system of people at risk of infection and during widespread infections can be targeted with WS extract.

Keywords: Withania somnifera; withanolide glycosides; immunomodulation; immunity; Th1–Th2 pathway.

Copyright © 2021 by the authors. Licensee MDPI, Basel, Switzerland.
PMID: 34441940
DOI: PMC8397213

 

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Newsletter Ayurveda nr. 67 – Giugno 2021

Newsletter n° «67»

Giugno 2021

PROFILI DI PRODOTTO: olio di Cocco


L’olio di Cocco: razionali d’impiego nel massaggio e per la salute.

 

La newsletter in breve

In Ayurveda l’olio di Cocco è tradizionalmente molto apprezzato come olio base per il massaggio, o come ingrediente di specifici Taila medicati, e trova prevalente indicazione nel massaggio per i disturbi di Pitta. L’olio di Cocco è tuttavia in generale molto diffuso e impiegato per la massoterapia in tutto il mondo, grazie a caratteristiche fisiche e farmacologiche che lo rendono un’eccellente sostanza a favore di nutrimento e la cura della pelle. In India l’olio di Cocco oltre che per il massaggio ayurvedico è tradizionalmente impiegato per scopi alimentari e medicinali. L’India è uno dei paesi tradizionalmente produttori e esportatori di olio di Cocco.

La newsletter, disponibile in forma estesa nel formato PDF sotto-scaricabile, offre una panoramica delle diverse tipologie di olio di Cocco oggi disponibili, delle moderne metodiche di produzione, raffinazione e deodorazione e delle relative caratteristiche qualitative. La newsletter si focalizza inoltre sui principali razionali medicamentosi dell’olio di Cocco e sulle caratteristiche che identificano l’olio di Cocco per l’uso dermocosmetico da quello per uso alimentare che viene comunemente sconsigliato, per il massaggio. Le argomentazioni della newsletter sono tratte da un’ampia monografia, interamente dedicata all’olio di Cocco, consultabile sul sito web aziendale di Benefica® all’indirizzo: https://www.benefica.it/fitoterapia/cocco-cocos-nucifera-l/. La monografia, riporta dettagliate informazioni, basate su evidenze scientifiche, sulle attuali e ricorrenti metodiche di produzione, estrazione, raffinazione e deodorazione dell’olio di Cocco oltre che sui suoi principali razionali medicamentosi ed etno-medicinali, sull’inquadramento ayurvedico, e sull’uso storico del Cocco e dell’olio di Cocco in India e nel mondo.

 

Inquadramento ayurvedico

In India la creazione della palma da Cocco, con la sua corona di fronde di foglie, viene attribuita al saggio Vishwamitra, per sostenere il suo amico re Trishanku quando quest’ultimo fu letteralmente “defenestrato” dal cielo da Indra per i suoi misfatti. [1,2] Nel villaggio di Vadakurungaduthurai, si crede che Lord Kulavanangeesar abbia preso la forma di un albero di Cocco per aiutare a placare la sete di una donna incinta. Nel Kerala, si crede che la dea Bhagavati sia l’anima dell’albero di Cocco; uno degli epiteti comuni della dea è Kurumba che significa “tenero Cocco”. Racconti popolari di tutte le altre aree narrano che il Cocco sia originato dalla testa di un morto. [3,4] I botanici pongono l’origine della palma da Cocco nella zona della Papua Nuova Guinea, in un passato molto lontano. [5] Harries (1990) sostiene che il paese d’origine del Cocco sia la Malesia e ha affermato che la diffusione delle specie “Cocos” sia originata dal Gondwanaland, supercontinente esistito in era neoproterozoica (circa 500 milioni di anni fa). Le teorie più recenti suggeriscono che il Cocco sia originario della Malesia o comunque di una regione biogeografica approssimativamente definita come l’area che comprende la sud-est asiatico, l’Indonesia, l’Australia, la Nuova Guinea e diversi gruppi di isole del Pacifico. Il subcontinente indiano e l’Asia meridionale, che sono importanti per la diversità delle piante coltivate in otto centri, sono ritenuti centri secondari di origine di Cocos nucifera. [6]

Il termine sanscrito narikela, che indica il Cocco, si ritiene essere una parola aborigena, derivata da due termini di origine sud-asiatica, niyor (olio) e kolai (noce). [7,8] La parola Tamil ‘nai’ indica un grasso semisolido e sembra derivare da parole come “ngai” e “niu” usate per indicare l’olio di Cocco in Polinesia e nelle isole Nicobare. [9] La radice dei nomi per il Cocco nelle lingue Tamil, Telugu, Malayalam e Kannada è “ten”, che significa sud, e “tenaki” significa il frutto della noce del sud. Allo stesso modo “tennaimaram-tengimara” indicherebbe l’albero che appartiene al sud, nella lingua Sri. Nella lingua Lanka analogamente il nome del Cocco deriva dalla radice “ten” cioè di provenienza del sud. Per questi motivi l’origine del Cocco viene ricondotta alle isole del Sud Pacifico-Malesia-Polinesia. I nomi locali del Cocco in Polinesia, in Melanesia (“niu”), Filippine e Guam (“niyog”) derivano dalla parola malese “nyur” o “nyor”. Questo fatto è spesso citato come prova che la specie ha avuto origine in regione malese-indonesiana. Amarkosha (500-800 d.C.) riporta alcuni sinonimi di Cocco come nariker, narikel, narikela e langalin. I resti fossili indicano che la pianta si è evoluta a partire da 20 milioni di anni fa, prima che l’uomo apparisse sulla terra. [10]

Narikela o palma da Cocco (Cocos nucifera L.) è uno degli alberi che si vedono quasi in tutto il mondo ed è l’unica specie vivente del genere Cocos. [11] Nelle antiche letterature indiane è adorato come Kalpavruksha che significa “albero che dà tutto” infatti la pianta della Cocco dà più prodotti di qualsiasi altro albero al mondo. In Ayurveda phala, moola, pushpa, kshira della sua phala, la polpa del frutto di Narikela sono usati come ingredienti in 53 formulazioni, che sono efficaci in più di 25 condizioni di malattia. La mitologia indiana dice che anche gli Dei hanno tengono Narikela in grande considerazione sottolineandone l’importanza tra tutte le specie del regno vegetale. È uno degli alberi più utili al mondo ed è spesso indicato come “l’albero di vita”. Fornisce cibo, carburante, cosmetici, medicine e materia prima per molti altri usi. La noce di Cocco è un elemento essenziale anche in molti rituali indù. Le parti principali utilizzate per scopi medicinali sono i frutti, i fiori, l’olio, l’acqua e la radice. [12]

L’acqua di Cocco e il nocciolo di Cocco contengono vari micronutrienti utili per la prevenzione delle malattie e il mantenimento di una buona salute. Riferimenti riguardanti Narikela si trovano nei testi classici dell’Ayurveda come Charaka samhitha, Susrutha samhitha, Ashtanga hrudaya, Kaiyadeva nighantu, Bhavaprakasa nighantu, Raja nighantu, Dhanwanthari nighantu ecc. In Charaka Samhitha è menzionato nel trattamento di Paithikachardi. In Chakradatta, Narikela è menzionato in Sula chikitsadhikaara. Bhavaprakasa menziona Narikela per il trattamento di Amlapitha. [11]

In Ayurveda il Cocco è presente in diverse formulazioni tradizionali come: Himasagarataila, Narikelakhanda, Narikelakshara, Narikelalavana, Narikelasava, Naracharasa, Loharasayanam, Laxmivilastailam.

Il valore medicinale del Cocco è noto in India fin dall’antichità. [13] Sushruta Samhita (c. 400 aC) menziona narikera in madhura varga e asava. [14] Si usa il Cocco in Ayurveda nei seguenti disturbi: nella febbre cronica [Vaidyamanorama – VD, 800-1000 d.C.]; gastrite acida [(Cakradatta – CD, 1055 d.C.); VD]; parinam sula (dispepsia non ulcerosa e dispepsia da ulcera peptica); screpolature dei piedi (Vrndamadhava); emicrania; calicosi (Bhavaprakasa); vermi; ferite; e vomito (Charaka Samhita, 700 a.C.). [15] L’acqua di Cocco, i fiori, olio, il latte e la cenere del Cocco hanno tutti usi medicinali. Attualmente il Cocco è comunemente usato nella medicina Ayurvedica, Siddha, e nei sistemi di medicina tibetana e unani. Il Cocco, nelle sue forme estrattive, agisce come antielmintico, antidoto, antisettico, afrodisiaco, astringente, battericida, depurativo, diuretico, emostatico, pediculicida. I diversi usi del Cocco sono ben esemplificati nel suo uso in Kerala come purgante, rinfrescante, stomachico, emostatico e per le proprietà suppurative e vermifughe. Il Cocco è stato usato come rimedio popolare per ascessi, alopecia, amenorrea, asma, blenorragia, bronchite, contusioni, ustioni, cachessia, calcolosi, raffreddore, costipazione, tosse, debilitazione, idropisia, dissenteria, dismenorrea, mal d’orecchi, erisipela, febbre, influenza, gengivite, gonorrea, ematemesi, emottisi, ittero, menorragia, nausea, tisi, gravidanza, eruzioni cutanee, scabbia, scorbuto, mal di gola, mal di stomaco, gonfiore, sifilide, mal di denti, tubercolosi, tumori, tifo, venereo malattie e ferite; [16][17] è anche ritenuto anti-blenorragico, antibronchitico, febbrifugo e anti-gengivitico. I fiori di Cocco sono commestibili; vengono mescolati con cagliata per i diabetici e vengono dati agli sposi novelli come afrodisiaco. [23] Ibn ha riferito che gli abitanti delle Maldive ottenevano incomparabile potenza erotica grazie al pesce e al Cocco e lo ha confermato dalla sua esperienza. [18] [19] La letteratura antica tuttavia vieta l’uso della pianta di Cocco insieme ad altre nove piante per lavarsi i denti. [20] Manucci nel 1694 scrive che “Piccoli cocchi (coquinhos) sono usati per i disturbi infantili come diarrea e ulcere della bocca. Le noci di dimensioni di 71–76 cm chiamati lanha sono pieni di acqua dolce e rinfrescante, usata nell’infiammazione del fegato, reni e vescica e per aumentare la minzione; l’uso del Cocco è antichissimo come rinfrescante “nella stagione del gran caldo”. [21] [19]

Nel sistema medico indiano l’acqua di Cocco è una cura specifica per lo squilibrio di pitta (biliosità) (Sushruta Samhita) e BVP (Brahmavaivartapurana). [20] [15] Il succo del Cocco giovane è dotato di diverse proprietà medicamentose ed è usato nella medicina popolare per la guarigione per una serie di disturbi: alleviare febbre, mal di testa, disturbi di stomaco, diarrea e dissenteria. Il succo è anche impiegato per rafforzare il cuore e ridare energia ai malati. Le donne in gravidanza, ai tropici, bevono grandi quantità di succo di Cocco giovane perché credono che darà ai loro bambini forza e vitalità. L’acqua e la polpa delle noci di Cocco giovani contengono l’intera gamma di vitamine del gruppo B, con l’eccezione di B6 e B12. L’acqua di Cocco giovane è anche ricca di minerali, in particolare calcio (per le ossa), magnesio (per il cuore) e potassio (per i muscoli). Una noce di Cocco giovane media fornisce 3 grammi di fibra alimentare che aiuta la corretta digestione ed evacuazione. L’acqua di Cocco fresco è molto ricca di elettroliti in quantità molto superiore alla maggior parte delle bevande sportive. Per questo motivo l’acqua di Cocco è un’ottima scelta per atleti e bambini. L’acqua di noci di Cocco giovani è completamente sterile e può essere trasfusa direttamente al sangue umano e per questi motivi è stata regolarmente utilizzata durante la seconda guerra mondiale per i soldati feriti quando il plasma sanguigno non era disponibile. L’acqua di Cocco con pasta di sandalo viene utilizzata per i bagni. [22] Il latte di Cocco viene utilizzato in Kerala e in alcune zone del Tamil Nadu come cura efficace per le punture da fico d’India. [23] L’olio di Cocco è anche utilizzato in farmaci tradizionali, ad esempio, per l’eczema (con spicchi d’aglio schiacciati nell’olio) o ustioni [con erba hariali (Cynodon dactylon)]. L’olio di noce di Cocco mescolato con foglie essiccate in polvere di santha buthi è usato per curare le ustioni. [23] Una pasta a base di foglie di ratan jot in polvere è altrettanto molto efficace nella cura delle ustioni. Foglie di curry bollite in olio di Cocco producono un ottimo tonico per capelli per stimolarne la crescita e la pigmentazione. [23] In Karnataka, l’olio e il latte di Cocco vengono utilizzati in pre e post-partum. La pratica indigena usa l’olio di Cocco durante l’edema pre-parto e riso cotto nel latte di Cocco con zucchero o sagù per aumentare la galattogenesi. [24] Alcuni studi concludono che le persone che consumano l’olio di Cocco ogni giorno hanno un tasso metabolico più elevato e una migliore una magra massa corporea rendendolo quindi un ottimo alimento per le donne in menopausa.; altri studi concludono che le popolazioni della Polinesia e dello Sri Lanka, dove le noci di Cocco sono fanno parte della dieta, non soffrono di ipercolesterolemia ed hanno una bassa incidenza di malattie cardiache. Si crede che il toddy al Cocco (noto anche come vino di Cocco) sia favorevole per la salute in particolare per la vista ma funge anche da sedativo, leggero lassativo contro la stitichezza e viene prescritto come tonico per chi si sta riprendendo da malattie come la varicella. L’olio extra vergine di Cocco e il latte di Cocco sono facilmente e rapidamente assimilabili dal corpo a causa della catena corta e media degli acidi grassi e non vengono immagazzinati come grasso nel corpo a differenza di quello che avviene per i trigliceridi a catena lunga di prodotti animali. La cenere del guscio maturo del frutto è mescolata con calce e applicata sulla tigna. [25] La cenere della fibra della buccia del frutto di Cocco viene utilizzata per curare i vecchi casi di malattia di Pyle. Il paziente deve prendere questa cenere al mattino insieme alla cagliata in misura di un cucchiaino per un numero di giorni pari agli anni di malattia.

Lo zucchero di Cocco è classificato come a basso indice glicemico ed è considerato più sano rispetto allo zucchero bianco e di canna tradizionale e può essere usato come sostituto dello zucchero per caffè, tè, dolci da forno e in cucina. Lo zucchero della noce di Cocco ha un alto contenuto di minerali ed è una ricca fonte di potassio, magnesio, zinco e ferro; oltre a questi elementi contiene vitamine B1, B2, B3 e B6. Rispetto allo zucchero di canna, lo zucchero di Cocco contiene il doppio del ferro, una quantità quattro volte superiore di magnesio, e oltre 10 volte la quantità di zinco.

 

L’olio di Cocco nell’uso quotidiano

L’olio di Cocco ha molte applicazioni, principalmente per la salute e bellezza. L’olio di Cocco è inoltre particolarmente apprezzato per il massaggio ayurvedico. Innanzitutto, l’olio di Cocco può aiutare a proteggere la nostra pelle dai raggi UV raggi quando applicato topicamente. Uno studio ha dimostrato che l’olio Cocco è in grado di bloccare il 20% dei raggi UV emessi dal sole. [26] Si stima che il fattore di protezione solare di l’olio di Cocco sia 7. [26] Poiché l’olio di Cocco contiene trigliceridi a catena media, quando assunto per via orale, può aumentare il nostro tasso metabolico poiché questi acidi grassi possono essere assorbiti rapidamente e aumentare il numero di calorie bruciate. [26] [27] Alcuni studi hanno dimostrato che gli acidi grassi possono aumentare significativamente il nostro tasso metabolico temporaneamente. [27] [28] [29] Una media di 120 cal. può essere bruciato in un periodo di 24 ore quando si assumono 15-30 g di trigliceridi a catena media. [27] [30] Poiché più dell’80% dei grassi nell’olio di Cocco è saturo, l’olio di Cocco è adatto per essere usato per la cottura ad alta temperatura. I grassi saturi manterranno la loro struttura anche ad alte temperature a differenza dei degli acidi grassi polinsaturi presenti negli oli vegetali. [31] L’olio di Cocco l’olio è anche in grado di favorire la nostra salute dentale poiché distrugge batteri come lo Streptococcus mutans ed in generale i batteri che causano molte malattie dentali, come carie e malattie gengivali. Un risciacquo con olio di Cocco per 10 min., riduce i batteri nella nostra bocca quanto il risciacquo con un collutorio antisettico. [27] [31] Le proprietà antimicotiche e antibatteriche dell’olio di Cocco lo rendono un ottimo balsamo per le ferite. Uno studio ha concluso che quando i ratti venivano trattati con olio di Cocco sulle ferite, i marker infiammatori venivano diminuiti con un aumento della produzione di collagene che ha portato una maggiore velocità di guarigione della ferita. [27] [32] L’assunzione orale di olio di Cocco ha anche dimostrato di esercitare un forte effetto antinfiammatorio come dimostrato su diversi animali. È ipotizzato che nell’uomo l’assunzione orale di olio di Cocco determinerebbe una riduzione dei marcatori dello stress ossidativo stress e dell’infiammazione. [27] [33-35] Per applicazioni legate alla bellezza, l’olio di Cocco è in grado di idratare la nostra pelle quando applicato esternamente, specialmente per gli arti. [27] Si sconsiglia tuttavia l’applicazione sul viso per chi ha la pelle grassa mentre la riparazione dei talloni screpolati è possibile con l’uso di olio di Cocco. [27] Uno studio ha confrontato gli effetti dell’olio di Cocco, dell’olio minerale e dell’olio di girasole su capelli. Solo l’olio di Cocco ha mostrato effetti significativi sui capelli in quanto ha ridotto la perdita di proteine dai capelli, se applicato prima o dopo lo shampoo; questo vale sia per i capelli sani che per quelli danneggiati. [27] [36] L’olio di Cocco può essere utilizzato anche come struccante in quanto riesce a rimuovere anche il mascara più resistente. Per usi diversi dalla salute e dalla bellezza, viene utilizzato l’olio di Cocco in repellenti non tossici per insetti. Combinando oli essenziali con olio di Cocco, si ottiene un repellente per insetti che è in grado di fornire oltre il 98% di protezione dalle punture di alcune zanzare. [27] [37] L’olio di Cocco è adatto anche come smacchiatore quando mescolato con la stessa quantità di bicarbonato di sodio. La miscela applicata sulla macchia è in grado di rimuoverla dopo 5 minuti. [27] Le forti proprietà antibatteriche del Cocco olio lo rendono adatto per essere trasformato in deodorante. L’olio di Cocco può essere miscelato con altri ingredienti naturali, come la fecola di maranta, amido di mais, bicarbonato di sodio e olio profumato per ottenere un deodorante naturale. [27] L’olio di Cocco è anche usato come un lucido per mobili in legno. Agisce anche come repellente per la polvere dopo averlo applicato su mobili in legno. Inoltre conferisce un aroma gradevole e delicato. [27] Si può anche usare l’olio di Cocco per altri preparati di uso quotidiano di uso come dentifrici, scrub per le labbra, scrub corpo e crema da barba, detergenti per la persona.

 

L’olio di Cocco per il massaggio e per la pelle

Per il massaggio, anche per quello ayurvedico, in genere vengono preferiti gli oli di Cocco raffinati (RBD) nella loro forma profumata o deodorata. Questi oli, quando di buona qualità, garantiscono un eccellente profilo organolettico ai fini salutistici/medicamentosi e della sicurezza d’impiego; gli oli RBD risultano preferibili per il massaggio poiché la raffinazione fisica consente di eliminare quasi totalmente i trigliceridi a catena lunga che rendono l’olio di Cocco vergine molto scivoloso da usare.

Un olio di Cocco RBD di buona qualità per il massaggio dovrebbe derivare da una “prima” o “seconda” estrazione meccanica a “freddo” (cioè a temperatura controllata) della Copra, in assenza di solventi. La metodica d’estrazione preferibile è quella della spremitura secondo il principio della pressatura idraulica che consente condizioni di estrazione (temperatura e pressione) controllate mentre l’estrazione con espulsori ad alta pressione espone l’olio a temperature molte elevate che ne possono deteriorare la composizione organolettica causando, ad esempio, la perdita di tutte le vitamine termolabili. L’olio di Cocco per il massaggio dovrebbe essere raffinato (deodorato o sbiancato) con metodiche fisiche e non chimiche poiché l’impiego di solventi o sostanze chimiche per l’estrazione o la raffinazione influenzano la composizione naturale dell’olio, e se ne ritrovano quantitativi, pur modesti, nel prodotto finito. La raffinazione fisica migliora la capacità antiossidativa dell’olio finito e rimuove da esso sostanze potenzialmente irritanti; la raffinazione fisica migliora la conservabilità dell’olio.

L’olio di Cocco, nella sua forma raffinata è molto apprezzato per il massaggio del corpo in più paesi del mondo e si pone al primo posto fra gli oli lenitivi emollienti e rinfrescanti, non a caso è conosciuto ed utilizzato da sempre nelle zone più calde del pianeta. Nutre a fondo la pelle rendendola più elastica, è adatto alla cura della pelle secca, fragile, arrossata e screpolata. È un noto veicolo ed olio di base utilizzato come ingrediente principale per importanti oli ayurvedici tradizionali dedicati in particolare alla testa ed ai capelli. In Asia è ampiamente diffuso sia come olio da massaggio per il corpo e per la cura dei capelli che per massaggi quotidiani ai bambini. L’olio di Cocco è adatto anche come olio solare, essendo leggermente protettivo; inoltre mantiene l’umidità della cute ed è per questo particolarmente lenitivo ed indicato per pelli secche. Ottimo è il suo utilizzo durante la stagione calda, poiché la sua natura è rinfrescante e viene assorbito bene dalla pelle senza lasciare sensazione di untuosità.

L’olio di Cocco raffinato si dimostra particolarmente efficace per la massoterapia grazie al fatto che è facilmente assorbito e ben tollerato dalla maggior parte dei tipi di pelle e favorisce il recupero nei problemi muscolari come dolore e spasmi. A differenza dell’olio di Cocco vergine che può essere molto scivoloso da usare, l’olio raffinato, in cui vengono quasi eliminati i trigliceridi a catena lunga, consente al terapista di ottenere una trazione più profonda e migliore con tratti più brevi e aiuta ad alleviare gli spasmi muscolari ostinati e lenire i muscoli infiammati. [41] Nel massaggio si sfruttano inoltre le proprietà antibatteriche, antinfiammatorie e antiossidanti dell’olio di Cocco che inoltre fornisce un’efficace barriera cutanea e favorisce la guarigione delle ferite. L’olio di Cocco offre il vantaggio di essere facilmente assorbito dalla pelle idratandola e senza ungerla. Un olio di Cocco di alta qualità verrà assorbito dalla pelle dando al terapeuta un ottimale “scivolamento ” nel massaggio e lascerà il paziente non unto alla fine di un massaggio. A causa dell’attrito e del calore che si generano durante un massaggio, molti oli possono cambiare durante il processo ma l’olio di Cocco non si secca e non diventa appiccicoso. A livello pratico l’olio di Cocco non macchia le lenzuola del lettino da massaggio e ha poco o nessun aroma, il che è un vantaggio per i pazienti che potrebbero avere un olfatto sensibile.

L’olio di Cocco contribuisce alla costruzione della barriera lipidica della pelle e aiuterà a prevenire la disidratazione. Un significativo studio pubblicato da Food and Chemical Toxicology nel 2017 si è focalizzato sugli effetti dell’olio di Cocco sulla pelle umana; i risultati in particolare confermano che l’olio di Cocco “contribuisce alle funzioni di barriera protettiva” e che possiede un effetto antinfiammatorio; [42] per questo motivi l’olio di Cocco può essere impiegato per affrontare efficacemente il problema della pelle secca, l’infiammazione e la cellulite o per il problema della disidratazione cronica. “Grazie alla sua capacità di costruire la barriera lipidica, l’olio di Cocco è ottimo per il trattamento delle smagliature” e per prevenirle durante la gravidanza “applicando l’olio sui fianchi e sulla pancia e, man mano che la gravidanza progredisce, anche sull’area del busto”. L’olio di Cocco risulta inoltre utile nell’invecchiamento (anti-aging per la pelle) poiché aiuta le fibre di collagene rafforzandole. L’olio di Cocco ha un generale impatto benefico sulle parti esterne del corpo come la pelle ad anche i capelli. Le persone che vivono ai tropici hanno usato l’olio di Cocco come idratante naturale da secoli.

Anche nella medicina ayurvedica l’olio di Cocco è stato usato per trattare numerosi disturbi della pelle, inclusa la guarigione delle ferite, e le infezioni microbiche come confermato anche da uno studio che ha dimostrato l’effetto benefico dell’olio di Cocco nella guarigione delle ferite cutanee nei ratti. [32] L’olio di Cocco può essere applicato come rimedio per curare il dolore delle ustioni. [34]

Uno studio comparativo condotto per determinare l’efficacia dell’olio di Cocco e dell’olio minerale come terapeutici idratanti nella xerosi da lieve a moderata ha dimostrato che entrambi gli oli avevano una notevole capacità di idratazione sulla pelle e aumentavano i livelli lipidici della superficie cutanea. La scala di classificazione della xerosi da parte degli investigatori e le scale analogiche visive utilizzate dai pazienti hanno mostrato maggiore miglioramento con l’olio di Cocco rispetto all’olio minerale. [43] Risultati analoghi sono stati confermati in un altro studio del 2019. [44] Uno studio ha dimostrato che l’olio di Cocco, grazie all’unicità della sua composizione chimica, impiegato per uso topico, dimostra buoni effetti nella gestione della dermatite atopica grazie ai sui effetti antiossidanti, antinfiammatori, antibatterici, cicatrizzanti e idratanti; [45] è stato dimostrato che il processo di sonificazione (estrazione ad ultrasuoni) dell’olio di Cocco aumenta la sua capacità di conferire idratazione ed elasticità alla pelle. [46]

 

Azione dell’olio di Cocco sui capelli

È stato dimostrato che l’olio di Cocco ha una forte affinità per le proteine dei capelli e penetra facilmente nel fusto del capello grazie al suo basso peso molecolare e catena lineare diritta. [47] In particolare uno studio ha confrontato l’olio minerale, l’olio di Cocco e l’olio di girasole nella prevenzione dei danni ai capelli e ha dimostrato che l’olio di Cocco è stato l’unico olio, usato come pre-lavaggio e post-lavaggio, che ha ridotto nettamente la perdita di proteine in capelli danneggiati e non danneggiati; questa azione è stata ricondotta all’elevata composizione di acidi grassi dell’olio di Cocco ed in particolare all’acido laurico, che è il principale acido grasso, e che fa sì che l’olio di Cocco arricchisca i capelli più degli altri oli testati. [47] Ruetsch et al. [47] hanno studiato la penetrazione dell’olio di Cocco e dell’olio minerale nelle fibre dei capelli umani. Lo studio ha mostrato una maggiore penetrazione dell’olio di Cocco rispetto all’olio minerale; questa caratteristica dell’olio di Cocco viene ricondotta alla sua natura polare per la presenza MCFA e per una certa quantità di MCT. Inoltre l’olio di Cocco è rappresentato principalmente un trigliceride dell’acido laurico che ha un peso molecolare più basso (inferiore a 1000 Da) che gli permette di penetrare facilmente nel fusto del capello. Questo studio ha dimostrato inoltre che l’olio di Cocco fornisce ai capelli migliori protezione all’affaticamento dei capelli generato dal lavaggio.

 

Azioni farmacologiche dell’olio di Cocco

– Azione antimicrobica. Numerosi studi scientifici confermano l’azione antibatterica, antivirale e antimicotica dell’olio di Cocco e dei suoi metaboliti ed in particolare dell’Acido laurico, dell’Acido caprico e della Monolaurina. L’olio di Cocco dimostra di capacità di disintegrare i lipidi di membrana dei microorganismi così come l’involucro dei virus (come dimostrato in vitro in virus RNA e DNA umani); la monolaurina e l’acido laurico dimostrano di inibire la crescita di S. aureus con meccanismi distruttivi delle pareti cellulari batteriche. [48] [49] [50] I metaboliti dell’olio di Cocco sono noti per produrre diversi effetti, sulle membrane, che portano ad alterazione delle funzioni delle cellule dei patogeni influenzando il segnale trasduzione per blocco di promotori, disaccoppiando i sistemi di energia, alterando lo stato respiratorio e alterando l’assorbimento di aminoacidi. In uno studio di confronto dell’azione di acidi grassi saturi (da C10 a C18) contro l’infezione da virus Junin (JUNV), Bartolotta e collaboratori [51] hanno dimostrato che l’acido laurico altera la distribuzione cellulare delle proteine del virus e porta a un blocco nell’assemblaggio e/o germogliamento della progenie virale. L’acido laurico dimostra di inibire il legame dei patogeni con cellula ospite; l’acido laurico non influenza la sintesi proteica della membrana dei patogeni, ma impedisce il legame delle proteine di membrana con la membrana della cellula ospite. È documentato [52] che la presenza di acido laurico inibisce la produzione della stomatite vescicolare infettiva da virus in modo dose-dipendente e anche in modo reversibile perché, dopo la rimozione di acido laurico, l’effetto antivirale è scomparso.

– Azione antiossidante e antinfiammatoria dell’olio di Cocco. I radicali liberi influenzano negativamente le biomolecole come proteine, lipidi e DNA e innescano lo stress ossidativo. Gli antiossidanti sono composti in grado di ritardare o inibire il processo di ossidazione eliminando i radicali liberi. [53] Diversi studi sono stati eseguiti per analizzare la proprietà antiossidante di oli vegetali altamente consumati compreso l’olio di Cocco. Uno studio comparativo di Janu et al. [54], condotto per indagare il contenuto fenolico totale e il potenziale antiossidante di oli vegetali comunemente consumati, (olio di Cocco (CNO), olio di girasole (SFO), olio di crusca di riso (RBO), olio di arachidi (GNO), olio di sesamo (SESO) e olio di senape (MO)), ha mostrato il seguente ordine di potenza: GNO > CNO > RBO > MO > SFO > SESO, e lo studio ha rivelato che GNO, CNO e RBO avevano una maggiore potenza nei confronti dei radicali liberi. Tra i vari oli di Cocco il F-VCO e H-VCO (olio extra vergine di Cocco) hanno mostrato un maggiore effetti scavenging sui radicali e una maggiore attività di inibizione. [55] L’olio di Cocco dimostra la capacità di aumentare gli enzimi antiossidanti e di riduzione della perossidazione lipidica. Nevin e Rajamohan [56] hanno ulteriormente confermato gli effetti dell’olio di Cocco sulla perossidazione lipidica sia in vitro che in vivo. Oltre all’attività antiossidante l’olio di Cocco dimostra attività antinfiammatoria. L’infiammazione coinvolge molti processi del sistema immunitario; per esempio, nelle risposte infiammatorie croniche ed acute, la componente immunologica delle cellule viene attivata in risposta ad organismi estranei o antigeni. [34] Alcuni studi hanno dimostrato che l’olio di Cocco tende ad aumentare gli enzimi antiossidanti e a diminuire l’espressione di sostanze infiammatorie come COX-2, iNOS e IL-6. Intahphuak et al. [34] hanno riportato che un dosaggio di 4 mg (20 μL) -1 di olio di Cocco ha mostrato moderati effetti antinfiammatori sull’edema dell’orecchio indotto da fenilpropionato nei ratti. Tuttavia, l’efficacia dell’olio di Cocco non era superiore a quello del farmaco standard indometacina. Zakaria et al. [57] utilizzando modelli in vivo hanno osservato che l’olio di Cocco riduce efficacemente l’infiammazione acuta, mentre, in modelli cronici, è risultato essere meno efficace.

– Altre azioni farmacologiche dell’olio di Cocco. All’olio di Cocco vengono attribuite altre azioni farmacologiche e nutraceutiche come quelle pro immunitarie [58] ipocolesterolemizzanti e cardioprotettive, [58] antiobesità, [58] antitumorali, chemio protettive [58] anti epatosteatosiche. [58]

 

Sicurezza d’uso

La letteratura scientifica disponibile conferma la sicurezza d’uso tradizionalmente nota dell’olio di Cocco rispetto al quale tuttavia sono sporadicamente descritte reazioni avverse cutanee soggettive per cui, come per qualsiasi olio vegetale, sarebbe utile procedere con le consuete prove di tollerabilità cutanea prima dell’uso abbondante dell’olio. L’olio di cocco, ottenuto dal frutto di cocco essiccato, è composto per il 90% da trigliceridi saturi. Può agire come ingrediente profumato, agente condizionante per capelli o agente condizionante per la pelle ed è contenuto in numerosissimi cosmetici a concentrazioni da dallo 0,0001% al 70%. In relazione alla presenza nell’olio di acidi grassi e delle loro forme idrogenate, dei corrispondenti alcoli grassi, degli esteri semplici, di sali inorganici di solfati dell’olio di cocco, l’olio di cocco e i relativi ingredienti risultano sicuri come ingredienti cosmetici nelle normali pratiche d’uso nelle concentrazioni e nei dosaggi raccomandati. [59] L’olio di Cocco, per uso alimentare, risulta sicuro per la maggior parte delle persone se usato nelle quantità comunemente impiegate. Risulta anche essere sicuro quando applicato sul cuoio capelluto in combinazione con altre erbe. La sicurezza dell’olio di cocco utilizzato per via orale in quantità medicinali è sconosciuta. Gravidanza e allattamento: l’olio di cocco è sicuro per donne in gravidanza e che allattano se usato nelle quantità normalmente presenti nella dieta ma la sicurezza dell’uso l’olio di cocco in quantità maggiori non è nota.

 

Tipologie di olio di cocco

Esistono quindi attualmente sul mercato diverse tipologie di olio di Cocco di cui le più comuni sono:
– Gli oli vergini di Cocco (generalmente indicati come VCNO oppure VCO) che nella loro migliore qualità derivano da latte di Cocco (processo a umido) ma possono derivare anche per spremitura da Copra (processo a secco) e meno comunemente da polpa fresca di Cocco, tuttavia non devono subire nessun tipo di raffinazione. Poiché non esiste un unico metodo specifico di preparazione dell’olio di Cocco è stato stabilito che tutti i tipi di olio che non subiscono raffinazione (ed alterazioni) sono considerati vergini; quest’olio è generalmente molto costoso ed è prevalentemente prodotto per l’uso alimentare a crudo o nutraceutico; [60] [61] l’olio vergine o extra-vegine di Cocco non risulta particolarmente indicato per il massaggio poiché risulta molto scivoloso.
– Gli oli raffinati di Cocco (generalmente indicati con RBD-CNO o semplicemente RBD per indicare un olio di Cocco sbiancato e/o raffinato e/o deodorato), che derivano generalmente da Copra con diverse procedure (spremitura o estrazione con espulsori ad alta pressione) e da diversi stadi di spremitura o espulsione (per gli oli di buona qualità la prima o la seconda estrazione); questi oli vengono comunemente sottoposti a raffinazione (compreso sbiancamento e deodorazione); le metodiche di raffinazione possono essere chimiche o fisiche; gli oli di Cocco raffinati di buona qualità vengono comunemente raffinati con metodiche fisiche. Questi oli possono essere impiegati sia per uso alimentare che dermocosmetico e sono quelli più comunemente impiegati per il massaggio nella loro forma anche deodorata.
– Altre produzioni di olio di cocco grezzo non raffinato (U-CNO) impiegato per diversi usi (industriali, alimentari, dermocosmetici) [62] ed altre tipologie di olio di Cocco come il TCO (olio di Cocco di testa, estratto con l’alcol isopropilico dalle sottile membrana marrone presente tra esocarpo ed endosperma del cocco) che è in realtà un sottoprodotto della preparazione dell’olio di Cocco oppure l’olio di Cocco ottenuto dai residui del latte di Cocco (Metodo Bawalan-Masa) impiegato in origine per la primaria produzione “a umido” del pregiato olio di cocco vergine o extra vergine.

 

Qualità dell’olio di cocco

Numerosi studi scientifici suggeriscono l’ideale profilo qualitativo dell’olio di Cocco sulla base del relativo profilo definito da principali parametri chimico fisici (contenuto in acidi grassi insaturi, acidi grassi saturi, lipidi, tocoferoli, etc. ) che dipendono da diversi fattori come la varietà genetica del Cocco impiegato, le procedure pre-estrattive su di essa (essicazione della Copra o trattamento del latte di Cocco), le metodiche di estrazione (a “secco o a “umido”) , le metodiche di raffinazione (fisiche o chimiche) e le possibili procedure di deodorazione.

L’olio di Cocco di buona qualità in genere rispetta i parametri fisici e chimici stabiliti dai disciplinari di produzione dei vari Paesi di origine.

– Caratteristiche fisiche dell’olio di Cocco. L’olio di Cocco è un liquido incolore a una temperatura di 30°C o superiore. Solidifica ad una temperatura di 25°C. L’olio di Cocco solidificato è di colore bianco. L’olio di Cocco non raffinato raggiunge il punto di fumo ad una temperatura di 170 °C mentre l’olio di Cocco raffinato raggiunge il punto di fumo a 232°C. L’olio di Cocco ha un tipico odore di Cocco solo se non è raffinato, sbiancato o deodorato. L’olio della noce di Cocco formerà una miscela omogenea bianca una volta mescolato con acqua e agitato. Senza agitazione, l’olio di Cocco risulta insolubile in acqua. [63] [64] L’olio di Cocco vergine deve essere quasi incolore, privo di sedimenti, con aroma naturale di Cocco fresco e privo di odori e gusti rancidi. In assenza di un rapporto di analisi di laboratorio, la qualità dell’olio vergine di Cocco può essere valutato attraverso la valutazione sensoriale testando i seguenti attributi: Colore: l’olio di Cocco vergine ha un aspetto limpido. Sulla base degli studi condotti il colore dell’olio viene alterato o da contaminanti nell’olio o da lavorazione ad alta temperatura e contaminazione microbica della polpa di Cocco prima dell’estrazione dell’olio. Dipendendo dal tipo di microrganismi che causano la contaminazione, il colore dell’olio può apparire giallo scuro o rosa o rosso-arancio. Aroma: olio di Cocco vergine di buona qualità non ha odore rancido ma un aroma dolce di Cocco che può variare da lieve a intenso a seconda del processo utilizzato per l’estrazione. Gusto: un olio di Cocco vergine di buona qualità non dovrebbe avere sapori sgradevoli o un sapore aspro. Non dovrebbe causare alcun prurito alla gola quando ingerito in quanto questa è un’indicazione che il contenuto di acido grassi liberi è già superiore allo standard prescritto. [65] Il grado di saturazione e la lunghezza della catena di carbonio di gli acidi grassi che compongono un particolare grasso o olio determina le sue proprietà, gli usi corrispondenti e i suoi effetti sulla salute. Più il grasso è saturo e più lunga è la catena, più duro è il grasso e più alto è il punto di fusione. L’olio di Cocco è unico tra i grassi e gli oli, poiché contiene la più alta percentuale di acidi grassi a catena media (MCFA) con una lunghezza della catena di carbonio da 8 a 12 atomi di carbonio. Il VCO si comporta e metabolizza in modo diverso nel corpo umano rispetto ad altri grassi saturi oli insaturi. GLI MCFA nell’olio di Cocco sono circa il 64%, con l’acido laurico (C12) che risulta il più elevato, in percentuale dal 47 al 53% a seconda della varietà di Cocco. La proprietà fisica più significativa dell’olio di Cocco è che a differenza della maggior parte dei grassi, non mostra uno scioglimento graduale con l’aumento della temperatura, ma passa piuttosto bruscamente da una fase solida ad una liquida in un intervallo di temperatura ristretto, similmente al burro di cacao. [66]

Caratteristiche chimiche dell’olio di Cocco. I componenti principali dell’olio di Cocco sono gli acidi grassi saturi che sono circa il 94%, con circa il 62% di acidi grassi a catena media. [67] L’olio di Cocco contiene principalmente trigliceridi saturi, con acidi a catena media (acidi laurico e miristico) predominanti. [68] I trigliceridi sono rappresentati prevalentemente da acidi grassi a catena media – C8 (caprilico) e C10 (caprico)- e il principale acido grasso nell’olio di Cocco, l’acido laurico (C12), può essere classificato sia come acido grasso a catena media o a catena lunga. In termini di digestione, l’acido laurico si comporta più similmente a un acido grasso a catena lunga perché in maggioranza (70-75%) è assorbito con i chilomicroni rispetto al 95% degli acidi grassi a catena media viene che assorbito direttamente nella vena porta. Gli acidi grassi a catena media sono elettroliti deboli e sono altamente ionizzati a pH neutro che aumenta la loro solubilità. [69] In un campione di 100 g di olio di Cocco, sono contenuti 41,84 g (laurico) acido grasso saturo C12 (laurico), 16,65 g di acido grasso saturo C14 (miristico), 8,64 g di acido grasso saturo C16 (palmitico), 6,80 g di acido grasso saturo C8 (caprilico) e 2,52 g di acido grasso saturo C18 (stearico). L’olio di Cocco contiene generalmente anche triacilgliceroli (composti esterificati di acidi grassi) e altri componenti in quantità minore come fosfolipidi, steroli, tocoferoli e sostanze volatili. Ogni 100 g di olio di Cocco sono contenuti 99,06 g di grasso totale, 1 mg di calcio, 0,05 mg di ferro, 0,02 mg di zinco, 0,3 mg di colina, 0,11 mg di vitamina E. [70] Il contenuto di umidità dell’olio di Cocco varia con il metodo di estrazione utilizzato per ottenerlo. Ad esempio, l’olio di Cocco ottenuto dalla copra di Cocco avrà significativamente un contenuto di acqua inferiore a quello ottenuto dal Cocco fresco. L’olio estratto con metodi che comportano il riscaldamento possiede un contenuto di umidità inferiore rispetto a metodi di non esposizione al calore. Tra gli oli vegetali l’olio di Cocco è lento ad ossidarsi quindi resiste all’irrancidimento, con conseguente durata di conservazione più lunga. [67]

 

La produzione dell’olio di Cocco

L’olio di Cocco accompagna l’uomo da millenni non solo per scopi medicinali ma anche alimentari e, più recentemente, nutraceutici. È la storia che ci tramanda le metodiche tradizionali della produzione dell’olio di Cocco che variano a seconda della tradizione produttiva dei paesi di origine come ad esempio l’India o le Filippine; ai giorni d’oggi la crescente richiesta mondiale di olio di Cocco ha reso necessarie produzioni su larga scale che tuttavia, per l’olio di Cocco di buona qualità, si basano sugli stessi principi d’estrazione tramandati dalla tradizione. L’olio di Cocco può essere attualmente prodotto attraverso diverse metodologie (fino a 6 diverse) da diversi prodotti della noce della palma da Cocco (Cocos nucifera L. – fam. Arecaceae) cioè dalla polpa della noce di Cocco essiccata chiamata Copra (più comunemente), dalla polpa fresca della noce di Cocco (meno comunemente) oppure dal latte di Cocco. A seconda della materia prima impiegata e delle varie metodiche di produzione si ottengono diverse tipologie di olio di Cocco riconoscibili dalle sigle generalmente riportate sulle relative etichette delle confezioni commercializzate; questi oli di Cocco posseggono caratteristiche organolettiche diverse che possono renderli più raccomandati per l’uso alimentare o per quello dermocosmetico.

La produzione dell’olio di Cocco accompagna l’umanità da tempi antichissimi e la letteratura descrive diverse metodologie tradizionali dell’olio di Cocco; nell’antichità il procedimento di estrazione dell’olio dalla polpa della noce di Cocco prevedeva l’impiego di pietre pesanti, cunei, leve e corde intrecciate per applicare pressione sul cocco essiccato e spremere l’olio. Successivamente, come ad esempio in India, sono state introdotte metodologie più efficienti, a volte ancora in uso, come quella del “Ghani” (chekkus), un grande pestello/mortaio, (usato similmente anche per l’estrazione dell’olio di sesamo) azionato in origine da buoi o dall’uomo, a cui successivamente sono stati applicati motori elettrici o a vapore. L’olio viene rilasciato per attrito e pressione e defluisce da una piccola apertura alla base del mortaio. Le procedure dell’estrazione dell’olio di Cocco variano tradizionalmente a seconda dei paesi di origine, ed esempio nelle Filippine sono molto diffuse metodiche domestiche tradizionali basate sul principio d’estrazione dell’olio dal latte dei Cocco. Ai giorni d’oggi l’industrializzazione ha messo a punto processi produttivi anche molto sofisticati che rispondono all’esigenza produttiva su larga scala. I moderni processi produttivi (tranne la metodica di estrazione tramite solvente e quella con enzimi) più largamente adottati si ispirano tuttavia ai principi di fondo delle metodiche più antiche e principalmente quello della “spremitura/pressatura” della polpa essiccata o fresca della noce di Cocco anche se l’olio di Cocco può essere tradizionalmente ottenuto anche dal latte di Cocco.

La moderna produzione dell’olio di Cocco di qualità può impiegare, come materia prima, derivati diversi della noce di Cocco e cioè: la polpa del cocco essiccata chiamata Copra (nella maggior parte dei casi); la polpa fresca (meno frequentemente); il latte di Cocco.

Le noci di cocco hanno un endosperma solido e liquido. L’endosperma solido è la polpa di cocco.

I procedimenti a partire dalla polpa del cocco (indipendentemente che sia fresca o disidratata) vengono definiti processi produttivi “a secco” (comunemente chiamati Fresh-dry) mentre quelli a partire dal latte di cocco vengono definiti “a umido”.
I processi di estrazione dell’olio di cocco possono essere classificati quindi in due gruppi principali: 1. processi a secco a partire dalla polpa del Cocco; 2. processi a umido a partire dal latte di Cocco.

 

Processo a secco

Nei processi d’estrazione “a secco” il procedimento di base è quello di sottoporre frammenti di polpa di Cocco pre essiccata cioè la Copra (meno frequentemente a da polpa fresca) a metodiche di estrazione meccanica oppure a estrazione con solventi. Le principali metodiche d’estrazione meccanica attualmente in uso per la produzione dell’olio di Cocco su scala industriale sono quelle che sfruttano le presse idrauliche oppure quelle che impiegano gli espulsori ad alta, media e bassa pressione (metodi Fresh-dry). Questi diverse tipologie di estrazione meccanica differiscono tra loro anche significativamente per la quantità di pressione esercitata e la temperatura a cui viene esposto l’olio e producono un olio finito con caratteristiche organolettiche diverse. Le diverse metodiche vengono generalmente scelte sulla base dei volumi produttivi, della qualità dell’olio desiderata e del suo uso. I processi con solventi dalla Copra sfruttano principi d’estrazione diversi e sono illustrati di seguito. In alcuni casi le due tecniche meccaniche e quella con solventi possono essere combinate in fasi successive per il recupero di olio residuo dai sottoprodotti della prima estrazione. L’olio di cocco preparato con questi metodi è comunemente chiamato anche olio di Copra.

La Copra, che è la polpa essiccata del Cocco, viene preparata da cocco maturo e il contenuto di acqua nei frammenti di cocco deve essere ridotto dal 50% a circa il 6% durante l’essiccazione prima della spremitura. [55]

Il pre trattamento di asciugatura della polpa del Cocco è fondamentale per la qualità dell’olio finito; poiché infatti la polpa di cocco contiene proteine e carboidrati, oltre ad acqua e olio, essa è incline a attacchi fungini, che producono aflatossine. La polpa fresca del cocco è molto suscettibile al deterioramento, il che provoca la produzione di acidi grassi liberi e l’irrancidimento dovuto a attacchi fungini e per altri motivi. Per ridurre le contaminazioni fungine, il processo di essiccazione deve essere avviato non appena la noce è aperta. L’acqua di cocco (endosperma liquido) è in contatto con la polpa di cocco bianca nella noce. Poiché l’acqua di cocco è una buona fonte di nutrienti, le metà di cocco prima di essere asciugate devono essere lavate per evitare facili contaminazioni fungine. Con l’evaporazione dell’acqua, il rapporto olio/acqua della polpa di cocco aumenta. È più facile estrarre l’olio da copra essiccata, che ha un basso contenuto di umidità, rispetto all’ estrazione dell’olio di cocco dalla polpa di cocco fresca che contiene molta acqua. L’asciugatura corretta della copra per minimizzare il contenuto di acqua è importante per la produzione di olio cocco per spremitura. Il contenuto di acqua dell’olio di cocco, estratto da copra opportunamente essiccata, è trascurabile. Il contenuto d’acqua influisce sulla qualità dell’olio di cocco perché la presenza di acqua nell’olio di cocco favorisce l’idrolisi dei trigliceridi che causa irrancidimento idrolitico. [55] Nella produzione da cocco disidratato, l’essiccazione avviene in generale (ma non sempre) dopo aver tolto la sottile buccia che avvolge la polpa (testa), che conferisce il colore giallastro chiaro all’olio di cocco. Nella produzione di olio di cocco vergine, la” testa” viene analogamente rimossa e la polpa bianca di cocco viene utilizzata per produrre olio incolore.

Tutti i metodi di produzione di un olio di Cocco di qualità devono essere sempre preceduti da fasi di controllo ispezione delle “noci” prima dell’estrazione. Tutte le noci vengono ispezionate per separarle scartando noci immature, germinate o avariate. Solo le noci completamente mature, da 12 a 13 mesi, possono essere utilizzate per la produzione di olio di qualità. Le noci perfettamente mature non devono presentare “austori” di parassiti perché il contenuto di olio della noce inizia a ridursi una volta formato l’austorio e la qualità si deteriora man mano che l’austorio diventa più grande. Procedure adeguate devono esser adottate affinché le noci non si rompano durante lo scarico. Allo stesso modo, l’esposizione alla luce solare delle noci decorticate durante la consegna; la pesatura e lo scarico devono evitare la rottura del guscio che causerà il deterioramento della noce. Le noci spezzate inizieranno a marcire dopo un’ora al sole. [65]

 

Principali principi d’estrazione dell’olio di cocco con processi “a secco”

La prima fase dell’estrazione dell’olio mediante una pressa idraulica o espulsori è la pulizia della copra per eliminare qualsiasi impurità. Quindi la polpa viene frantumata in particelle fini e delicatamente riscaldata a vapore per 30 min. Questo processo di riscaldamento facilita l’espulsione dell’olio nel processo di pressa idraulica per separare l’olio di cocco. [55]

-Estrazione con espulsori ad alta pressione: rappresenta il principale metodo di estrazione dell’olio di cocco dalla copra. La copra viene pressata in grandi espulsori che generano grandi quantità di calore e pressione. L’olio di cocco grezzo risultante è d’aspetto marrone e torbido. Questo olio deve essere ulteriormente purificato filtrandolo e sottoponendolo a raffinazione per rimuovere gli acidi grassi liberi (un prodotto di degradazione dall’olio), umidità residua, sapore sgradevole o odore. L’olio di cocco ottenuto in questo modo è il meno costoso di tutti gli oli di cocco; [55] gli espulsori ad alta pressione generano temperature e pressione molto elevate; l’esposizione dell’olio a temperature elevate ne altera il finale contenuto organolettico. Dall’olio grezzo ottenuto da questo processo, attraverso successive lavorazioni, vengono prodotti oli finiti per uso alimentare, dermocosmetico o industriale. [55]

-Estrazione con espulsori a media e bassa pressione: analogamente agli espulsori ad alta pressione, a partire dalla polpa del Cocco, sfruttano pressione e calore per l’estrazione tuttavia con potenza inferiore. Producono oli grezzi che generalmente vengono raffinati ma sono maggiormente conservativi di nutrienti e sostanze medicamentose. Rispetto ai metodi ad alta pressione hanno una resa produttiva inferiore e l’olio grezzo viene generalmente sottoposto ad ulteriore estrazione; in genere questi processi producono anche altri sottoprodotti come la farina di cocco; l’olio ottenuto necessita di un ulteriore passaggio industriale per eliminare il quantitativo di acqua che risulta superiore rispetto ai metodi ad alta pressione; sono metodologie mediamente più costose che necessitano di impianti industriali tecnologicamente avanzati. L’olio grezzo ottenuto risulta di media qualità. [55]

-Spremitura “a freddo” tramite pressatura idraulica: è la metodica di estrazione a secco dell’olio di Cocco più simile alle metodiche tradizionali. Consente di ottenere un olio grezzo di buona qualità che può venire semplicemente filtrato e utilizzato come tale; poiché per l’uso quest’olio non deve necessariamente essere raffinato, quando non viene raffinato può essere etichettato come olio “vergine” poiché per convenzione è ritenuto tale qualunque olio di cocco non sottoposto a metodiche di raffinazione. La qualità della copra utilizzata in questo caso è di alta qualità e libera da contaminazioni fungine. In questa lavorazione vengono utilizzati essiccatori speciali per la preparazione della copra e la “testa” viene eliminata. In questo caso la spremitura viene considerata “a freddo”, poiché la temperatura è controllata;[58] la bassa temperatura di estrazione e la relativa pressione impiegata consentono di mantenere praticamente inalterato il naturale profilo organolettico dell’olio; l’olio grezzo ottenuto da questa metodica può essere sottoposto a ulteriore raffinazione/deodorazione a secondo dell’uso finale del prodotto; quest’olio necessita di un ulteriore passaggio per eliminare i residui d’acqua in eccesso; questa metodica, tra quelle a secco, viene generalmente ritenuta tra le migliori per ottenere un olio di Cocco finito di qualità sia per uso dermocosmetico che alimentare. [55]

Nelle metodiche d’estrazione meccanica a pressione moderata (presse idrauliche o espulsori), rispetto alle metodiche con espulsori ad alta pressione, la resa di olio può ridursi del 15%. Questo olio rimanente può essere ulteriormente estratto mediante con solvente. La miscela risultante include olio, solvente ed estratto farina di cocco. Il solvente nella miscela viene rimosso con riscaldamento (perché è volatile) e il solvente viene recuperato per condensazione. Il solvente rimanente nella soluzione oleosa viene rimosso per distillazione. Tracce di solvente rimaste nella farina e nell’olio vengono rimossi mediante strippaggio a vapore a pressione ridotta. I passaggi ad alta temperatura nel processo di estrazione con solvente possono degradare termicamente l’olio e minime concentrazioni di solvente rimarranno anche nell’olio dopo purificazione. [55]

L’olio grezzo preparato con questi metodi può essere ulteriormente lavorato e affinato in fasi successive tuttavia la raffinazione non è essenziale per eliminare il contenuto di gomma che nell’olio di cocco è naturalmente molto inferiore rispetto ad altri oli vegetali o di semi.

Una veloce ed economica rimozione di acidi grassi indesiderabili può essere ottenuta utilizzando deboli soluzioni alcaline dalle quali gli acidi grassi liberi vengono rimossi come saponi. Il processo alcalino tuttavia non viene comunemente impiegato nella produzione su scala industriale di olio cocco di buona qualità, infatti gli acidi grassi liberi possono essere rimossi anche con metodiche fisiche (vuoto /distillazione). Le sostanze responsabili del colore dell’olio di cocco possono essere rimosse con agenti sbiancanti o filtrando l’olio attraverso carbone attivo. La rimozione degli odori sgradevoli può essere eseguita mediante strippaggio fisico a vapore. [55]

– Estrazione con solvente: che consente l’estrazione dell’olio di cocco da copra. L’esano (n-esano) è considerato il più efficiente solvente per l’estrazione dell’olio poiché gli oli si dissolvono facilmente in esso e facilita la sua rimozione dall’olio. È un solvente di costo relativamente basso ma è infiammabile, lievemente tossico ed esplosivo per cui ha forti impatti ambientali e genera problemi per la produzione su scala industriale. L’estrazione con solvente lascia bassi livelli di residui nell’olio, il che è sicuro, ma indesiderabile per scopi alimentari o dermocosmetici. L’estrazione di olio mediante solvente è più adatta per l’olio semi contenenti quantità relativamente basse di olio e poiché la copra contiene circa il 70% di olio, l’estrazione meccanica è più efficiente ed economica. [55]

– Estrazione mediante CO2 supercritica: l’estrazione degli oli di semi mediante anidride carbonica supercritica (SCCO2) può superare il problema dei residui di solvente presenti negli oli estratti per estrazione con solvente. Diversi composti nei semi oleosi possono essere estratti facendo variare la pressione e la temperatura del carbonio biossido tuttavia queste unità di estrazione necessitano di investimenti elevati e questa tecnologia non è molto diffusa, sebbene la qualità dell’olio estratto con questo metodo sia elevata. [55]

 

Stadi di estrazione 

A partire dalla copra si può ottenere da una prima estrazione, con le diverse metodiche, un olio grezzo che viene sottoposto in successione, secondo la qualità di olio che si vuole ottenere a filtrazione, rimozione delle gomme, deacidificazione, decolorazione, deodorizzazione per ottenere un olio finito. Successivamente alla prima estrazione la copra può essere sottoposta ad una seconda estrazione che produce un olio ancora grezzo, che successivamente può essere sottoposto a filtrazione, rimozione delle gomme, deacidificazione, decolorazione, deodorizzazione per ottenere un olio finito e la “torta di Cocco” da cui si possono ottenere diversi sottoprodotti di interesse alimentare e industriale. [55]

 

Preparazione dell’olio di cocco con processi “a umido”

-Bollitura del latte di Cocco. Tra i metodi umidi in cui viene utilizzata la polpa di cocco fresca per l’estrazione dell’olio, la bollitura del latte di cocco per separare l’olio di cocco è stato il principale processo domestico presso varie popolazioni (Sri Lanka, India). In questo processo, la polpa di cocco viene raschiata e pressata a mano con acqua per ottenere il latte di cocco. Questa emulsione di latte di cocco viene riscaldata fino a quando l’acqua non sarà evaporata e l’olio rimanente sarà separato. L’olio può anche essere separato dall’acqua mentre il latte di cocco sta ancora bollendo. Il riscaldamento provoca il depositarsi di proteine sul fondo del contenitore. Quando si continua il riscaldamento, l’acqua nell’emulsione evapora. A causa della sua elevata temperatura di ebollizione, l’olio di cocco non evapora notevolmente durante questo processo. Infine, l’olio di cocco può essere separato per decantazione dai residui contenenti proteine, carboidrati e altre sostanze. L’olio di cocco risultante possiede un piacevole aroma di cocco ed è privo di acqua. Questo olio si conserva molto a lungo tempo senza formare prodotti di ossidazione che causano rancidità tuttavia, a causa della caramellizzazione e altro reazioni, l’olio di cocco prodotto con questo metodo ha un colore particolare. Uno svantaggio di questo metodo è l’elevata quantità di energia necessaria e un periodo di tempo relativamente più lungo impiegato per far evaporare l’acqua dall’emulsione di latte di cocco. Non vi sono macchine progettate per produrre olio di cocco su scala industriale con questo metodo. Questo metodo è limitato alla preparazione dell’olio di cocco in piccola scala o per il consumo domestico. L’olio di cocco prodotto con questo metodo è indicato come olio di cocco da metodo tradizionale ed è ritenuto un olio di Cocco “vergine”. [55]

-Processo di centrifugazione. Questo metodo a umido e a freddo consente la preparazione di olio di cocco vergine. La principale differenza tra l’estrazione dell’olio vergine e l’estrazione di altri tipi di olio di cocco è l’uso di temperature più basse nel processo di estrazione dell’olio. Il metodo principale d’estrazione dell’olio di cocco vergine è attualmente la centrifugazione. In questo metodo, la polpa di cocco fresco viene tritata e pressata con un espulsore. L’emulsione al latte di cocco ottenuta dalla pressatura contiene circa il 40% olio. Nella produzione di olio di cocco vergine di alta qualità, la pressatura deve essere eseguita utilizzando una macchina speciale in cui sia il “piatto” di pressatura sia il dotto di trasporto del latte (manica) sono raffreddati con acqua fredda. La temperatura del latte di viene mantenuta al di sotto di 25 C. Usando una centrifuga, la crema viene poi concentrata per ottenere una percentuale maggiore di olio mentre le proteine e le sostanze idrosolubili vengono separate. L’olio di cocco prodotto con questo metodo ha un sapore di cocco molto leggero e la consistenza dell’olio di cocco è estremamente delicata e liscia. In alcuni casi il latte di Cocco viene raffreddato a 10°C per 10 h per solidificare i lipidi. Successivamente viene scartato lo strato acquoso e il blocco lipidico è lasciato riposare a 30°C fino a completa dissoluzione. La miscela viene centrifugata e lo strato di olio viene separato. Nel metodo tradizionale filippino per l’estrazione dell’olio di cocco vergine, l’emulsione di latte di cocco viene lasciata riposare per un tempo stabilito e naturalmente gli enzimi naturali degradano le proteine che trattengono l’olio in soluzione consentendo all’olio di essere separato. L’olio di cocco prodotto da questo metodo di centrifugazione è considerato uno di quelli di qualità più elevata. Questi oli sono costosi e di solito sono etichettati come “olio extra vergine” di cocco e impiegati per l’utilizzo alimentare “a crudo” o per usi nutraceutici. [55]

-Processo di fermentazione. Il metodo di fermentazione è il meno coerente di tutti i processi di produzione dell’olio di cocco a umido. Pertanto, la qualità di l’olio di cocco prodotto con questo metodo varia notevolmente tra i diversi produttori. L’olio deve essere ulteriormente purificato per scopi alimentari. Nella preparazione dell’olio di cocco con questo metodo, il cocco fresco viene prima grattugiato e poi il latte di cocco o la crema viene spremuta dalla polpa bianca. Questo latte è posto in tini o secchi e lasciato fermentare a circa 37 C. Gli enzimi e i batteri rompono le proteine in emulsione e separano il latte in diversi strati che includono uno strato superiore di cagliata proteica, uno strato di olio di cocco sotto, un altro strato di cagliata e uno di acqua. La cagliata proteica sulla parte superiore può essere rimossa e poi lo strato di olio può essere sifonato. [55] Per fermentazione si intende generalmente l’aggiunta di lievito o enzima o microrganismo adatto ad una materia prima per ottenere un prodotto desiderato. Tuttavia, nel caso del Metodo di fermentazione per la produzione di VCO, nessun’altra sostanza viene aggiunta. È stato osservato che quando una miscela di latte di Cocco viene fatta riposare per più di 10 ore in condizioni favorevoli, l’olio si separa naturalmente dall’acqua e dalle proteine. Il meccanismo di questa separazione naturale senza l’aggiunta di qualsiasi agente di fermentazione è inspiegabile. Una teoria suggerisce che un enzima naturale nella polpa di Cocco, che è successivamente viene trasferito al latte di Cocco, venga attivato ad un certo punto della fermentazione. Un’altra teoria è che i batteri lattici presenti nell’aria, che hanno, la capacità di rompere i legami proteici, agiscano sul latte di Cocco provocando la separazione del VCO. Si può ipotizzare che il termine, “Metodo di fermentazione naturale”, sia stato coniato perché l’acqua e la cagliata che si stacca dall’olio, odora e ha un sapore aspro. È “naturale” perché non viene aggiunta alcuna altra sostanza per ottenere la fermentazione. Di tutte le tecnologie di lavorazione del VCO, il metodo domestico modificato ed Il metodo di fermentazione naturale necessitano del minor lavoro e del minimo apporto energetico. Tuttavia, se il processo di fermentazione non è adeguatamente controllato, produce olio con odore acido e contenuto di acidi grassi liberi relativamente più alto annullando il risparmio sul costo del lavoro in quanto l’olio non può essere classificato come VCO. Controlli precisi per la maturazione delle noci di Cocco e la le condizioni ambientali per la camera di fermentazione sono necessarie per ottenere un buon recupero dell’olio di alta qualità. Il metodo di fermentazione naturale modificato comprende due parti distinte – estrazione/preparazione del latte di Cocco e lavorazione del VCO dal latte. [65]

-Estrazione assistita da enzimi. Solitamente gli oli nelle piante si trovano all’interno di cellule vegetative legate ad altre macromolecole come le proteine e carboidrati pertanto l’idrolisi delle macromolecole facilita il processo di estrazione dell’olio. Un’alta resa di olio di cocco può essere ottenuta utilizzando enzimi per idrolizzare il materiale cellulare nella polpa di cocco. Gli enzimi possono essere miscele grezze degli enzimi proteasi, cellulasi, emicellulasi e amilasi. L’estrazione degli oli commestibili assistita da enzimi è un metodo ecologico basato sull’isolamento dell’olio di cocco dalle proteine nell’emulsione. La farina di copra viene preparata tagliando la copra e passandola attraverso una maglia da 1 mm oppure il cocco fresco viene grattugiato e mescolato con acqua e la miscela viene trattata con enzimi. L’olio rilasciato può essere separato con centrifugazione. Un trattamento enzimatico riportato include l’ebollizione della copra macinata con acqua seguita da raffreddamento e trattamento enzimatico. [55]

-Metodo Bawalan-Masa: (Filippine) è il processo che utilizza i residui del latte di Cocco come materia prima. Il residuo viene sbollentato ed essiccato ad un contenuto di umidità specifico e sgrassato in condizioni controllate. Produce olio di Cocco a basso contenuto di grassi e ricco di fibre e fiocchi. I fiocchi sono macinati per produrre farina di Cocco ad alto contenuto di fibra alimentare. Questo metodo consente un ulteriore recupero di olio di alto valore dai residui e rende la lavorazione del latte di Cocco più redditizia. L’olio ottenuto dura più di 1 anno. Produce farina di Cocco a basso contenuto di grassi e ricca di fibre come co-prodotto. Il processo di produzione deve avvenire in un impianto integrato per la lavorazione del latte di Cocco. [65]

 

Deodorazione dell’olio di Cocco

Il consumo sempre maggiore di grassi, anche nel mondo occidentale ha stimolato la ricerca tecnica industriale a perfezionare sempre nuove metodiche per la lavorazione di grassi vegetali e animali che per caratteristiche proprie o a causa della loro lavorazione possono avere colore ed odore non graditi ai consumatori. Anche l’olio di Cocco, nelle sue forme estrattive possiede un caratteristico profumo “dolce” che può essere ridotto attraverso specifiche metodiche di deodorazione. Le più moderne metodiche di deodorazione e/o raffinazione garantiscono l’integrità organolettica degli oli sottoposti a questi procedimenti e si basano sull’impiego di metodiche fisiche (temperatura controllata, pressione, vapore); queste metodiche, di fatto naturali, sono molto diverse da altre procedure dalle quali si può ottenere la deodorazione dell’olio attraverso un trattamento chimico) degli oli vegetali; il trattamento chimico influisce sulla naturale struttura chimica dell’olio. Alle procedure fisiche, attualmente più impiegate, si affiancano oggi anche alcune loro varianti che prevedono la sostituzione (o l’aggiunta) del vapore con altri gas inerti (es. azoto). [71] La deodorizzazione è di solito il passaggio finale nella produzione di oli e grassi commestibili o dermocosmetici da fonti vegetali e animali. Gli oli vegetali in genere contengono impurità volatili che possono conferire all’olio odore e sapore discutibili. In sintesi per i processi di deodorizzazione fisica si sfruttano le naturali differenze di volatilità tra i trigliceridi di un olio vegetale e quelle delle componenti che determinano sapore e aromi indesiderati. Sebbene non siano stati completamente caratterizzati, molti dei composti responsabili di gusto e odori indesiderabili (impurità) di un olio vegetale, e che convenzionalmente vengono rimossi per deodorizzazione, sono stati identificati come pesticidi, acidi grassi liberi, aldeidi, chetoni, alcoli, idrocarburi, tocoferoli, steroli e fitosteroli. [72] [73]

I processi di deodorazione di oli e grassi sono stati praticati per molti anni mediante distillazione per poi evolversi in moderni e complessi metodi che applicano principi di chimica fisica e ingegneria chimica per cui i primi metodi, che impiegavano semplicemente il riscaldamento per volatilizzare materiali odorosi, hanno lasciato il posto a metodi migliorati che hanno aggiunto il vapore, durante la fase di riscaldamento, per accelerare la vaporizzazione e la successiva rimozione delle impurità. [73] Per esempio nelle tecniche europee della metà del XIX secolo si otteneva la deodorizzazione dei grassi soffiando vapore attraverso oli riscaldati. I metodi successivi hanno utilizzato il vapore surriscaldato. Le moderne tecniche di deodorizzazione commerciale si pongono l’obiettivo primario di non alterare l’originale composizione organolettica dell’olio restituendolo deodorato nella sua totale ed originaria integrità. Ad esempio la deodorizzazione fisica degli oli avviene attualmente in condizioni di alto vuoto per prevenire il degrado ossidativo durante la lavorazione inoltre l’olio rimane esposto al calore il più breve tempo possibile, per minimizzare gli effetti non desiderati che possono verificarsi a livelli elevati temperature. Gli aspetti teorici dello stripping a vapore infatti sono governati dalla legge di Raoult e dalla legge di Dalton. Di conseguenza, la quantità di ogni impurità rimossa è direttamente proporzionale alla sua tensione di vapore, che a sua volta è direttamente proporzionale alla temperatura di deodorizzazione e alla quantità di vapore aggiunto. Il processo di deodorazione avviene attualmente in appositi impianti industriali chiamati deodoratori. Il processo di deodorizzazione degli oli vegetali è un passaggio del processo di raffinazione al quale generalmente vengono sottoposti gran parte degli oli vegetali indipendentemente dalla loro specifico uso. [74] Le tecniche di deodorizzazione degli oli sono conosciute sin dalla storia della produzione degli oli vegetali e in origine consistevano nel far “bollire” gli oli in normali condizioni atmosferiche ad alte temperature mentre oggi le tecniche più moderne fondano sul principio di trattare gli oli a temperature opportunamente controllate, in condizioni di bassa pressione per precisi periodi di tempo. [74] Poiché esiste una differenza sostanziale tra la tensione di vapore dell’olio e le sostanze volatili che influenzano il sapore, il colore e la stabilità, in teoria la deodorizzazione può consistere in qualsiasi metodo per far evaporare queste sostanze senza danneggiare l’olio; per questo motivo la moderna tecnologia industriale ha messo a punto una serie di procedimenti di deodorizzazione, con alcune varianti tecniche, basate sul principio summenzionato. [74] La deodorizzazione fisica degli oli può essere ottenuta anche attraverso il processo per il quale gli acidi grassi liberi, in un greggio o nell’olio, vengono rimossi per evaporazione anziché essere neutralizzati e rimossi (attraverso saponificazione) come in un processo di raffinazione alcalina. [74] Il processo di deodorizzazione è molto simile alla metodica di raffinazione fisica tuttavia evita la rimozione dall’olio di elevate quantità di acidi grassi senza danneggiarli. [74] Concettualmente il processo di deodorizzazione è un procedimento di purificazione basato sul trasferimento di massa, a cui è esposto l’olio in particolari condizioni superficiali di pressione, che costringe le sostanze volatili allo stato di vapore. [74] Le condizioni ideali di deodorizzazione, nei deodoratori, si ottengono esponendo un sottile strato di olio ad a un gas di trasporto a temperatura controllata e bassa pressione; durante questo trattamento viene utilizzato quindi un gas di strippaggio (normalmente vapore), l’olio viene agitato, assicurandosi che tutto l’olio sia sottoposto a condizioni superficiali controllate di pressione per convogliare i volatili dal deodoratore al sistema di recupero del vapore. Nella maggior parte dei processi di deodorizzazione, l’esposizione dell’olio a temperature controllate determina anche un fenomeno fisico di “sbiancamento” derivante dalle condizioni fisiche di trattamento che determinano una “rottura” o una evaporazione di pigmenti carotenoidi e di altri composti coloranti. [74] Una deodorizzazione efficace richiede un “ambiente” fisico controllato ed una adeguata “agitazione” dell’olio per un certo periodo per consentire ottimali condizioni di equilibrio di trattamento ed il tempo sufficiente per lo sbiancamento a caldo. [74] Generalmente l’olio trattato (in relazione anche suo uso successivo) provenendo dall’impianto di candeggio (o in alcuni casi dal processo di pretrattamento di raffinazione fisica), normalmente alla temperatura di 60–90 ° C, viene disareato cioè deossigenato; questo processo è fondamentale prima del riscaldamento dell’olio a temperature superiori a 100 ° C, come per la maggior parte degli oli (in particolare quelli derivati da fonte di sementi), poiché se l’olio contiene ossigeno, a contatto con superfici riscaldanti, deposita su di esse prodotti di polimerizzazione. [74]

Dopo il processo di deossigenazione l’olio passa normalmente attraverso uno scambiatore olio-olio (scaldato con olio precedentemente deodorato) per essere preriscaldato e quindi l’olio caldo viene quindi riscaldato fino alla precisa temperatura di deodorazione (nota per ciascun tipo di olio vegetale). Dopo essere stato portato a temperatura, l’olio viene agitato vigorosamente nel deodoratore, per un certo periodo di tempo, fino a quando la maggior parte dei volatili è stata rimossa ed è avvenuto lo sbiancamento a caldo. L’olio viene quindi raffreddato, normalmente prima passando attraverso un economizzatore a recupero di calore, e poi attraverso raffreddamento finale. Durante il raffreddamento nell’olio possono essere aggiunte piccola quantità di agente chelante, come l’acido citrico, così come degli antiossidanti. [87] I volatili rimossi durante i processi di deodorazione sono condensati e generalmente recuperati in un condensatore diretto, noto come scrubber a vapore. I gas volatili, compreso il vapore di stripping e altri composti più volatili, vengono condensati nel sistema del vuoto. I principi di base di funzionamento dei deodoratori sono essenzialmente gli stessi, tuttavia esistono diversi tipi di sistemi per eseguire queste operazioni. Una classificazione generale delle metodiche più adottate e funzionali ai volumi produttivi è: discontinue, continue e semicontinue. [74]

 

 

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A cura della direzione scientifica di Benefica

 

Newsletter Fitoterapia nr. 59 – Luglio 2021

Il Giuggiolo per il rilassamento e il buon sonno.

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Medicinal seeds Ziziphus spinosa for insomnia: A randomized, placebo-controlled, cross-over, feasibility clinical trial. 

Shergis, J. L., Hyde, A., Meaklim, H., Varma, P., Da Costa, C., & Jackson, M. L. (2021).

 

Agitazione, nervosismo, difficoltà nel rilassarsi, sonno breve e non ristoratore sono disturbi che caratterizzano la moderna quotidianità a causa di un carico sempre maggiore di “stressors”, attinenti alla sfera personale e sociale, che si manifestano con maggiore cronicità rispetto ad un tempo e che non sono facilmente evitabili; il contesto dell’epidemia di Cocid-19 ha poi aggravato l’incidenza di questi disturbi determinando una prolungata condizione di ampio disagio psicologico e sociale.[1] Rispetto a questo moltiplicarsi di fattori disturbanti il benessere psico-fisico, sembra che l’umanità abbia perso la fisiologica capacità di “tenere il passo” con la conseguenza, negli ultimi anni, di un significativo aumento sociale di richiesta d’aiuto e di soluzioni alla Medicina, con un significativo incremento del consumo mondiale di farmaci ansiolitici e ipnoinducenti; in questo contesto è cresciuto anche l’impiego di specifici integratori naturali e fitoterapici che, nella loro corretta indicazione d’uso, vengono sempre più apprezzati dai consumatori e dalla Classe medica. Gli integratori fitoterapici per il rilassamento ed il sonno rappresentano un segmento significativo del globale consumo di integratori naturali che si caratterizzano per innovative formulazioni a base di bioattivi o piante medicinali, tradizionalmente noti per il loro effetto rilassante diurno e notturno.

Tra le piante medicinali impiegate nelle formulazioni di moderni integratori, per il controllo dei sintomi d’ansia generalizzata e per favorire il sonno, vi è il Giuggiolo (Ziziphus jujuba Mill.). Il Giuggiolo si profila come un bioattivo vegetale “ansiolitico” di grande interesse per caratteristiche farmacologiche distintive rispetto a quelle di molte altre piante medicinali tradizionalmente impiegate per uso “ansiolitico”; la più recente letteratura scientifica suggerisce infatti che gli estratti del Giuggiolo agiscano sul Sistema Nervoso Centrale in modo “multiplo” modulandone positivamente l’eccitazione.

L’uso medicinale del Giuggiolo (semi o polpa del frutto), nella cultura fitoterapica Occidentale, risulta più tardo rispetto che in Asia, ed in particolare in Cina, dove invece il Giuggiolo vanta una antichissima tradizione d’uso come pianta medicinale in contrasto ai disturbi tensivi psico-fisici e per favorire il benessere. Attualmente un ampio numero di studi scientifici, anche molto recenti, spiega i meccanismi farmacologici alla base del suo uso tradizionale come fito-medicina per la gestione di ansia e sonno, e recentemente il Giuggiolo è stato studiato anche in diversi studi clinici che ne confermano il suo ampio uso tradizionale come rilassante.

 

La newsletter

La newsletter offre una panoramica dei generali razionali d’azione del Giuggiolo nel trattamento coadiuvante di ansia e dei comuni disturbi del sonno e segnala un recentissimo studio clinico pilota, disponibile in PubMed (2021), condotto in Australia (Melbourne). Lo studio (pubblicato da “Complementary Therapies in Medicine” – Elsevier Ltd.), nei limiti della sua dimensione di studio pilota, conclude, attraverso metodologia molto rigorosa, che il Giuggiolo è una pianta medicinale il cui uso è coerente e ben tollerato per il trattamento dell’insonnia. Oltre alle positive conclusioni di fattibilità di studi di più ampie dimensioni lo studio indica che il Giuggiolo ha migliorato sia la qualità soggettiva che la quantità del sonno rispetto a placebo. La newsletter offre inoltre una sintetica panoramica della storia del Giuggiolo e dei suoi usi etno medicinali.

 

Cenni storici

Il Giuggiolo (Ziziphus Jujuba Mill. – fam. Ramnaceae) è un piccolo albero di provenienza asiatica che nel corso dei secoli si è diffuso largamente anche in tutti i paesi mediterranei. Se ne utilizza il frutto (la drupa) e di semi del frutto. Il nome botanico di questa pianta è “Ziziphus jujuba Mill.” (oppure “Ziziphus jujube”, corretto ma meno comune) che è sinonimo di Ziziphus zizyphus (L.) Karst. come da WCSP (2012); altri nomi per il frutto di questa pianta possono essere “Dattero cinese”, “Dattero coreano”, “Dattero indiano” o “Dattero rosso”. Il nome “Ziziphus “è legato a una parola araba usata lungo la costa nordafricana, “zizoufo” usata per indicare Ziziphus lotus (L.) Desf., ma è anche legata alle antiche parole persiane “zizfum “o “zizafun”; e gli antichi greci usavano la parola “ziziphon” per indicare la giuggiola da cui il latino “ziziphum”. [2,3]

Le giuggiole venivano mangiate dagli antichi dell’età calcolitica (età del rame: 1500-1000 a.C.), e i frutti sono stati coltivati negli ultimi 400 anni sia in India che in Cina. Questi frutti sono stati menzionati in Yajurveda, in Sutra, nei poemi epici e testi medici e altra letteratura prodotta da studiosi come Kautilya, Panini e Patanjali. [2,4]

Il frutto di Ziziphus jujuba Mill. (Rhamnaceae), è stato ampiamente utilizzato come alimento e come medicina erboristica in Cina per oltre 3.000 anni e da questo contesto culturale derivano gran parte delle conoscenze moderne sull’uso medicinale. La descrizione della giuggiola fu riportata per la prima volta in Classic of Poetry (1046-771 a.C.). Nell’antico libro cinese sulla fitoterapia Huangdi Neijing (475-221 a.C.), la giuggiola era descritta come uno dei cinque frutti più preziosi. In Shennong Bencao Jing (300 a.C.-200 d.C.), un precedente libro che codifica le erbe medicinali, la giuggiola era considerata uno dei medicinali erboristici superiori che prolungavano la vita nutrendo il sangue, migliorando la qualità del sonno e regolando il sistema digestivo. [5]

La pianta della Giuggiola giunse in Italia attraverso i Romani, e venne diffusa dai Veneziani nel ‘600 che la fecero conoscere prima in Dalmazia e poi nella zona dei Colli Euganei. Presso i Romani, il Giuggiolo, divenne il simbolo arboreo del silenzio, e come tale fu usato per adornare i templi della dea Prudenza ma se ne diffuse ben presto anche l’uso profano. Una specie affine al Giuggiolo, lo Ziziphus spina-christi, è ritenuto dalla leggenda una delle due piante che servirono a preparare la corona di spine di Gesù. L’altra sarebbe il Paliurus spina-christi chiamata comunemente “marruca”. Erodoto (5° secolo a.C.) definì le giuggiole simili ai datteri e descrisse che potevano essere usate per produrre un vino liquoroso ed inebriante ma i preparati più antichi vengono fatti risalire ad Egizi e Fenici, mentre i Greci mangiavano comunemente le giuggiole come frutta. Nella tradizione Omerica (Odissea IX libro) si narra che Ulisse e i suoi uomini, fuori rotta per una tempesta, ripararono sull’isola dei Lotofagi nel Nord Africa. Una volta a terra i naufraghi si lasciarono tentare dal frutto del loto, un frutto magico che fece loro dimenticare mogli, famiglie e la nostalgia di casa. Si ipotizza che questo frutto di Loto fosse lo Ziziphus lotus, un Giuggiolo selvatico, e che l’incantesimo dei Lotofagi non fosse provocato da narcotici ma soltanto dalla bevanda alcolica che si può preparare coi frutti del Giuggiolo. Nel corso del Medio Evo la sapienza erboristica soprattutto nei monasteri conservò le conoscenze sul Giuggiolo ma col Rinascimento il Giuggiolo e i suoi frutti furono ampiamente rivalutati anche come simbolo di nobiltà. Risale a quest’epoca l’abitudine della potente famiglia dei Gonzaga, nella propria residenza estiva “Il Serraglio” in prossimità del lago di Garda, di servire agli ospiti uno squisito liquore a base di giuggiole chiamato il “brodo di giuggiole”. Il successo e la fama del brodo di giuggiole furono tali che in breve l’espressione assunse un carattere addirittura proverbiale, a indicare qualcosa di talmente buono da far sdilinquire, da far uscire quasi di sé per la contentezza. Nel 1612 venne pubblicato in prima edizione il Vocabolario dell’Accademia della Crusca, nata a Firenze alcuni decenni prima con lo scopo di dare dignità, stabilità e identità alla lingua italiana. Già al suo primo apparire, la grande opera lessicografica riportava l’espressione metaforica “andare in brodo di giuggiole”, e la definiva come una situazione in cui è possibile “godere di molto di chicchessia”. [6]

 

Usi etno medicinali

Le parti della pianta di Ziziphus jujuba più frequentemente utilizzate nei sistemi medici tradizionali sono i frutti ed i semi e, meno frequentemente, le foglie e le radici. La medicina tradizionale cinese attribuisce al Giuggiolo proprietà ansiolitiche e sedative, [7] ma nella preparazione chiamato “Da Zao” [7] è usato come antidolorifico, antitumorale, espettorante, refrigerante, sedativo, tonico gastrico; in Giappone, il Giuggiolo è usato per trattare l’epatite cronica, il dolore toracico e delle costole. [8]

Il Giuggiolo sembra anche avere proprietà antifungine e insetticide, [9] e in alcune aree è specificatamente impiegato come antidiarroico. [10]

In Ayurveda, la radice di Ziziphus nummularia, una specie di Giuggiolo molto diffusa in India, è descritta come amara ed è utilizzata come rinfrescante e per curare la tosse, i problemi biliari e il mal di testa. [11]

La corteccia guarisce il meteorismo e risulta utile per il trattamento della dissenteria e della diarrea. [12] Le foglie sono antipiretiche e riducono l’obesità. Il frutto è rinfrescante, digestivo, tonificante, afrodisiaco, lassativo e contrasta disturbi biliari, bruciori, sete, vomito [13] ma risulterebbe utile anche nel trattamento della tubercolosi e delle malattie del sangue. I semi curano le malattie degli occhi e sono utili anche nella leucorrea. [14]

I lavoratori tradizionali del Chhattisgarh, in India, usano i frutti per curare le febbri comuni e per il vomito usano i semi con germogli di Ficus benghalensis e zucchero. I guaritori tradizionali della regione del Bastar usano le foglie essiccate e la corteccia in polvere per medicare le ferite. [12]

Anche le foglie fresche vengono utilizzate per lo stesso scopo. La pasta acquosa delle foglie viene applicata esternamente per alleviare una sensazione di bruciore. Le radici sono usate per trattare la dissenteria; vengono somministrati con latte vaccino fino alla guarigione del paziente. Gli anziani usavano il succo di foglie fresche con latte di bufala per ridurre l’intensità del vaiolo. Allo stesso modo, anticamente, era comune l’uso di semi per trattare i disturbi agli occhi e la raucedine della gola mantenendo le radici fresche di questa pianta in bocca. I guaritori tradizionali usano le foglie fresche di questa pianta con il cumino per curare le infezioni urinarie. [15]

Il frutto è impiegato come antidoto nell’avvelenamento da aconito, dolori addominali in gravidanza ed esternamente in impiastri e applicazioni per ferite. I semi dei frutti hanno azione rinvigorente e sedativa. [4]

 

Composizione chimica

I principali bioattivi nel Giuggiolo si trovano principalmente, a concentrazione diversa, nei semi, nella polpa e nelle foglie che nelle medicine tradizionali sono le parti più impiegate per l’uso medicinale tuttavia parte dei fitochimici del Giuggiolo possono essere presenti anche nelle radici, nei fiori e nel fusto.
Il Giuggiolo tende ad avere un profilo saponinico unico, sebbene alcune saponine siano comuni in altre varietà di piante (acido oleanolico, acido betulinico) mentre il profilo flavonoide nel Giuggiolo è in qualche modo da ritenersi unico.

La pianta di Giuggiolo contiene saponine triterpeniche comunemente chiamate “jujubosidi” (es. Jujuboside A, Jujuboside B, D ed E); alcaloidi isochinolinici (zizifusina) e ciclopeptidici (daehucicloptide-I); flavonoidi [es. Apigenina e il relativo diglucoside Isovitexina; Swertish e Puerarina come flavonoidi monoglucosidici; Spinosina e Isospinosina come flavonoidi diglucosidici, 6” ‘- feruloilspinosina e 6’‘- feruloilisospinosina come molecole correlate e 6” ‘- sinapoilspinosina; (-) – epiafzelechina; Rutina (Quercetin-3-O-Rutinoside), acido protocatechuico, acido clorogenico, acido gallico e acido caffeico]. Molti composti nel Giuggiolo sono strutturalmente simili all’apigenina (Swertish, Puerarina, Spinosina e Isospinosina). Nel Giuggiolo son contenuti altri vari composti tra cui: nucleosidi e nucleobasi, come principalmente cAMP e uridina; minerali (selenio,zinco e ferro); alcuni polisaccaridi bioattivi costituiti da: polisaccaridi neutri (arabinosio, xilosio, mannosio, glucosio e galattosio) che sembrano avere proprietà antiossidanti; polisaccaridi acidi (ramnosio, arabinosio, xilosio, mannosio, glucosio e galattosio) che sono anch’essi di natura antiossidante; molti chemiotipi identificati nei frutti di Ziziphus sono stati riconosciuti solo in questa pianta e la caratterizzano. Il Giuggiolo contiene vari oli aromatici. [https://www.benefica.it/fitoterapia/Giuggiolo-ziziphus-jujuba]

 

Razionali d’azione generale sul Sistema Nervoso Centrale

Recenti ricerche scientifiche concludono che gli estratti dei semi del Giuggiolo agiscono in modo multiplo sui recettori dei neurotrasmettitori a livello sinaptico con effetti sedativi e ipnotici modulando l’eccitazione nel sistema nervoso;[16] analogamente questi estratti dimostrano di interagire anche con la via dell’acido gamma-amino butirrico (GABA), [17,18] in particolare con i recettori GABA-A, inibendo la neurotrasmissione ed esercitando effetti inibitori sul sistema nervoso centrale. [17]

Gli estratti dei semi di Giuggiolo dimostrano di legarsi ai recettori GABA-A come agonisti totali o parziali portando a effetti sedativi senza tolleranza, dipendenza o desensibilizzazione del recettore. Pertanto questi estratti possono esercitare effetti ansiolitici moderati ma sicuri per un trattamento prolungato dell’insonnia. [19]

Studi clinici che utilizzano il Giuggiolo in combinazione con altre erbe suggeriscono anche effetti promettenti sul miglioramento della qualità del sonno e si sono dimostrati sicuri. [18,20]

L’azione di riduzione dell’ansia e favorente il sonno del Giuggiolo viene prevalentemente ricondotta alla capacità del fitocomplesso del seme di modulare l’attività del sistema serotoninergico attraverso un’azione principale antagonista sul recettore 5-HT (1a) ed una più modesta azione antagonista sul recettore 5-HT (1b). [14]

Un complesso studio farmacologico ha studiato gli effetti sul sistema nervoso centrale dei semi di Ziziphus jujuba Mill. (o spinosa (Buhge) Hu ex. Chen.) [fam. Ramnaceae] e della corteccia di Magnolia officinalis Rehder e Wilson [fam. Magnoliaceae] che hanno una elevata rilevanza etno-farmacologica per la loro storia di utilizzo nella medicina tradizionale asiatica per ansia lieve, nervosismo e problemi legati al sonno. Lo studio ha identificato i bersagli farmacologici degli estratti di Magnolia officinalis (ME) e Ziziphus spinosa (ZE) valutandone l’affinità con il sistema nervoso centrale sui recettori associati al rilassamento e al sonno. Nello studio sono stati condotti specifici test in vitro di legame con radioligando e di funzionalità cellulare su: adenosina A1, dopamina (trasportatore, D1, D2S, D3, D4.4 e D5), serotonina (trasportatore, 5-HT1A, 5-HT1B, 5-HT4e, 5-HT6 e 5-HT7) e il recettore delle benzodiazepine GABA. I risultati dello studio hanno dimostrato che entrambe le piante medicinali interagiscono significativamente con il recettore dell’adenosina A1, il trasportatore della dopamina e il recettore della dopamina D5 (attività antagonista), i recettori della serotonina (attività antagonista 5-HT1B e 5-HT6) e il recettore delle benzodiazepine GABA a una concentrazione di 100 g / ml o inferiore. Lo studio ha concluso che le interazioni nei modelli di legame sui recettori sono coerenti con il tradizionale uso ansiolitico e pro-sonno del seme di Ziziphus spinosa e della corteccia di Magnolia officinalis. [14]

I semi della drupa del Giuggiolo sono tradizionalmente impiegati per la riduzione dell’ansia. [21]

La somministrazione orale di 0,5, 1 e 2 g / kg di estratto etanolico dei semi nel ratto conferma azione ansiolitica similmente a Buspirone e Diazepam (2 mg / kg e 1 mg / kg, rispettivamente) e specifici test (modello di ansia [22]) a 500 mg / kg, indicano che questo estratto diventa meno potente nell’ansiolisi a 1 e 2 g / kg, diventando sempre più sedativo. [21]

 

Razionali d’azione sedativi e sul sonno

Nella Medicina Tradizionale Cinese la prima citazione dell’uso del Giuggiolo per il sonno si trova in uno dei testi classici dell’erboristica cinese, il “Tai Ping Sheng Hui Fang”, pubblicato intorno al 992 d.C. e la fitomedicina chiamata “Suan Zao Ren” (che è a base Ziziphus jujuba) rappresenta il trattamento per l’insonnia più comunemente usato come dimostrato da una revisione di circa 217 studi clinici; [23] dagli studi scientifici disponibili il Giuggiolo dimostra effetti sedativi relativamente dose-dipendenti. È stato dimostrato che l’estratto etanolico dei semi di Giuggiolo prolunga il tempo di sonno indotto dall’esobarbitale a 1 g/kg. [21]

Questo effetto di potenziamento della sedazione viene ricondotto all’azione del flavonoide spinosina sui recettori post-sinaptici 5-HT (1A) (recettore della serotonina), con aumento sinergico se accoppiato con antagonisti del 5-HT1A a 15 mg / kg di spinosina. L’azione antagonista sui recettori serotoninergici si esplica migliorando il tempo di latenza del sonno, il sonno REM, il sonno NON REM ed aumentando le ore dormite totali. [24]

In uno studio è risultato che le saponine e i flavonoidi (ma non i polisaccaridi) sembravano avere proprietà anti-locomozione, ma solo il componente saponinico sembrava aumentare il sonno indotto dal fenobarbitolo; in questo studio, in cui è stato impiegato un dosaggio di fenobarbitolo tale da non indurre il sonno, la quantità di animali che si sono addormentati è aumentata dal 20% al 90% con le saponine e del 70% con i flavonoidi. [25]

Uno studio clinico è stato condotto attraverso una valutazione soggettiva della tollerabilità e dell’efficacia di una combinazione di estratti di corteccia di Magnolia officinalis e seme di Giuggiolo in persone con difficoltà di sonno.
295 volontari con difficoltà di sonno da lieve a moderata sono stati trattati con una combinazione di estratti di corteccia di Magnolia officinalis e semi di Ziziphus (2,7% di honokiolo e 0,1% di spinosina). Per la valutazione degli effetti i partecipanti hanno compilato un questionario per auto-riferire sulla tollerabilità e l’efficacia del preparato dopo un minimo di due settimane di trattamento con una capsula (365 mg) un’ora prima di coricarsi.

Dallo studio è emerso che nessuno dei partecipanti ha riportato eventi avversi significativi. Poco più della metà dei partecipanti (53,1%) ha ricevuto una sola confezione del preparato e ha compilato un solo questionario. Poco meno della metà dei partecipanti (46,9%) hanno richiesto almeno una confezione aggiuntiva di preparato e hanno riempito più questionari (da 2 a 20; media 4,2 questionari). Degli individui che hanno compilato un solo questionario, il prodotto è stato considerato rilassante dall’86,9% e capace di assistere ad un sonno ristoratore ed efficace nel ridurre l’affaticamento dovuto alla mancanza di sonno dal 82,8% dei pazienti. Lo studio ha concluso che una combinazione di estratti di corteccia di Magnolia officinalis e semi di Ziziphus è stato ben tollerato e soggettivamente valutata utile in persone con difficoltà di sonno da lieve a moderata. [26]

Un ulteriore studio clinico (PubMed 2020) si è posto l’obiettivo di determinare l’effetto di capsule contenenti estratto di semi di giuggiola sulla qualità del sonno in donne in post menopausa. Lo studio clinico in doppio cieco è stato condotto su 106 donne in post menopausa. Le partecipanti allo studio sono state randomizzate in 2 gruppi di intervento e di controllo. [27]

Il gruppo di intervento ha ricevuto 250 mg di un preparato di semi di Giuggiolo in capsule e il gruppo di controllo ha ricevuto una capsula di placebo due volte al giorno per 21 giorni. Al termine dello studio è emerso che nel gruppo di trattamento i punteggi medi della qualità del sonno erano migliorati in entrambi i gruppi tuttavia il miglioramento era superiore e statisticamente significativo (p <0,001) nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo placebo. Lo studio suggerisce che l’assunzione di estratto di semi di Giuggiolo in capsule ha avuto un impatto positivo sul miglioramento della qualità del sonno in donne in post menopausa e potrebbe essere raccomandato come coadiuvante fito-medicinale. [28]

 

Altre azioni farmacologiche

Il Giuggiolo ed i suoi estratti sono oggi studiati non solo per la loro azione distensiva ma anche per altre proprietà coerenti con l’uso tradizionale.
Le azioni farmacologiche attualmente più studiate del Giuggiolo sono:

a) azione procognitiva: studi nel ratto suggeriscono la capacità del Giuggiolo di stimolare la proliferazione dendritica, tuttavia la potenza di questa azione rimane sconosciuta rispetto a un farmaco di riferimento. [29] Sempre nel ratto i neuroni nel giro dentato nell’ippocampo risultavano significativamente migliorati con 40 e 100 mg / kg di estratto di Giuggiolo. Gran parte di questo potenziamento era dovuto all’aumento delle quantità di dendriti terziari a entrambe le concentrazioni (rispettivamente 354% e 579%), il che suggerisce una proliferazione dendritica o un’attenuazione della perdita dendritica associata all’invecchiamento; in questo studio non sono stati valutati i reali effetti su cognizione e apprendimento nonostante i risultati suggeriscano promettenti miglioramenti. [30] Il Giuggiolo non dimostra effetti colinergici. [15]

b) azione neuroprotettiva: il Giuggiolo sembra avere effetti protettivi nel cervello, ma mancano ancora prove che colleghino i promettenti gli studi in vitro e nell’animale con effetti clinici sull’uomo derivanti dall’assunzione orale. In risposta all’ischemia nel ratto, la somministrazione orale di un estratto metanolico di Ziziphus sembra proteggere i neuroni dalla morte cellulare similmente al controllo attivo Ebselen a 100 mg / kg. Si ritiene che questo effetto sia secondario agli effetti antiossidanti nel cervello. [31] Per il Giuggiolo vengono proposti anche altri possibili meccanismi associati alla neuroprotezione come l’antagonismo dell’eccitotossicità. Il jujuboside A sembra avere nel ratto attività anti-calmodulina nel prevenire l’afflusso di calcio nei neuroni glutaminergici [32,21,3]; è stato inoltre dimostrato che il jujuboside A riduce il potenziale postsinaptico eccitatorio nei neuroni dell’ippocampo [26] ed è stato dimostrato che riduce le letture EEG nei ratti sottoposti a iniezioni intracerebrali di Jujuboside A [27,33]

c) azione sul transito intestinale: i frutti del Giuggiolo si dimostrano particolarmente attivi sul transito intestinale aumentando l’idratazione fecale ed agendo sul tempo di transito; questi effetti sono dovuti alla componente polisaccaridica della polpa del frutto e non si ottengono da altre forme estrattive o con capsule di flavonoidi concentrate. Un preparato tradizionale per contrastare la costipazione consiste nel far bollire 50 g di frutti di giuggiola (20 frutti interi di 2–2,5 cm di lunghezza) per ottenere una bevanda che di fatto è un concentrato di polisaccaridi solubili in acqua che dimostrano effetti anti-costipativi e rappresentano il 77% del peso secco dei frutti di giuggiola; in uno studio l’estratto ottenuto con il metodo precedentemente descritto è stato somministrato oralmente ai criceti (40 mg, equivalenti a 50 g di frutta nell’uomo) ed è stato in grado di aumentare l’idratazione fecale e ridurre i tempi di transito in modo dose-dipendente; inoltre è stata osservata una riduzione dell’ ammoniaca fecale in modo dose-dipendente e sono aumentati i livelli di acidi grassi a catena corta nel colon. [34] In uno studio clinico con sulla costipazione, in persone con tempo di transito prolungato (indicativo di costipazione), Ziziphus Jujuba ha normalizzato i sintomi nell’84% del gruppo verum e solo del 12% nel gruppo placebo con un miglioramento della qualità di vita maggiore nel gruppo verum [35]

d) azione nell’aterosclerosi: i triterpenoidi contenuti nei frutti e nei semi di Ziziphus mostrano efficacia nel prevenire la conversione dei macrofagi (cellule immunitarie) in cellule schiumose e sono studiati per la possibile protezione dall’aterosclerosi. In uno studio è emerso che delle 50 piante medicinali studiate solo Ziziphus jujuba, i semi di finocchio e Poria cocos (un fungo chiamato in giapponese bukuryo) erano in grado di sopprimere in modo significativo la formazione di cellule espanse; in Ziziphus jujuba i bioattivi responsabili di questa azione sembrano essere l’acido oleanolico, l’acido pomolico e l’acido pomonico [36]

e) azione antinfiammatoria: un estratto idroalcolico (privo di alcaloidi) di Ziziphus jujuba è stato testato in due modelli infiammatori nei ratti e si è scoperto che l’estratto studiato ha ridotto l’infiammazione in modo dose-dipendente tuttavia con potenza inferiore all’indometacina (10mg / kg) usata come controllo attivo. [37] Nei topi, l’olio essenziale di semi di giuggiola (1-10%) applicato localmente è altrettanto efficace nel sopprimere l’infiammazione cutanea e l’edema quanto l’idrocortisone (1%); questo effetto non risulta dose-dipendente. [38] I polisaccaridi contenuti in Ziziphus jujuba dimostrano di interagire con il sistema immunitario. In uno studio sui topi alimentati quotidianamente con polisaccaridi solubili in acqua a 50, 150 e 250 mg / kg, le due dosi maggiori hanno determinato un aumento dell’immunità non specifica (valutata dall’indice di milza e timo) e sono state in grado di stimolare la proliferazione di splenociti e macrofagi in vitro [39]

f) azione sul peso corporeo: concentrazioni di 1-50 mcg / mL di estratti in cloroformio e etilacetato di Ziziphus jujuba in vitro sono state in grado di sopprimere l’adipogenesi a differenza di estratti acquosi e in butanolo; l’estratto in acetato di etile ha ridotto l’attività di GPDH (Glycerol-3-phosphate dehydrogenase ) del 50%. Gli estratti di Ziziphus jujuba dimostrano inoltre di sopprimere l’accumulo di lipidi negli adipociti e di ridurre il contenuto proteico di tre proteine adipogeniche di PPARγ, C / EBPα e C / EBPβ [15]

g) azione dermocosmetica: gli oli essenziali dei semi di Ziziphus Jujuba sembrano essere in grado di indurre la ricrescita del pelo nei topi quando applicati localmente; in questo studio è stato concluso che lozioni contenenti tra l’1% e il 10% di olio essenziale di Ziziphus jujuba, applicate quotidianamente sulla pelle, hanno stimolato la crescita dei peli (lunghezza mediamente superiore del 12% 21 giorni); [40] queste stesse dosi di oli essenziali vengono ricollegate a significativi effetti anti-infiammatori che possono spiegare la crescita dei peli.[41] In uno studio sull’attività estrogenica di diverse piante medicinali, i frutti di Ziziphus (estratto etanolico al 95%) non hanno mostrato effetti estrogenici o antiestrogenici a concentrazioni inferiori a 1 mg / mL.[42]

 

Lo studio in evidenza in breve

Obiettivo dello studio (2021) è stato quello di valutare la fattibilità dell’attuazione di un protocollo di sperimentazione clinica dei semi di erbe Ziziphus spinosa (ZS) per le persone con insonnia. Progettazione e impostazione: uno studio di fattibilità incrociato randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo.

Lo studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo ha studiato gli effetti di semi di Giuggiolo in microgranuli in soggetti con insonnia. Dopo due settimane di pre-randomizzazione i partecipanti sono stati randomizzati a ricevere 2 g/die di un estratto di Giuggiolo in granuli incapsulati o placebo per quattro settimane. Dopo quattro settimane di wash-out, i partecipanti sono passati dall’uno all’altro trattamento per quattro settimane. Nello studio è stata valutata la qualità del sonno attraverso l’indice di gravità dell’insonnia e l’indice di qualità del sonno di Pittsburgh (PSQI). Sono stati inoltre valutati anche la qualità della vita, l’umore, la compromissione funzionale e i parametri del sonno. Lo studio ha concluso che i 12 pazienti randomizzati hanno completato entrambi i periodi di cross-over (sei in ciascuna sequenza) e che i miglioramenti per la qualità del sonno misurati sul PSQI erano statisticamente significativi per i periodi di trattamento con il preparato rispetto al placebo (p=0,046). Dallo studio sono emersi effetti di mantenimento tuttavia non significativi. I parametri soggettivi del sonno misurati sui diari del sonno hanno mostrato miglioramenti nel gruppo verum in termini di tempo di sonno totale, efficienza del sonno e latenza del sonno, e non nel gruppo placebo. Lo studio suggerisce, tra le altre conclusioni, che il preparato a base si estratto di semi di Giuggiolo ha migliorato sia la qualità del sonno soggettivo che la quantità del sonno rispetto a placebo e che è un trattamento erboristico accettabile e ben tollerato per il trattamento dell’insonnia. [27]

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1. Khan, K. S., Mamun, M. A., Griffiths, M. D., & Ullah, I. (2020). The mental health impact of the COVID-19 pandemic across different cohorts. International journal of mental health and addiction, 1-7.
2. Goyal, M., Nagori, B. P., & Sasmal, D. (2012). Review on ethnomedicinal uses, pharmacological activity and phytochemical constituents of Ziziphus mauritiana (Z. jujuba Lam., non Mill). Spatula DD, 2(2), 107-16.
3. Peto Azam-Ali S, Bonkoungou E, Bowe C, Kock D, Godara A, Williams JT. (2006) Ber, International Centre for Underutilised Crops, Southampton, UK. p.1-20
4. Anonymous. (1989) The Wealth of India Raw material Vol XI X-Z, Council of Industrial and Scientific Research, New Delhi. p.111-24
5. Chen, J., Liu, X., Li, Z., Qi, A., Yao, P., Zhou, Z., … & Tsim, K. W. (2017). A review of dietary Ziziphus jujuba fruit (Jujube): developing health food supplements for brain protection. Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine, 2017.
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Medicinal seeds Ziziphus spinosa for insomnia: A randomized, placebo-controlled, cross-over, feasibility clinical trial. 

Johannah L Shergis 1, Anna Hyde 2, Hailey Meaklim 3, Prerna Varma 4, Cliff Da Costa 5, Melinda L Jackson 6

Author information:

1.School of Health and Biomedical Sciences, RMIT University, PO BOX 71, Bundoora, Victoria 3083, Australia.
2.School of Health and Biomedical Sciences, RMIT University, PO BOX 71, Bundoora, Victoria 3083, Australia.
3.School of Health and Biomedical Sciences, RMIT University, PO BOX 71, Bundoora, Victoria 3083, Australia.
4.School of Health and Biomedical Sciences, RMIT University, PO BOX 71, Bundoora, Victoria 3083, Australia.
5. School of Science, RMIT University, PO BOX 71, Bundoora, Victoria 3083, Australia. 6.Turner Institute for Brain and Mental Health, School of Psychological Sciences, Monash University, Clayton, Victoria 3800, Australia.

Abstract

Objectives: To evaluate the feasibility of implementing a clinical trial protocol of the herbal seeds Ziziphus spinosa (ZS) for people with insomnia.

Design and setting: A randomized, double-blind, placebo controlled, cross-over feasibility trial in Melbourne, Australia.

Interventions: After two-week run-in participants were randomized to either ZS (encapsulated granules; 2 g daily) or placebo for four weeks. After four-weeks wash-out, participants swapped to the other treatment for four weeks.

Main outcome measures: Sleep quality assessed by the Insomnia Severity Index and Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI). Quality of life, mood, functional impairment and sleep parameters were also assessed.

Results: Twelve participants were randomized and completed both periods of cross-over (six in each sequence). Feasibility endpoints were acceptable. Improvements for sleep quality measured on the PSQI were statistically significant during the ZS treatment periods compared to placebo (t = -2.276, df = 10, 95 % CI -3.3 to -0.04, p = 0.046). There was no evidence of any significant carryover effects. However, there were period effects. Other outcomes showed no statistically significant difference between the treatments. Subjective sleep parameters measured on sleep diaries showed improvements after ZS in terms of total sleep time, sleep efficiency and sleep onset latency, but not after placebo. ZS was well tolerated with only minor adverse events.

Conclusions: ZS is an acceptable and well-tolerated herbal candidate for the treatment of insomnia. The feasibility objectives of this study were achieved and ZS improved both subjective sleep quality and quantity compared to placebo. ZS should be explored in future clinical trials.

Keywords: Cross-over trial; Feasibility study; Herbal medicine; Insomnia; Randomized controlled trial; Ziziphus.

Copyright © 2020. Published by Elsevier Ltd.
PMID: 33385511
DOI: 10.1016/j.ctim.2020.102657

 

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